A te navigante...

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venerdì 12 settembre 2014

La Donna Cannone *


La gente si accalcava alla biglietteria. Il tendone a strisce bianche e rosse era tutto una luminaria. L'orchestrina suonava da ore.
- Avvicinatevi Signori e Signore, venite a vedere lo straordinario spettacolo: l'Uomo Albino e la Donna Cannone. Affrettatevi!
Il fitto brusio della folla divenne quasi boato.
 - Ci sono gli elefanti?
- Certamente signore.
 - Lo vedi Cesarino che gli elefanti ci sono.
 Cesarino batté la mani euforico.
Nel tendone, poi, fu tutto esaurito.
La gente sulle panche era seduta stretta, stretta. 
La musica dette inizio allo spettacolo.
 - E ora Signori e Signore potrete ammirare Leila, la donna libellula, la trapezista. Si libra  in aria sfidando la sorte senza rete.
La gente a naso in su tratteneva il fiato, sottolineando con “Oh” di meraviglia i volteggi in aria di Laila.
Poi fu la volta della cavallerizza e quella del pagliaccio dalle scarpe infinitamente lunghe e il naso rosso e la faccia impiastricciata di biacca.
E vennero gli elefanti, tenendosi la coda gli uni e gli altri con la lunga proboscide come tanti bambini dalla stazza enorme.
La gente applaudiva, i bambini gridavano di meraviglia, non avevano mai visto un animale grosso così. 
Infine entrò Lei, scintillante nel suo costume, rosso a lustrini e piume. 
Centocinquantadue chili di meraviglia.
Il volto truccato pesante, le ciglia nere che sembravano cartone.
Sorrideva al pubblico facendo il giro della pista ancheggiando faticosamente. Era quasi una danza lenta e sinuosa il suo avanzare.
- La donna Cannone! La donna Cannone! - e si fece silenzio.
Qualcuno fischiò lì nel pubblico. Un lungo fischio di derisione.
Lei, col volto fiero, guardava impassibile la folla e sorrideva e i denti brillavano alla luci di scena.
Danzò portandosi appresso il suo fardello con una grazia impensabile.
Le luci si spensero e l'orchestra tacque. La gente via via scemava e il tendone a strisce rosse e bianche restò vuoto. Soltanto Lei era rimasta lì, al centro della pista e sognava ancora gli applausi e sognava il suo amore.
Lo guardava di nascosto dietro al sipario.
Era alto e bello e soltanto lei lo sapeva. Il volto di lui era celato da strati di biacca, nascosto da un sorriso perenne che ne ricopriva l'eterna tristezza. Lui, innamorato non corrisposto della Donna Libellula non si accorgeva di quanto amore fosse celato sotto le pieghe del corpo enorme della Donna Cannone. Era gentile con lei  ma non la guardava mai come guardava l'altra.
Ne osservava il volteggi  con il naso all'insù, quel naso acceso, liscio come una biglia, tondo come una mela e rosso, trattenendo il respiro per il timore di una caduta estrema. Con la bocca all'insù in un unico tratto nero.
La Donna Cannone l'odiava quella eterea figura che volteggiava leggiadra in aria lassù, così vicina al cielo. Una lacrima nera di trucco sciolto le rigava entrambe le rubiconde guance e ne deturpava quella dolcezza che emanava nonostante l'aspetto estremamente pingue.
Voleva fuggire, andare lontano via dal dolore, via da lui che non l'amava ma il circo era tutta la sua vita e restava incollata dietro il sipario a spiarlo. Tutto quel dolore di anni di derisione ella l'aveva nascosto e seppellito sotto strati e strati di carne. Quel peso la consolava la faceva sentire protetta. 
A volte l'odiava, quel corpo, pieno, rotondo oltre ogni immaginazione, racchiuso in centri concentrici di cattiveria umana. Lei  sapeva di poter volare leggera lassù nel cielo e volteggiare soltanto per lui, tenendolo per mano.  Sarebbero andati insieme tra le nuvole.
E vedeva il pubblico applaudire in faccia ai maligni e ai superbi. 
E lui l'avrebbe finalmente vista e si sarebbe innamorato di lei.
Lei, la Donna Cannone fece l'ultimo giro di pista e poi volò, diventando d'oro e d'argento alla luce dell'astro calante.
Non le importava di non essere bella come avrebbe voluto lui, perché lassù finalmente ella volava leggiadra sognando di tenergli le mani e portarlo a danzare con sé. Senza ali e senza rete ella volò per non tornare mai più. 
Lui, per la prima volta vedendola sparire, pensò a quanto fosse bella.
Avevano tutti chiuso gli occhi nell'attimo in cui volò e stettero col naso in aria ad aspettarne il ritorno.
Si parlò di lei per sempre. 


* Ispirato dalla canzone di Francesco De Gregori

2 commenti:

  1. Bel racconto, intrisa di malinconia. Un omaggio al grande De Gregori di cui puoi esser fiera. Brava Carla!

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  2. Una delle mie canzoni preferite. Ho voluta interpretarla a modo mio

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