Capitolo 5
Il cielo era di un blu cobalto, si era ormai in primavera avanzata, un pizzico d’estate faceva capolino col suo tepore. Distratta dallo stridere delle rondini, che volteggiavano nel cielo, Loretta, uscì dall’agenzia con i biglietti per l’intercity per Venezia. Sarebbe partita l’indomani mattina molto presto. Aveva chiesto le ferie a Lucio, per tre giorni. Si era inventata la storia, probabilmente molto inflazionata ma sempre credibile, di una zia molto malata da accudire. Lucio, aveva finto di crederci e gliele aveva accordate. Quella ragazza, era diventata un po’ irrequieta negli ultimi tempi, sempre poco puntuale, aveva dilatato ulteriormente i suoi ritardi. Stava diventando un problema. Cosa sarebbe successo, quando Livia avrebbe cominciato a lamentarsi e a farglielo notare? Chissà cosa aveva per la testa. Magari un nuovo amore. Non era da Loretta trascurare così il lavoro per un uomo. Il mattino dopo, di buon’ora, Loretta uscì di casa precipitosamente. Come al solito aveva i minuti contati ed era un po’ in ritardo. Rischiava di perdere il treno.
Non appena il tabellone luminoso annunciò il numero di binario, si diresse di corsa in quella direzione, con il piccolo zaino in spalla, pieno del necessario per la sua trasferta veneziana.
Il treno sferragliava sui binari con rumore monotono ed il paesaggio sfrecciava dai finestrini. I pali dell’alta tensione quasi fischiavano al passaggio del treno. Loretta ripensò agli ultimi avvenimenti che l’avevano fatta partire verso la città lagunare.
Le informazioni che aveva ricevuto da Nello Rosignoli, l’avevano portata sempre più indietro nel tempo. Era riuscita a scovare il primo intestatario della Fiat 501. Sembra, fosse appartenuta ad una certa Bianca Zambon.
Con caparbietà e tanta pazienza fece delle ricerche che la stavano portando a Venezia.
L’altoparlante del treno, annunciò l’arrivo in stazione. Lei, prese lo zaino e si avviò verso i corridoi, già tutti pieni di persone con i loro bagagli ingombranti, bambini che frignavano ormai stanchi per lo star fermi ore seduti e mamme innervosite nel tenerli buoni.
L’odore di salmastro, fu la prima cosa che colpì le sue narici. Era l’odore tipico della città lagunare, dove l’acqua marina si insinua nei canali, disegnando nastri liquidi color verde cupo. Dopo l’odore, fu lo sciabordio delle onde a catturare il suo senso dell’udito.
Venezia è una città unica, non ci sono auto. In compenso di traffico ce n’è in abbondanza, quello formato dai vaporetti che lentamente si spostano da un punto all’altro della città, una sorta di autobus galleggianti. Motoscafi rombanti disturbano la quiete della laguna, un vero flagello per le romantiche gondole, che rischiano di capovolgersi ad ogni onda molesta.
Per prima cosa, Loretta, decise di raggiungere l’albergo, di sistemarsi un po’ e poi cercare l’abitazione degli Zambon. Sapeva già che la ricerca sarebbe stata lunga.
L’albergo Casanova, era situato vicinissimo a Piazza S. Marco. Loretta, scesa alla fermata omonima del vaporetto, dovette faticare non poco a farsi largo per le calli, piene zeppe di turisti che fotografavano ogni angolo della città, infastiditi dai piccioni che svolazzando sulle teste degli ignari visitatori, intralciavano il passaggio, zampettando alla ricerca del mangime generosamente loro offerto.
La ragazza, chiuse finalmente la porta della stanza, saltando letteralmente sul letto, stanca e stressata dal viaggio. Guardava il soffitto pensierosa, cercando di organizzare un piano per rintracciare la famiglia Zambon. C’era un’atmosfera antica. La stanza era tutta arredata in stile veneziano, col lampadario in vetro di murano trasparente, l’armadio verde pisello con fregi dorati. Dalla strada proveniva un sommesso vociare, attutito dai vetri socchiusi della finestra. Le sembravano rumori inconsueti per una città, mancava il rumore del traffico, lo strombazzare delle macchine che nella capitale fa da sottofondo alla vita quotidiana.
Si osservava nello specchio sistemato sopra una piccola scrivania in stile barocco, una pesante cornice dorata, le incorniciava il volto, quasi un quadro antico appeso alle pareti del Palazzo Ducale.
L’atmosfera di quell’arredamento barocco, la facevano sentire sospesa nel tempo, una dama del settecento, tutta rasi e pizzi, con l’alta parrucca incipriata e l’immancabile neo vezzosamente posato sul petto, in trepidante attesa dell’arrivo dell’amante, magari proprio di quel Casanova al quale l’albergo era intitolato.
Si aggiustò i ribelli capelli ricci, che le incorniciavano il volto come tanti trucioli castani. Una ritoccata alla matita intorno agli occhi, di color verde, che richiamavano un po’ il colore della giada opalescente. Si riosservò prima di uscire, per vedere se l’insieme della sua figura fosse presentabile. – Niente male! – pensò, partendo alla conquista della città.
