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giovedì 4 settembre 2014

Cencio e il mistero delle buche

foto: www.ilcacciatore.com



Una notte buia e senza luna avvolgeva il terreno ricoperto di stoppie. Aveva piovuto da poco, una lieve spruzzata di acqua dalle gocce sottili e minuscole, sufficienti appena per abbassare la polvere secca. Era stata un'estate molto calda, non un filo d'erba era riuscito a crescere e il fieno lasciava ergere dalla terra le basi tagliate ormai da un mese, irte e scricchiolanti sotto i passi pesanti del contadino.
Ne aveva espresse di  maledizioni contro quel tempo avverso che gli aveva dato un raccolto insufficiente.
Aveva sudato e faticato su quella terra ingrata, invocando una pioggia che si era beffata di lui, degli uomini e delle bestie.
Le mucche producevano poco latte e le uova scarseggiavano. L'istinto animale si regola sulla sopravvivenza e sopravvivere non implica riproduzione. Quell'estate era nato un solo vitello ma debole e malaticcio e non prometteva bene.
Erano anni che le estati erano sempre più aride ma quella era stata considerata il più alto picco nella curva statistica degli ultimi cinquant'anni.
Martino, era pieno di rabbia mista a disperazione. Lo chiamavano Cencio, per via del fazzolettone a scacchi ormai ridotto a brandelli, con cui si asciugava perennemente il sudore, che altrimenti gli sarebbe colato sugli occhi, 
Quella sera aveva da poco cenato con una fetta di formaggio,  grassa e spessa, racchiusa tra due fette di pane nero, aveva accompagnato questa frugale pasto con un bel bicchiere di vino rosso che a trovarlo di buona annata era sempre più raro. Lui ne aveva ancora qualche bottiglia di cinque o sei anni prima che centellinava per le occasioni. Aveva deciso che quella sera benché di occasioni non ce ne fossero state, era giunto il momento di stapparne una. Era d'umore pessimo e forse un bel bicchiere anzi due o tre gli avrebbero fatto ritrovare un po' di buonumore.
Cencio ormai avvezzo alle maledizioni ne tirò anche un paio verso le cicale che gli avevano rintronato nelle orecchie tutta la giornata. Al calar della sera, quasi si fossero offese, tacquero facendo seguire un silenzio irreale subito interrotto dal canto dei grilli.
Cencio proprio non ne poteva più. Il caldo, le zanzare, i rumori e i fruscii della notte quella sera non li sopportava proprio. Si schiaffeggiò su una mano per schiacciare l'ennesima molesta succhia sangue che gli sfuggì per un pelo, inseguita da una  sfilza d'imprecazioni.
Decise di andare a coricarsi. Il solo pensiero di rigirarsi, in quelle lenzuola arroventate che si sarebbero inumidite, diventando appiccicose nel giro di qualche minuto, lo faceva tentennare sulla soglia di casa.
Guardava le ombre degli ulivi allungarsi alla fioca luce delle stelle. Due nuvole oscurarono del tutto il cielo. Avevano un colore grigio leggermente sfumato di rosso, gli era rimasto attaccato durante il tramonto e Cencio pensò, o forse sperò nella pioggia del domani.
Tracannò l'ultimo mezzo bicchiere di rosso e con un sospiro entrò, chiuse l'uscio a chiave e spense la luce.
I grilli ormai afoni avevano smesso di cantare era in quell'ora che l'aria ristagna e il vento si fa ritroso. Cencio russava supino a bocca aperta, zuppo di sudore. Sognava di correre sotto la pioggia e sentiva le scarpe affondare nel terreno intriso d'acqua. Quelle scarpe troppo pesanti, facevano uno strano rumore nel calpestare il suolo. Uno scricchiolio, quasi il raspare di un grosso cane.
Cencio si rigirò ma il rumore non cessava in quel sogno bagnato.
Il mattino andando per i campi aridi, notò che il terreno sotto alcuni olivi era stato smosso e numerose buche, poco profonde lo ricoprivano.
Imprecò come mai gli era riuscito di fare. Chi aveva osato scavare nella sua proprietà?
Uomo o bestia che fosse, Cencio era deciso a fargliela pagare.
Quella notte non avrebbe dormito. Quella notte egli avrebbe fatto la guardia. Quella notte, avvolta nel buio pesto, come la precedente, Cencio imbracciava un fucile carico. 
Si era appostato dietro un bidone dell'acqua che gli serviva per innaffiare le poche piante dell'orto che erano sopravvissute. L'aria,  appiccicosa d'afa, odorava di polvere e del suo sudore. 
Le ore passarono ma nessuno si fece vivo, né uomo, né bestia. Solo le zanzare felici e grasse, avevano banchettato col suo sangue un po' inacidito dalle avversità e dalla solitudine.
Il mattino dopo, duecento metri ad est delle prime buche, Cencio ne trovò altre tre.
