A te navigante...

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martedì 6 dicembre 2011

Il dito nell'occhio: Vizi italici e microscopiche virtù- episodio 2




In metropolitana
Le persone allineate sulla banchina aspettano con impazienza che arrivi la metropolitana. La linea gialla è davanti che delimita il punto di non ritorno. Chi l’oltrepassa, rischia di finire stritolato e cadere sui binari. Lo sanno tutti ormai, è una frase che nessuno ascolta più, trapassa le orecchie, entra come un refolo di vento molesto.
Alcuni insofferenti ad ogni regola, pensano di essere furbi e mettono prima un piede, con fare circospetto, aspettandosi la bacchettata dell’altoparlante, se questo tace, per distrazione o sfinimento, con arroganza, ce li mettono tutti e due e si sporgono al di là, per vedere quando arriva il treno, anche se c’è un display luminoso che fa il conteggio dei minuti che mancano all’arrivo del convoglio. Allora perché sporgersi? Semplicemente perché è divertente violare la regola. Sembrano scout indiani che scrutano l’orizzonte per mandare i segnali di fumo. La cicca in bocca, l’aspirano come dovessero fare il pieno di nicotina nelle branchie, prima d’immergersi nel liquido della folla ed espirano boccate di fumo frenetiche per finire la cicca e gettarla via, prima di salire, lì in mezzo al binario che è diventato un cimitero di cicche giallognole.
E’ vietato fumare: vietato che?
E’ vietato scattare fotografie: Che hanno detto?
L’altoparlante non parla quasi più, che andassero al diavolo tutti, io qui a diventare afono e loro giù a violare le regole.
In certi giorni nefasti, c’è chi decide non solo di oltrepassare la linea ma di porre fine alla sua vita e salta giù, sotto le ruote del treno.
Pochi si rattristano, pensando alla vita spezzata. Tutti gli altri imprecano, proprio oggi si doveva ammazzare?
Mors tua vita mea.
Il convoglio arriva, le porte si aprono e la folla s’accalca. Lasciate scendere prima di salire, io l’ho imparata a memoria, ma in questo Paese, siamo tutti di memoria cortissima in certi casi.
Chi è dentro, esce spintonando chi vuole a tutti i costi entrare. Le porte non riescono a chiudersi, si perde tempo e volano le cattive parole e gli improperi. Mai come a Roma, il turpiloquio assume toni coloriti e accesi, si passa dal maledire tutti i morti della tua dinastia, a mettere in mezzo escrementi vari o l’essere figli di qualche meretrice di passata generazione. Qualcuno se la prende persino col Padre Eterno.
Dentro l’inferno in terra, nell’ora di punta. Entri e ti fanno avanzare a spintoni, s’inciampa nell’inevitabile trolley, mentre ti becchi in faccia lo zaino davanti. E’ così difficile sfilarlo e tenerlo in mano come una borsa, durante il tragitto?
Se invece la vettura non è pienissima, c’è l’accaparramento al sedile vuoto. E’ legge matematica, chi si siede, è sotto i vent’anni, tutti gli altri in piedi, soprattutto gli anziani traballanti. Il giovane si nasconde dietro la musica sparata dalle cuffie a tutto volume, forse è per questo che non s’alza, le sue funzioni mentali sono state spappolate dalle onde sonore. Gioca sul cellulare e manda messaggi criptati, prima che si entri in galleria. Se lo fissi dritto negli occhi, ti ritorna uno sguardo ebete con una punta di strafottenza. Quello vicino urla, pronto? Pronto? Ci sei? E impreca perché siamo nel terzo mondo e i cellulari in vettura non funzionano.
Mors tua vita mea.
Quando si scende, bisogna essersi allenanti col personal trainer. Una corsa ad ostacoli, sbrigarsi a scendere, altrimenti rischi di rimanere metà dentro, metà fuori, scavalcare il trolley che taglia la strada rotolando, incurante dei feriti e dei caduti che lascia sul campo, evitare lo spintone di chi entra, mandarlo a quel paese, e arrancare verso la scala mobile.
Ci si può rimettere la vita, su una scala mobile, in una stazione affollata. Tieni la destra, disciplinato, tenendo il mancorrente ma c’è chi corre a piedi, col trolley che s’incastra sui tuoi piedi e impreca, perché non sei abbastanza a destra della scala, non ti resta che spalmarti sul muro. Ti ha fatto distrarre quel tipo del trolley e ti arriva la pestata sull’alluce dalla ragazzetta in tacchi a spillo, che corre da destra a sinistra e viceversa, tra parolacce irripetibili, mentre lo zaino le ondeggia sulle spalle.
Ce l’hai quasi fatta, basterebbe oltrepassare il tornello e sei fuori. Sbagliato! Nessuno bada a coloro che sono dietro e se non arretri un po’, ti prendi sul femore la barra di metallo mentre gira. Assicuro che il dolore è lancinante.
Era meglio prendere l’autobus?
No! Da sconsigliare, alla calca bisogna aggiungere la frenata sincopata, avanti, indietro, con scossone finale e strappo muscolare sulla spalla.
Si entra dalle porte laterali, si esce da quella centrale. Sbagliato! Si entra e si esce dove ti pare, tra i soliti spintoni e qui, c’è anche il gradino da scendere, mentre l’autista, a volte distratto, ti chiude la porta e braccio con borsa restano dentro.
Qualche volta, si distrae troppo col cellulare ma rischia di essere ripreso e immortalato su youtube.
La fermata multipla, intendo quella con più linee sulla stessa palina, la chiamano così in gergo tecnico. Una trappola per i poveri passeggeri. Arrivano quattro o cinque autobus insieme e che fa l’autista di quello dove dovresti salire? Si ferma a 50 metri dalla fermata, perché è in coda e non vuole riaprire le porte al punto giusto. Se c’è spazio corri e speri di acchiapparlo al volo, altrimenti tra una spallata e l’altra lo vedi tranquillamente passare a porte chiuse.
Era meglio allora prendere l’auto privata?
Questa è un’altra storia da narrare.


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