Passeggiava per le strette calli veneziane osservando gli antichi palazzi costruiti come palafitte, che affondavano le fondamenta nella sabbia e nell’acqua salmastra. Inconfondibili nel loro stile, con l’imbarcadero davanti all’uscio di casa. Piccole piazze con un vecchio pozzo ottagonale di marmo bianco al centro, quello che anticamente riforniva d’acqua dolce la zona circostante. Ora sono tutti ricoperti da pesanti lastre di ferro arrugginito.
Dalle finestre trapelavano, voci di persone, forse affaccendate in cucina o mentre apparecchiavano la tavola. La sigla del telegiornale della Rai, arrivò fin sulla strada, i rumori nelle case, amplificati dal silenzio che regnava attorno. Solo il tubare dei piccioni si sovrapponeva al cicalio lontano proveniente dal centro della città.
Loretta, aveva voluto allontanarsi dalla folla dei turisti per assaporare l’atmosfera della Venezia vissuta, anche se i residenti stabili erano sempre meno.
Si fermò davanti ad una piccola bottega artigiana. In vetrina erano esposti dipinti della città. Fu colpita in particolare da una miniatura, così piccola, che a mala pena si intravedeva: il Ponte dei Sospiri. Spiccava sul fondo rosa di un tramonto improbabile, come se sul pennello, fosse rimasta attaccata una goccia rossa di troppo.
Loretta girovagava, assaporando l’atmosfera antica con l’odore salmastro che le riempiva le narici.
In certi punti, dove l’acqua era quasi stagnante, si era colpiti dal nauseabondo odore di marcio, di decomposizione. Lì, le zanzare si alzano a nuvole e ti investono come tanti elicotteri molesti.
Loretta, entrò in un vecchio bar. Il locale, aveva ancora l’atmosfera di trenta, quarant’anni fa. Tavolini tondi di formica grigia, e sedie di legno con le zampe di ferro.
Il tempo a Venezia, non scorre come altrove, è dilatato, si assiste da spettatori al mutare lentissimo della vita, scandita sempre uguale, come cullata dallo sciabordio delle onde marine.
Si sedette ad un tavolo ed ordinò un tè freddo, faceva parecchio caldo, anche se si era appena all’inizio dell’estate. Il clima umido amplificava la sensazione di afa. Loretta, si passò il bicchiere ghiacciato sulla fronte, poi lentamente prese a sorseggiare la bevanda. Chiese l’elenco del telefono ed iniziò la ricerca della famiglia Zambon.
Stavolta ebbe fortuna, qualche tentativo andato a vuoto e finalmente rispose lo Zambon giusto.
La voce al cellulare, tradiva una certa età avanzata. La signora Antonietta, si ricordava del ramo di famiglia romano, ma ormai non li sentiva più da tanto di quel tempo, che non rammentava neanche il nome dell’ultimo pronipote.
- Patrizio, signora, è la persona con la quale ho parlato – Giusto, è vero, l’avevo dimenticato! – Esclamò con voce tremolante.
Capitolo 6
Loretta, camminava con passo spedito, aveva voglia di sapere il resto della storia. Traversò l’ultimo ponte su uno stretto canale e giunse davanti al portone. Sul citofono c’erano non più di cinque o sei famiglie. L’Antonietta Zambon, abitava al secondo piano.
La vecchia signora, aveva i capelli corti e ricci, grigi leggermente sfumati d’azzurro, freschi di parrucchiere. L’appartamento era curato e ben tenuto ma modesto. Bianchi centrini, erano disseminati un po’ su tutti i mobili, la signora riempiva il suo tempo lavorando al tombolo, aveva imparato l’arte da ragazza, nell’isola di Burano. Le sue erano vere e proprie opere d’arte, ma lei si schermì ai complimenti di Loretta. Per lei non erano nulla d’eccezionale. Avrà avuto un’ottantina d’anni, ma li portava bene. Vestiva di scuro, nonostante il caldo afoso, una mantella di lana rossa, fatta all’uncinetto le copriva le spalle.
- La storia della 501, è ormai un lontano ricordo – Iniziò lei a raccontare col tipico accento veneziano – L’aveva ereditata mio zio Guglielmo, alla misteriosa morte di sua sorella Bianca.
- Successe tutto quando io ero di appena pochi mesi. – Mia madre, anche lei erede, decise di comune accordo con lo zio di venderla, dati i tempi difficili, la mia famiglia non ci fece poi molto.
- Ma come è venuta a conoscenza di questa automobile? – La signora Antonietta era stupita che quella vecchia storia fosse saltata fuori dopo così tanto tempo.
Loretta, allungandole la foto, le riassunse brevemente come ne era entrata in possesso e le indagini che aveva svolto per arrivare fin lì.
