A te navigante...

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mercoledì 19 settembre 2012

Dolci, ricordi e uno stampo


 

 

 

Era lì, dentro la dispensa materna da anni, dimenticato, sentiva nostalgia di zucchero, coccole e cannella, lo stampo da ciambellone di papà. L'avevo rimosso dalla memoria, aggrappata ad un dolore che piano, negli anni, è scivolato nel ricordo e nella mancanza.
Rivivo la sua presenza negli oggetti, quelli più amati da lui, risento nelle orecchie la sua voce e improvvisamente, appaiono in scena i rumori e gli odori, sul palcoscenico dei ricordi.
L'alluminio, nonostante gli anni è rimasto intatto, non un'ammaccatura ne scalfisce le scanalature.
Lui amava cucinare ma ancora di più amava fare dolci da forno.
Avevamo sempre un ciambellone, una torta profumata e morbidamente ricoperta da zucchero a velo, come un coltre di neve bianca, che saziava i poderosi appetiti d'adolescenti.
La cucina, ad una certa ora, quando lui era libero dal lavoro, profumava di forno, di limone o vaniglia e la farina volava come coriandoli a carnevale. Una festa continua, che si perpetrava di giorno in giorno. Non esistevano impastatori, fruste di ultima generazione ma solo il recipiente di plastica, quello dove, condivamo anche la pasta, e un cucchiaio di legno o se proprio serviva di montare, le fruste a manovella, quelle del nonno, forse anteguerra.
Era ipnotizzante guardarlo girare con forza il cucchiaio. Di forza ne aveva, a volte esagerava, rompeva e spezzava le cose per troppa energia non dosata. Quando impastava, il burro si scioglieva con lo zucchero sotto i suoi attacchi, formando una crema compatta in cui avrei affondato un dito per rubarne un pochino.
Poi le uova, i bianchi montati a neve, che a lui, riuscivano come niente, neve soda, come budino tremolante. A me, ci sono voluti anni per imparare, quando finalmente ho deciso di comperare le fruste elettriche, la mia forza motrice non era la sua.
Dall'impasto uscivano fuori torte dal profumo stordente. Il suo cavallo di battaglia: la torta di mele, così richiesta che divenne la torta di ogni compleanno, la sua ricetta preferita, quella che ogni nipote richiedeva battendo le manine e saltando.
Nessuno a loro dire, la sapeva fare come lui.
Le crostate di marmellata, preparata da mia madre, erano oggetto di trepidanti attese davanti al forno. Le avremmo addentate bollenti, ma il suo sguardo, severo, mandava lampi di disapprovazione. I suoi occhi azzurri, del colore del mare calmo e di calmo avevano solo il colore, riuscivano ad esprimere quello che non usciva dalla bocca ma era molto evidente, lui, uomo di altra generazione, di poche parole. Si restava lì, davanti al forno, ad annusare, sniffare quell'odore, con la bava alla bocca.
La cucina diventava un caos, e toccava a mia madre sistemare, e guai a stargli intorno quando impastava, il vocione si alzava, come contrabasso dalla nota troppo alta.
Era burbero mio padre, si nascondeva in modi bruschi e autoritari ma dentro era un cuore morbido di cioccolato. La sua presenza riempiva una casa e la vita di ognuno di noi, a volte ingombrante ma colonna solida su cui poggiarsi, nei momenti bui.
Era coccola al profumo di vaniglia, in qualche caso un po' aspra, come torta dove il limone a volte prevaleva e ti faceva venire una smorfia, avresti voluto aggiungervi dello zucchero, ma poi sotto, sentivi ancora il tepore del suo affetto immenso, avvolgente, rassicurante.
L'ho scoperto negli anni, mio padre, togliendo una sfoglia per volta, i contrasti, le discussioni che ci contrapponevano, come il latte e cioccolato, l'uno bianco e dolce, l'altro amaro e scuro antagonisti che si completano ma non perdono le loro caratteristiche, nessuno voleva cedere, e alla fine, vinta dal timore, dal rispetto che gli portavo, abbassavo la testa ma non cambiavo opinione e un po' gli portavo rancore.
Poi se n'è andato, lasciando un vuoto immenso, incolmabile, niente più lampi negli occhi, niente voce che rimbalzava tra le pareti di casa. Silenzi prolungati, una casa che mia madre, ha trovato improvvisamente immensa e vuota, troppo silenziosa, senza di lui si era dilatata nello spazio.
Spariti i dolci, dimenticati gli stampi e gli attrezzi. Il solo pensiero: una lacrima continua e dolorosa. Il tempo, attenua, il tempo raffredda i dolori e le torte.
Prendo lo stampo, me lo rigiro tra le mani, come una reliquia, e mi sembra che lui mi sorrida e annuisca.
Rispolvero le sue ricette e lo porto a nuova vita, ma non saranno le stesse torte, manca un ingrediente, quello principale: lui.

 

 

 

A mio padre



Cerco di rammentare
il tuo volto.
E’ memoria ormai.
I tratti, smarriti dal tempo.
Velati da un ricordo
che addolcisce e leviga
ogni spigolo.
Resta nei pensieri,
l’amaro rimpianto
dell’assenza
e mi cullo
nel tuo amore
eterno.

Per chi volesse conoscere la ricetta, la può trovare qui:

Questa opera è tutelata secondo le  condizioni previste da questa licenza creativecommons

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