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martedì 24 gennaio 2012

Il dito nell'occhio: Vizi italici e microscopiche virtù- episodio 3




L'Ufficio postale

Se Dante Alighieri avesse avuto, nella sua epoca un ufficio postale, probabilmente l’avrebbe collocato come punizione, in qualche girone dell’Inferno.
Avvicinarsi all’entrata già preannuncia ore di coda, per scontare chissà quali peccati, come anime in pena recitanti giaculatorie.
Invece dei pater noster, troviamo il numero sul display che tra un bip e l’altro, ci rammenta che siamo di passaggio in questa terra.
Se si riesce ad entrare in possesso del pezzetto di carta col numero scritto in nero cubitale, si è già un piccolo passo avanti, forse si è stati buoni con qualcuno, perché un secondo dopo, il poveraccio dietro di noi, ottiene un biglietto senza numero, significa che l’erogatore “ha finito” di distribuirli e il malcapitato si deve mettere in fila, in piedi, per ore, sperando di farcela prima della chiusura degli sportelli, a cui non ha diritto e quindi peggio per lui se non ce la fa. In ginocchio sui ceci, dovrebbe stare! Misero, miserrimo peccatore.
Bip… Duecentosettanta, il display ha estratto il numero e il “fortunato” possessore, è così felice che sembra gli abbiano estratto il primo premio della Lotteria Italia.
Gli altri, invece, lo guardano con invidia, sapendo che la loro pena continua e l’estrazione che li riguarda, è di là dal venire.
Si sbuffa nell’aria appesantita, le sedie poche, gli anziani molti. Chi cede il posto e spera in uno sconto della pena, chi finge di leggere la bolletta, quasi non sapesse la cifra che gli toccherà sborsare.
Bip… Duecentosettantuno, guardi il tuo biglietto, che stai sventolando da mezz’ora, mancherebbero, soltanto… centocinquanta numeri. Fai un rapido conteggio del tempo che dovrai aspettare, la media matematica ma non calcoli la lentezza di qualche anziano, che ci mette i suoi buoni cinque minuti per aprire il portafoglio. Dieci minuti per utente? E le operazioni finanziarie, ce le stiamo forse dimenticando?
Da un po’ di tempo, il ministero ha deciso che gli uffici postali, non debbano soltanto svolgere un compito antico, da vecchia diligenza. Lettere spedite un mese prima che arrivavano con la lentezza di un cammello assetato nel deserto.
Ora si è nell’era dell’efficienza, basta apporre il bollino “posta prioritaria” pagare ovviamente il dovuto e non vedere per niente recapitata la missiva.
Tra raccomandate con o senza ricevuta di ritorno, ora, abbiamo i conti correnti. Pubblicità che non puoi far a meno di notare, tappezzano tutte le pareti, un mega schermo, gigantesco come quello che trasmette le dirette da piazza S. Pietro, ti elenca tutti i possibili investimenti, a misura delle tue tasche… Vuote!
La povera signora ottantenne però, non sa neanche come si possa aprire un conto corrente e caparbia, tutti i mesi sta lì ad intralciare i malcapitati che stanno nel girone infernale per pagare, molto controvoglia ettogrammi di bollette in scadenza.
Bip… Duecentosettantadue, duecentosettantatre, duecentosettantaquattro. Meno male, tre persone hanno gettato la spugna e la fila avanza, lentamente. Ci si addormenta, testa, mani e piedi. Minuscole punture di spillo, ci ricordano che siamo lì da un’ora  e mezza.
A che numero siamo arrivati?
 Bip…. Trecento! I malcapitati delle Termopili avevano Leonida, questi già passati per “le armi” invece, hanno soltanto avuto il coraggio della disperazione da erogazione tagliata.
Quanti numeri mancano?
Bip… Trecentodue, “Lo vuoi capire che ci hanno condannato all’Ergastolo?”.
Poi arriva il tuo turno, finalmente! Tra un bip, una decina d’imprecazioni sul governo e la pioggia, sul tempo infinito, sulla maleducazione estrema italica, che pur nella disgrazia comune, cerca comunque di ritagliarsi il suo piccolo privilegio personale, tra furberie da imbecilli, vedi biglietto del giorno prima, spintoni e corse all’ultimo respiro, dribblando la vecchietta che faticosamente era quasi arrivata allo sportello, casomai l’impiegato, distratto non s’accorga dell’errore e ti faccia pagare prima la bolletta della luce, alla faccia degli altri “dannati”.
Ti affacci allo sportello, esibisci a trofeo il numero chiamato. L’impiegato chiede il servizio che ti serve e qui hai tre opzioni:
1 – Hai sbagliato lettera! Non dovevi prendere la P ma la A. Come, che significa? Significa che prendi un nuovo biglietto e ti rifai la fila. Sei tentato dal suicidio.
2 – Devi chiedere un servizio finanziario, ritirare dei soldi dal conto corrente oppure versarli. In questo caso, ti viene fatto notare che hai soldi “inerti”. Inerti? Non ti fruttano nulla, perché non provi ad investirli in… qui parte una sfilza di sigle, che se fossi stato attento al megaschermo, avresti imparato la lezione e sapresti ma tu eri intento a parlare della pioggia e del governo.
Non t’interessa? Ma sei matto? Sa quanto ci perde? Sono soldi miei, ci posso fare quello che voglio? Per carità è per il suo interesse che sto parlando. Il mio? Il martello persuasore continua e non ascolta affatto quello che tenti di dire da un quarto d’ora.
Intanto i bip continuano e chi è dietro di te, impreca sul fatto che sei proprio un “rincoglionito” guarda il tempo che gli stai facendo perdere.
3 – E’ l’una e un quarto!
Risposte?
A – Ma stiamo scherzando? Due ore e mezza di fila, vuole per caso che sfoderi il coltello?
B – Mi chiami il direttore!

Quello che si dice sempre quando ormai si vorrebbe ammazzare mezzo ufficio postale. Il direttore è sempre irreperibile.
C –  Questa non la scrivo… Bip!


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