- Tu guarda, la zia Bianca! – Era una donna bellissima. Si diceva in famiglia, che fosse molto corteggiata, lei non aveva mai voluto sposarsi. Per l’epoca, la sua vita era stata considerata scandalosa. Libera da qualsiasi vincolo, aveva avuto numerose storie d’amore, anche con uomini sposati e soprattutto benestanti. La mamma, parlava sempre malvolentieri di lei, che era stata emarginata dalla famiglia intera.
Nel 1921, la trovarono morta, pugnalata in pieno petto, distesa in un lago di sangue, nella stanza di un albergo qui a Venezia.
Io piccolissima a quel tempo, naturalmente la storia l’ho appresa dai racconti di famiglia. Fu un fatto che fece parecchio scalpore, divise l’opinione pubblica. La Domenica del Corriere ne illustrò anche il macabro fatto in copertina.
Loretta, con gli occhi spalancati per la sorpresa, stava immobile, cercando di ricordare tutti i particolari del racconto.
- Che storia melodrammatica. Sembra un film d’epoca! Esclamò Loretta, continuando a sorseggiare il caffè che le aveva offerto la Zambon -
- Magari lo fosse stato! La mia famiglia ha avuto numerosi problemi per quella storia, l’eredità fu poi quasi tutta confiscata per coprire i numerosi debiti che lei aveva contratto, non le bastavano neanche i regali lussuosi dei suoi amanti. Ci restò la vecchia auto, che le era stata regalata proprio da colui che poi l’uccise.
- So di toccare un tasto doloroso, per lei, ma sa dirmi il nome dell’amante assassino? – Chiese Loretta, ormai completamente trascinata dal racconto –
- Non ricordo, sono passati così tanti anni che la memoria a volte fa cilecca –
- Dovrei avere però in qualche cassetto, i ritagli degli articoli di quel tempo, che la famiglia ha gelosamente conservato.
Si alzò e con l’andatura un po’ incerta dovuta all’età, cominciò a rovistare nei cassetti del vecchio mobile della stanza da pranzo.
Tirò fuori, una cartellina di cuoio, tutta consunta, tenuta chiusa da un elastico. – Era di mio padre, ci conservo i ricordi della famiglia e della mia vita. – Disse lei.
Con le mani tremolanti, l’aprì e sfogliando lentamente, tra fogli di carta ingialliti e vecchie foto, trovò il ritaglio dell’articolo dell’Avanti! e lo porse a Loretta.
- …Trovata a terra nella stanza d’albergo, pugnalata a morte, la signorina Bianca Zambon. L’allarme è stato dato dai vicini di stanza, attirati dalle urla della donna e da una lite furibonda scoppiata un’ora prima…
Loretta leggeva a voce alta, l’espressione concentrata, la vecchia annuiva nel risentire per l’ennesima volta quel fatto cruento.
- Il suo amante, uomo sposato, l’aveva conosciuta durante un viaggio a Venezia, poi lui, l’aveva convinta a seguirlo nella sua città: la capitale…
Loretta, continuava nella lettura, quando improvvisamente impallidì, e fissò la vecchia con un’espressione tra lo stupito e l’incredulo.
- Ha letto qualcosa che l’ha particolarmente colpita? – Chiese l’Antonietta, meravigliata dall’espressione della giovane.
- Sì, direi proprio di sì! – Esclamò Loretta, ormai completamente fuori di sé.
- L’assassino… il suo amante… Sospirò inghiottendo a fatica la saliva. Lui…. Era mio nonno! Francesco Bottieri, che noi abbiamo sempre chiamato nonno Cecco.
Loretta, era completamente sconvolta, si alzò come una sonnambula, tese la mano alla signora Antonietta per accomiatarsi, ma senza ascoltare la sua voce, non udiva nulla di quello che lei le stava dicendo. Vedeva la bocca che si apriva e chiudeva, ma era come se i suoi sensi fossero andati in tilt.
Uscì barcollando leggermente, e dovette sedersi sui gradini della scala prima di riuscire a riprendere completamente il controllo di sé stessa.
- Mamma, devo assolutamente parlarti…- Loretta, parlava a raffica, senza prendere fiato, chiusa nella stanza d’albergo, stava incollata al cellulare
- Domani, mattina ho il treno, quando posso passare da te? E’ urgente. No, non posso parlartene ora al telefono, è una cosa delicata, ne parliamo domani –
La notte passò lentamente, senza che lei riuscisse a prendere sonno. Il colpo era stato grande. Cercava di mettere insieme tutti i tasselli di quest’assurda storia, e si convinse sempre di più che quel rollino, non era stato messo per caso nelle sue mani, doveva esserci sotto qualcosa. A questo punto si andava avanti nell’indagine. Sua madre, avrebbe dovuto spiegarle parecchie cose.
L’indomani, giunta a Roma, senza neanche passare a casa per cambiarsi, si precipitò a casa di sua madre. Soltanto lei, poteva sciogliere qualcuno dei nodi di quell’intricata storia
- Loretta, sei stravolta! Dovresti cambiarti quella maglietta, è tutta sgualcita. Vai ad aggiustarti i capelli sembrano un cespo d’insalata!