Furibondo iniziò a imprecare e tirare maledizioni a casaccio. Era stato di guardia tutta la notte, era stato vigile o forse si era addormentato sognando di vigilare?
Il dubbio gli venne così improvviso come una secchiata d'acqua gelida. Decise che avrebbe vegliato di nuovo la notte seguente e s'imbottì di caffè per non addormentarsi.
La canna del fucile era puntata in alto, caso mai, preso di sorpresa si fosse sparato per sbaglio su un  piede. Cencio tratteneva il respiro per non fare rumore. La notte passò indenne. Né uomo, né bestia erano spuntati all'orizzonte.
Di buon mattino, alzandosi anchilosato, con le ossa rotte per l'insana posizione rannicchiata, Cencio  andò in perlustrazione. Stavolta s'accorse di  un buco nella recinzione grande circa una quarantina di centimetri di diametro.
Un uomo di stazza media non poteva passarci, dunque si trattava di bestia. Si grattò perplesso la testa, mentre cercava, misurava nella mente le dimensioni probabili di qualche animale.
Una volpe? No troppo grande era il buco. 
Un lupo? E che ci veniva a fare un lupo lì nella terra? I monti erano lontani quindi no, un lupo no.
E se fosse stato un ragazzino? Uno di quelli del paese che voleva fargli una burla?
No, che ci veniva a fare un ragazzino in piena notte? Le avrebbe prese di santa ragione dai suoi genitori se fosse scappato di notte. No niente ragazzino.
Che cosa poteva dunque aver fatto il danno alla recinzione, scavato le buche e passato indenne la siepe di rovi?
Una bestia dalla pelle dura, su questo non c'erano dubbi!
E pensa che ti ripensa, Cencio esaminava il terreno in cerca d'indizi.
Tra una riflessione, un'imprecazione e una maledizione contro la malcapitata bestia, Cencio non veniva a capo dell'enigma.
Nel frattempo le buche si moltiplicarono ormai il terreno attorno agli ulivi era tutto smosso ma d'impronte attorno: nessuna.
Se fosse stato un uomo molto piccolo che ce l'aveva con lui e voleva fargli un dispetto?
Pensò a chi in paese potesse avere quelle dimensioni. 
Nessuno.
Cencio s'appostò nei pressi della buca nella recinzione, si era mimetizzato come un soldato in combattimento e come questo, teneva l'arma spianata pronta a sparare.
Udì improvvisamente un calpestio qualche decina di metri oltre la siepe. Doveva essere qualcosa di abbastanza grosso,  Cencio s'acquattò a terra, stringendo l'indice nel grilletto del fucile.
Il rumore s'avvicinava. Cencio tratteneva il respiro. 
Un'ombra oscurò la buca nella recinzione. Un'ombra grossa e grassa. Due punti luminosi apparvero, rossi come due tizzoni accesi.
Cencio, anche se era uomo da non credere ai racconti di paese pensò: un lupo no, ma un lupo mannaro sì! E scappò via lasciando cadere il fucile.
Stavolta maledisse sé stesso per la vigliaccheria e per l'irrazionalità dimostrata quella notte. Avrebbe riprovato senza farsi intimorire. Non sei una donnicciola Cencio, vuoi che tutto il paese rida di te?
La notte seguente Cencio era di nuovo in postazione.
Più o meno alla stessa ora si presentò la stessa scena. Cencio non si fece intimorire o almeno non lo dimostrò che in un leggero tremolio della mano destra che reggeva il fucile.
Puntò verso i due punti rossi e diabolici. 
Quando stava tirando il grilletto qualcosa lo fece fermare.  I due punti luminosi erano bassi sul terreno,  e avvicinandosi essi facevano parte di un muso peloso di un cucciolo di cinghiale. Lo seguivano altri due piccoli e dietro veniva il “pezzo grosso”. Cencio mirò, pregustando un bel banchetto a base d'arrosto, almeno in tutta questa buffa storia ci avrebbe guadagnato qualcosa di succulento.
I suoi occhi incrociarono i due puntini che ora a distanza ravvicinata erano divenuti due occhi vispi e materni. I quattro occhi si fissarono immobili, quelli dell'uomo e quelli della bestia. Cencio sapeva che se non avesse ben mirato sarebbe stato caricato. Non c'è nulla di peggio di una madre in ansia per i figli.
Lentamente strinse il grilletto con il dito indice e si bloccò.  Una vita per quattro misere buche? Tre orfani arrostiti per una triste vendetta? 
Cencio non ce la fece a sparare, rimase immobile, sotto vento e li fece passare. Qualche buca in più che male poteva fare? E pazienza se gli rovinavano l'orto, ci aveva già pensato la temperatura a rovinarlo, c'era poco da rovinare. 
Va bene per questa volta vi perdono, pensò e stranamente si sentì in pace, non gli venne alla bocca nessuna imprecazione.

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