A te navigante...

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venerdì 17 febbraio 2012

Il Rosso



Pubblicato su splinder il 22-11-2010

Apparve improvvisamente un mattino freddo di dicembre. Lo trovammo lì, sulla scalinata di via Valeriano, straripante nella sua giacca di pelle scamosciata, troppo lucida e lisa, che a malapena conteneva la sua stazza. Sembrava un Babbo Natale non ancora incanutito ma col pancione bene in evidenza.
I capelli incolti, che poco conoscevano acqua e sapone, gli scendevano sul collo in riccioli di color rosso ramato e si confondevano con la folta barba, che gli nascondeva il volto ma non gli occhi, trasparenti ed azzurri come l’acqua fredda del nord. Lo sguardo  rivelava un’antica fierezza, ormai quasi celata dai fumi dell’alcol.
La scalinata divenne la sua casa, illuminata dalle luci intermittenti degli addobbi natalizi, riscaldata da cartoni e cartoni di vino scadente.
Lui sedeva su una sdraio, forse regalo di qualche passante pietoso, tronfio, dall’aria quasi regale, come un antico re vichingo, del quale ricordava l’aspetto.
Il Rosso, lo chiamerò così. Non chiedeva, non si lamentava, non tendeva la mano, rimaneva seduto ai piedi del Casale Garibaldi.
Vecchia costruzione che ricorda la campagna che era qui. Vigneti e vendemmie, le antiche ottobrate romane, condite dallo stornellare dei gitanti che festeggiavano l’estate che svaniva. Ora lo chiamano la città dell’Utopia ed è diventato un centro di integrazione.
Il Rosso e l’utopia, la sua vita è tutta lì. La ricerca di qualcosa che egli sa che mai potrà trovare. La rincorre, annebbiandosi la mente nell’alcol. Cosa sogna, cosa cerca? Solo lui lo sa ma forse non lo ricorda neanche più.
Fa freddo, spira dal nord la gelida tramontana che arrossa i nasi e gela le mani.
Stringendosi il cappotto attorno al corpo gli passi davanti ed uno strano sentimento di vergogna ti avvolge, stringe come una sciarpa malevola la gola. Non riesci a guardare, abbassi gli occhi accelerando il passo, mentre il senso di colpa ti precede. Pensi alla casa calda ed accogliente nella quale vivi, alle strenne natalizie che reggi nelle mani. Un contrasto tagliente e doloroso: divide in due. Tu da una parte e lui là, attaccato al suo scettro alcolico.
Da dove viene, perché proprio qui? Non sono giorni di dolore, sono giorni di gioia ed allegria forzata, di finta bontà, sparsa al vento gelido del nord. 
Barcolla, cercando di tenersi in piedi. Un fiero vichingo sulla tolda della sua nave, agile e snella, sospinta dalla vela spiegata. Naviga verso il suo destino e cerca di mantenersi ritto, resistendo al rollio tra babordo e tribordo; tra fame e miseria.
Un passo malfermo, sembra che cada, ma resiste. Getta la gomena, nessuna mano è tesa ad afferrarla. Passanti frettolosi che ostentano infastiditi una finta indifferenza. Qualcuno però, non reggendo alla colpevole noncuranza, gli porta un pasto caldo, racchiuso in un contenitore d’alluminio.
Passano i giorni, attorno a lui ormai i contenitori di vino vuoto e d’alluminio sporco, non si contano più.
La sua vista, dà sempre più fastidio. Un’isola di doloroso caos, tra tanta allegria festaiola.
E’ scomparso un giorno nella nebbia di gennaio, forse spazzato via dalle onde indifferenti e contrarie.
Qualcuno ha gettato nei cassonetti i resti del suo soggiorno, assieme ai nastri e alle carte lucenti del Natale. Hanno pulito e spazzato tutto. E’ come se il Rosso, non fosse mai esistito.
Di lui è rimasta solo un’immagine, nella mente di coloro a cui un pezzo di cuore è ancora rimasto attaccato.


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