Come al solito, sua madre doveva rimproverarla per qualcosa che non le andava bene. Il rapporto tra loro, era sempre stato molto conflittuale. Quando era adolescente, c’erano state sfuriate e musi lunghi da parte di Loretta, mentre sua madre affrontava ogni problema con l’immancabile durezza del suo carattere. La caparbietà l’aveva sicuramente ereditata da lei.
- Mamma ma non cambierai mai!
- Loretta, non cominciare come al solito. Mi preoccupa il modo come ti vesti. Hai sempre un’aria così sciatta!
- Sono venuta a parlarti di una cosa importante non dei miei vestiti.
- Va bene, smettiamola. Dimmi cos’è che ti ha turbata così tanto, da precipitarti qui come un bolide, dopo un mese che non venivi più a trovarmi? Non ho molto tempo, ti posso concedere una decina di minuti, ho una conferenza, sul mio ultimo libro di poesie. Tra un’ora dovrò essere da Feltrinelli.
- Sono molto contenta per te, mamma. Davvero! Non ti faccio perdere altro tempo –
Loretta in poche parole, raccontò a sua madre tutta la vicenda. Voleva sapere di suo padre, che le aveva abbandonate quando lei era nata. Perché se n’era andato, perché non aveva voluto saperne più di quella figlia che pensava sempre tanto a lui, fantasticando su un padre che non aveva mai conosciuto e di cui sua madre non aveva conservato neanche una foto. E suo nonno? Cosa sapeva della sua morte?
Capitolo 7
Fu una mattina fredda di metà inverno, quando Rosalba Neve, conobbe Renato Bottieri.
Si trovavano in un caffè, nel centro della città. Lei, giovane ragazza, era intenta a sorseggiare una cioccolata bollente, per togliersi di dosso, quel freddo pungente. Seduta ad un tavolo, con un taccuino aperto davanti ed una matita nella mano, scriveva e cancellava. Completamente assorta, con la mano sinistra, arricciava, nervosamente, una ciocca di capelli, che ribelle le copriva la fronte.
Lui, in piedi, al bancone, era entrato per prendere un caffè con un cliente. Parlava di lavoro ma con la coda dell’occhio, osservava quella ragazza, sola, seduta al tavolo. I suoi lunghi capelli ricci ribelli, i gesti nervosi, le gambe accavallate sotto al tavolo. Una sigaretta che bruciava da sola nel posacenere, la figura snella e scattante.
Poco prima di andarsene, nel pagare il conto, chiese al gestore del bar, se la conoscesse.
Era una studentessa, che spesso la mattina, faceva sosta lì, davanti all’immancabile tazza di cioccolato bollente e scriveva, per ore, su quel minuscolo taccuino.
Renato tornò ancora e ancora, finchè una settimana dopo, la trovò di nuovo lì, seduta, intenta a scrivere e nervosamente ad arricciarsi la ciocca sulla fronte, in un gesto inconscio e ripetitivo.
- Posso offrirle qualcosa? Gradisce un caffè? – Renato nel chiederglielo si sedette di fronte a lei, sfacciatamente, senza aspettare un invito.
Lei alzò lo sguardo, disorientata, emersa improvvisamente dal suo mondo interiore, lo guardò come non avesse ancora capito la domanda. Poi l’espressione cambiò e i suoi occhi sprizzarono scintille, stizzita per essere stata interrotta e importunata.
- Ci conosciamo? – Chiese lei per troncare quella conversazione molesta.
- Ancora no, ma spero di colmare la lacuna – Le rispose lui, con un sorriso disarmante.
Rosalba, incerta se accettare o alzarsi e andarsene, lo fissava negli occhi e in quegli occhi, scuri e profondi, in quel sorriso che formava agli angoli degli occhi di lui, due piccole rughe, si perse.
Si frequentarono per qualche mese. Lui sulla quarantina, importava cristalli di Boemia. Lei vent’anni di meno, laureanda in lettere, aspirante poetessa. Si sposarono, in una piccola chiesa di un paesino sulle colline marchigiane, da soli, senza avvertire nessuno, sei mesi dopo il loro primo incontro.
Renato, a causa della sua attività, spesso partiva per la Repubblica Ceca, aveva contatti con le fabbriche locali, sceglieva personalmente i pezzi da rivendere poi in Italia. Erano lunghi periodi d’assenza, che Rosalba riempiva scrivendo e studiando, sempre più presa dalla sua attività di poetessa, aveva già pubblicato un paio di libri.
Arrivò poi la nascita di Loretta, che Renato volle chiamare come sua madre. Dopo pochi mesi, il rapporto tra Rosalba e Renato, precipitò, logorato dai viaggi di lui, dall’ambizione di lei e dall’immaturità di entrambi.
Arrivato scapolo a quarant’anni, Renato, non era capace di relazionarsi in un rapporto di coppia. Lei, troppo giovane per capire e gestire il suo ruolo di madre. Renato, sparì una sera, dopo l’ennesima scenata, uscì sbattendo la porta. Rosalba, cancellò ogni traccia di lui, anche tutte le sue fotografie.
A Loretta, non parlò quasi mai del padre, chiudendosi in un silenzio pieno di rancore, quando lei le faceva domande al riguardo.
Non aveva accettato di essere madre e col tempo, questa cosa, logorò anche il rapporto tra lei e Loretta. Un rapporto difficile e conflittuale, che faceva soffrire molto Loretta per il distacco che Rosalba aveva nei suoi confronti. A Rosalba, Loretta, ricordava troppo Renato, gli somigliava come una goccia d’acqua. Uno sbaglio che Rosalba aveva pagato a caro prezzo.
Loretta se n’era andata di casa molto giovane e con sua madre aveva pochissimi contatti sporadici.
- Sai dirmi qualcosa di mio nonno, Francesco? – Chiese Loretta, mentre sua madre, dava gli ultimi ritocchi al trucco, prima di uscire.
- Non so nulla – Tuo padre non lo nominava volentieri, so che si sparò e lasciò la moglie, tua nonna Loretta, e i figli senza un sostentamento. Tuo padre, sembra si vergognasse di parlarmi di lui e io non ho mai insistito.
- Tu sai che fine ha fatto mio padre?
- No, Loretta e francamente non m’importa di sapere nulla di lui. Ora scusami ma devo andare – Rosalba, presa la borsetta, con le chiavi in mano, sospinse sua figlia verso la porta.
Come al solito, al solo sentire il nome di Renato, aveva avuto una reazione di repulsa.
Capitolo 8
Importatore di cristalli di Boemia. Questo l’unico indizio su suo padre a parte il nome. Non sapeva nulla della Boemia, né della Repubblica Ceca, la vecchia Cecoslovacchia dei tempi della cortina di ferro. Col muso lungo, tanto da scoraggiare eventuali attacchi di Livia o richieste di Lucio, Loretta se ne stava incollata al suo computer, cercando di racimolare qualche notizia in più su quel paese per lei sconosciuto.
“La Boemia è una regione ricca di storia e di cultura…” Iniziava così la pagina che era uscita fuori con Google, dopo aver digitato Boemia. Loretta leggeva e navigava sulle pagine virtuali, cercando di conoscere usi e costumi cechi, qualsiasi notizia che potesse un po’ avvicinarla al mondo nel quale suo padre, pensava, viveva da ormai molti anni.
- Loretta, che cosa sta succedendo? Ti vedo sempre assente, svogliata, concentrata sicuramente su qualcosa, ma non su ciò che riguarda il tuo lavoro.
Lucio, ormai preoccupato, aveva deciso di parlare alla ragazza. Forse non stava bene, aveva qualche problema economico. Loretta non era più la ragazza allegra, esuberante e disordinata di sempre.
- Cosa ti sta succedendo? A me puoi dirlo, sei una figlia per me, lo sai - Aggiunse con tono accondiscendente, mentre Loretta fissava la punta delle sue scarpe con un’espressione indefinita ed un po’ triste. Lucio aspettava una risposta e nervosamente aspirava fumo dall’ennesima sigaretta che si accingeva a spegnere, per accenderne immediatamente subito dopo un’altra. Il silenzio di Loretta lo rendeva ancora più inquieto, continuava a fissarla aspettando una risposta.
- Lucio… - cominciò Loretta , ma s’interruppe immediatamente. Non riusciva a trovare le parole giuste.
- Lo so, non lavoro più molto bene negli ultimi tempi. So che ti stai preoccupando, però…- S’interruppe di nuovo, mentre Lucio continuava a fissarla con la sigaretta stretta tra l’indice ed il medio.
- Se ti chiedo di fidarti di me, puoi riuscire a farlo? Ti giuro che cercherò di scrivere tutti gli articoli che mi commissionerai, farò tutto quello che vuoi tu, prometto anche di essere puntuale la mattina, però in cambio ti chiedo di lasciarmi libera e se ti chiederò qualche giorno di ferie, ti prego concedimele senza fare troppe domande. So che ti sto chiedendo troppo e se tu non vorrai accettare le mie proposte, ti capirò. Per ora non posso dirti di più, sto lavorando su un caso molto interessante ma non saprai altro da me, almeno finché non ne vengo a capo.
L’ultima frase, fu pronunciata da Loretta con un tono che non ammetteva repliche, la determinazione e l’impudenza ne facevano una persona speciale. Erano proprio queste le caratteristiche che tanto piacevano a Lucio, convinto che Loretta prima o poi sarebbe diventata una grande giornalista.
- Ok, figliola, non ti farò domande, accetto le tue condizioni a patto che se tiri fuori qualcosa di buono da questa tua misteriosa storia, sarò il primo a saperlo e ne voglio l’esclusiva.
- Questo è scontato e fuori discussione! – Esclamò Loretta abbracciandolo d’impulso e lasciandolo senza fiato, con la boccata di fumo a metà. – A proposito, sempre per la storia misteriosa, ti scoccia se domani parto per Praga? – Lucio sconcertato fece cenno di no con la testa, ma Loretta era già scappata alla sua scrivania, così velocemente che di lei era rimasta soltanto la scia del suo profumo.
Capitolo 9
- Benvenuti alla Czech Airlaines… - Doveva essere questo il messaggio che il pilota stava dicendo nella sua lingua, anche se Loretta aveva captato soltanto l’ultima parola.
Il comandante impartiva prima in lingua ceca, poi in inglese le istruzioni sui comportamenti da seguire in caso di incidente aereo. Nessuno le ascolta, ma fanno provare un certo brivido freddo dietro la schiena, pensò Loretta, mentre osservava la mimica delle hostess, vestite completamente di nero, perfino le calze erano nel lugubre colore. Nel mostrare come s’indossano la mascherina ed il salvagente, non avevano certamente un’aria rassicurante.
- Meglio riderci sopra! – Pensò scotendo la testa, mentre si allacciava la cintura e l’aereo iniziava a rullare sulla pista.
A decollo avvenuto, una hostess si avvicinò alla ragazza: - Tea or coffee? – Chiese in un inglese distorto dall’accento della sua lingua.
Loretta, la fissò in modo interrogativo, poi finalmente comprese – Coffee and a glass of mineral water, please – Rispose, tendendo la tazza vuota. Il caffè annacquato arrivò puntuale nella tazza, insieme ad un bicchiere plastificato di birra tiepida, che Loretta guardò stupita, prima di scoppiare a ridere nervosamente. Era meglio berla quella birra, tanto, tra il suo stentato inglese e quello incomprensibile del personale di bordo, chissà con cosa avrebbero riempito di nuovo il bicchiere.
La ragazza si accomodò meglio sul sedile, indossò le cuffiette dell’Ipod ed aprì il giornale del giorno, acquistato all’aeroporto.
- Va a Praga in vacanza?
– Prego? – Rispose Loretta, togliendosi una cuffia dall’orecchio.
– Stavo chiedendo se è un viaggio di piacere. –Domandò il suo vicino di poltrona.
Era un giovane più o meno della sua età, molto curato nell’aspetto. Una virgola scura di barba sottolineava il mento, i capelli leggermente arricciati scendevano poco sopra le spalle e contrastavano con l’abbigliamento classico di una giacca blu ed anonima cravatta a righe.
– Lei invece, a dire dal suo aspetto, sta viaggiando per lavoro – rispose la ragazza, dribblando la domanda.
–E’ vero! - Rise lui, guardandola con un misto di ammirazione e simpatia.
– Ecco vede, sono riuscito a farla sorridere! – Esclamò, continuando a fissarla negli occhi.
– E’ da quando eravamo in fila sulla scaletta d’imbarco che l’osservo, quel suo volto imbronciato, non fa presagire certamente una vacanza di divertimento.
– Infatti non sono in vacanza. Diciamo un viaggio di lavoro.
Loretta ormai, si stava rilassando, il suo compagno di viaggio era una persona piacevole ed anche parecchio carino, pensò con un pizzico di malizia.
- Dove lavora? – Chiese la ragazza, sempre più interessata ad approfondire quella casuale conoscenza.
– E’un po’ complicato da spiegare , diciamo che lavoro nel campo legale – rispose lui restando vago
– Diamoci del tu - Aggiunse ridendo
- Ormai ci conosciamo abbastanza, Roberto Rossi - Si presentò tendendo la mano.
- Rossi? – Chiese Loretta un po’ scettica.
– Lo sapevo! Quando mi presento, c’è sempre un’aria d’incredulità che mi circonda. Cosa posso farci se quello è il mio vero nome? – Le rispose lui, con aria altrettanto ironica.
Lei sospirò per la gaffe appena fatta e porgendogli la mano un po’ mortificata, aggiunse:
- Loretta Bottieri, piacere –
- Piacere! – Esclamò lui ridendo per sdrammatizzare quel breve momento di imbarazzo della ragazza.
-- Tu invece che fai nella vita?
– Sono una giornalista, diciamo che scrivo articoli per un giornale locale, ma sogno di fare il grande salto
– Bisogna sempre seguire i propri sogni, lottare per arrivare a realizzarli – soggiunge lui.
La conversazione andò avanti così, per quasi tutto il viaggio. Loretta, gli raccontò un po’ la storia che l’aveva portata a salire su quell’aereo, di come fosse difficile trovare una pista che la portasse a ritrovare suo padre di cui non sapeva nulla dal giorno che era sparito. Dopo tante ricerche era riuscita a scovare una società italiana che esportava cristalli di Boemia. Aveva scritto una lettera e finalmente aveva trovato una traccia. La segretaria dell’amministratore delegato, le aveva dato un appuntamento a Praga per rispondere alle sue domande per l’articolo sulla ditta. Loretta, aveva trovato la scusa di un articolo sul suo giornale, per pubblicizzare il lavoro dei nostri connazionali all’estero. La scusa era stata presa per buona e lei ora stava volando verso l’appuntamento.
- Loretta, possiamo rimanere in contatto?
- Lo sai Roberto, che stavo per chiederti la stessa cosa? – Gli allungò un biglietto con su il suo numero di cellulare ed altrettanto fece lui prima che si separassero. Loretta aveva ancora nelle orecchie il suono della sua voce, ed il sorriso che gli illuminava il volto. Era stata veramente colpita da quel giovane uomo che stranamente aveva una vaga aria già conosciuta, quasi familiare.
– Se non chiama lui entro qualche giorno, lo farò io – pensò, aggiustandosi i capelli con civetteria, mentre si specchiava nella toilette dell’aeroporto.
Capitolo 10
Era seduta in un bristrot nell’enorme piazza di S. Venceslao, sorseggiando una coca ghiacciata mentre aspettava la segretaria per la sedicente intervista. Osservava l’architettura del grande palazzo dal quale prende il nome la piazza, ricordando il triste episodio dello studente che si bruciò come una torcia umana, per cercare di fermare l’avanzata dei carri armati sovietici, nel 1968.
Loretta pensò che il tempo aveva cancellato un po’ tutto e la caduta del Muro aveva portato lentamente la Repubblica Ceca, ad essere a pieno titolo un paese europeo, ormai sembrava di essere veramente a casa. Le vetrine dei negozi erano tutte addobbate per attirare i turisti, anche se la moda del posto aveva ancora una forma vagamente triste ed autarchica, molto lontana dal gusto e dalla fattura degli abiti italiani. In compenso le numerose vetrine di cristalli scintillavano mostrando la bellezza di un prodotto conosciuto in tutto il mondo. Chissà perché suo padre, in un lontano passato, aveva scelto un paese allora molto scomodo, dalle frontiere chiuse verso l’occidente. Un suo personale modo, per chiudere con il passato, forse. Un gesto di stizza verso questo pensiero, le fece andare di traverso l’ultimo sorso della bibita, provocandole un colpo di tosse. In quel momento si stava avvicinando una giovane ragazza che porgendole la mano in una stretta vigorosa, le chiese in un buonissimo accento italiano, leggermente sporcato dalla pronuncia ceca:
– E’ lei Loretta Bottieri?
Loretta, impreparata ad una conversazione nella sua lingua, rimase perciò molto meravigliata nell’apprendere che la sua interlocutrice la parlasse così bene.
- Che sciocca – pensò - Lavora in una ditta italiana, ha relazioni con l’Italia, dovrà per forza conoscere la lingua.
– Sì, sono io.
- Come avrà appreso dalla mia lettera, sono la segretaria dell’amministratore delegato della Ceske Praha Glass, come noterà nome poco fantasioso, ma di chiara comprensione nel suo paese, cosa che ci facilita il contatto con gli operatori italiani.
- Sono molti anni che operate nel settore? – incominciò Loretta, che spinta da tutt’altri motivi, cercava di ottenere notizie che potessero portarla a rintracciare suo padre. La conversazione, si protrasse per una buona mezz’ora, senza portare particolari indizi per l’indagine di Loretta, che demoralizzata, mentre fingeva di ascoltare la sua interlocutrice, cercava un pretesto per troncare la conversazione e studiare qualche altra strada da percorrere.
- Bene, credo che sia tutto - concluse Loretta, ormai stanca di ascoltare tutti quei dati sui clienti, i vasi, gli Swarovski e gli italiani meravigliosi.
– La ringrazio molto. Signorina?
- Lojza Bottieri. Finalmente Loretta, ce ne hai messo di tempo per chiedermi il nome! – Esclamò ridendo Lojza. - Mi sono divertita da matti a rispondere alle tue domande.
– Bottieri? – Richiese Loretta, quasi non avesse afferrato bene. Aveva la bocca completamente spalancata con l’espressione di un merluzzo appena preso all’amo.
Bottieri? - Ripeté per la terza volta.
- Sì , Bottieri - rispose sua sorella.
- Non sapevo di avere una sorella – Iniziò, riprendendo il filo del discorso, Loretta, subito interrotta da Lojza.
- Neanche io Loretta, l’ho scoperto da poco.
- Raccontami della tua vita qui e di papà .
- Papà che prima faceva il pendolare con l’Italia, si stabili definitivamente a Praga alla fine degli anni settanta.
- Sparì dalla mia vita che ero piccolissima. Non ricordo nulla di lui.
- Aveva un appartamento nel quartiere di Malà Strana, che nella mia lingua, significa "Parte Piccola". Sei mai stata a Praga?
- No, è la prima volta che vengo qui.
- Allora dovremo girarla insieme, è una città meravigliosa e si dice che abbia un’atmosfera magica. Malà Strana è un quartiere molto particolare. Ci si giunge attraversando Ponte Carlo. E’ rimasto praticamente intatto nei secoli.
- Veramente non so nulla, dovrai spiegarmi e farmi vedere la città. Torniamo a papà. Che successe dopo che si stabilì qui?
- Continuò l’attività con i nostri cristalli di Boemia. Li esportava in Italia. Poi, lo fece essenzialmente da qui. In Italia ci andava di rado e sporadicamente.
- Se è tornato, perché non mi ha più cercata?
- Loretta, fammi continuare il racconto, ci arriverò.
- Tu allora, sai qualcosa?
- L’ho scoperto da poco, ma torniamo alla storia di papà. Lui, qualche anno dopo, conobbe mia madre, Darina. A quel tempo, appena assunta nella sua azienda. Era la sua segretaria personale.
Tra loro c’erano una ventina d’anni di differenza.
- Come tra lui e mia madre – Gli piacevano le donne più giovani – Osservò Loretta, con una punta di sarcasmo.
- Capisco il tuo risentimento ma papà è stato un uomo meraviglioso.
- E’ stato? Mi piacerebbe trovarmi faccia a faccia con lui. Abbiamo molte cose da dirci e da spiegare.
– Purtroppo, Loretta, non potrai farlo. Papà è morto una decina di giorni fa – Sul volto di Lojza, sempre sorridente, passò un’ombra di tristezza.
Loretta non s’era aspettata una tale notizia. Aveva tante volte immaginato, cosa avrebbe provato, quando suo padre, sarebbe morto. Nel risentimento di tutti quegli anni, aveva sempre immaginato un vuoto dentro di lei. Invece fu sorpresa di provare un sincero dolore.
- Non sapevo… - Le parole le si strozzarono in gola.
- Non potevi saperlo – Lojza le mise una mano sulla spalla. Poi, passato il primo istante d’imbarazzo, l’abbracciò.
- Siamo sorelle, lo condivideremo insieme.
- Come è successo?
- Non se n’è neanche accorto. Un infarto improvviso, mentre stava lavorando, seduto alla scrivania. Negli ultimi tempi, aveva rallentato un po’, gli anni gli pesavano ormai sulle spalle.
- Raccontami di lui – Disse Loretta asciugandosi una lacrima, col dorso della mano.
- So che lui ti ha voluto molto bene. Non ha mai parlato di te, ma ho trovato tante lettere su di te.
- Perché allora, non mi ha mai cercata, non mi ha mai scritto?
- Aspetta di sapere tutta la storia, non essere impaziente. Papà, per un po’ ha convissuto con mia madre. Voleva sposarla ma ha dovuto lottare per avere il divorzio in Italia, era stato da poco promulgata la legge. Prima non avrebbe potuto. Tua madre però, gli mise il bastone tra le ruote. Furono anni di battaglie legali.
- Mia madre? Ma se non l’ho mai potuto nominare! Non capisco.
- Per lei, fu una forma di vendetta per essere stata abbandonata.
- Ma non le importava nulla di lui!
- Il rancore era l’unica cosa che le era rimasto e lo coltivò.
- Devi convenire però, che lui, non s’è comportato bene con mia madre e con me.
- Apparentemente sembra così, ma se leggerai il suo diario, iniziato a scrivere quando venne definitivamente a Praga, potrai capire molte cose.
- Lo leggerò, però tu ora, anticipami qualcosa.
- Tua madre, come scrisse lui, era completamente presa dalla sua carriera di scrittrice.
- Questo lo so, è una persona egocentrica, non s’accorge di quello che le è attorno.
- Cominciò a essere indifferente quando lui tornava dai suoi viaggi di lavoro. A volte neanche la trovava in casa, era andata in giro per conferenze o feste. Poi sei arrivata tu. Lei non prese bene la maternità e si comportava con te, con freddezza. Almeno è quello che lui ha scritto.
- E’ la verità, ancora si comporta così. Ne ho sofferto moltissimo. Immagina una madre così e un padre che si è dimenticato di me. Infanzia difficile la mia.
- Papà non si è dimenticato di te! – Lojza difese il padre, risentita - Se ne andò perché lei, non lo sopportava più. Non voleva più saperne di lui. Così papà decise di stabilirsi a Praga.
- E non mi cercò più!
- Non è vero. I primi tempi, tornava ancora in Italia e cercò di vederti. Lei glielo impedì. Ti ha scritto un centinaio di lettere negli anni, gli sono tutte tornate indietro, intatte.
- Non ne ho mai saputo nulla. Mia madre dovrà spiegarmi il perché. Lei sapeva dove si trovata, papà, e ha sempre taciuto – Stavolta Loretta era veramente furiosa con sua madre.
- Ti darò tutte le lettere.
- Grazie Lojza. Noi due saremo due buone sorelle.
- Ne sono sicura, tu potrai insegnarmi molte cose, sei una brava giornalista.
- Spero di diventarlo.
- Lo sei Loretta, papà ti ha seguita da lontano, ma sapeva tutto di te.
- Perché, non mi hai contattata se sapevi di me?
- Non sapevo di te. Ho scoperto la tua esistenza, quando hai richiesto l’intervista. Ho visto il cognome, ho pensato ad una presunta omonimia. Mi sono incuriosita e ho incominciato a rovistare nelle carte di papà, così ho appreso quello che ti ho raccontato. Ora dimmi tu, come mai sei venuta a cercarmi?
Loretta le raccontò delle foto, del nonno e di Bianca Zambon.
- Sono ad un punto morto. Speravo di poter parlare con papà e ora che non c’è più, non so come andare avanti.
- Ti aiuterò io – Le promise Lojza.
[continua]
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