A te navigante...

A te navigante che hai deciso di fermarti in quest'isola, do il benvenuto.
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giovedì 8 marzo 2012

Il libro





La sedia a dondolo cigolava leggermente ogni volta che il nonno, con una piccola spinta, la faceva oscillare.
Accovacciato a terra, su un morbido cuscino,  le gambe acciambellate, i gomiti poggiati sulle cosce, mi reggevo il mento con le mani, guardandolo dal basso in alto.  Il fuoco crepitava nel caminetto, ogni tanto, uno scoppiettio e qualche scintilla, mi distraevano dalla voce del nonno. Faceva molto freddo fuori e i vetri erano appannati. Sulla mensola del caminetto, diverse foto, incorniciate d’argento. Antichi uomini dai baffi a manubrio, impomatati e impettiti guardavano severi verso di noi. Indossavano i loro abiti migliori e forse, solo l’occasione, li aveva costretti ad annodarsi una cravatta al collo.
Nonno, tante volte mi aveva detto che uno era suo nonno, l’altro suo padre e poi c’era il nonno di suo padre. Nelle mille spiegazioni che mi dava, mi ero perso sempre in questo crocevia di antenati.
Il volto del nonno appariva rossastro alla luce del fuoco. Due rughe profonde alla radice del naso, ne sottolineavano la concentrazione, dandogli un’espressione attenta, gli occhiali, erano scivolati verso la punta e lui, ogni tanto, mi guardava da fuori le lenti, cercando di catturare il mio interesse.
Sulle ginocchia, sopra un plaid a scacchi gialli e blu, era posato un grande libro dall’aspetto molto vecchio.
Nonno ne leggeva le parole, con voce profonda, un poco arrochita dal fumo. Il medico gli aveva proibito di fumare, così lui, un po’ per vezzo, un po’ per sfogo, teneva tra le labbra una pipa spenta.
Un vecchio cimelio, che aveva ereditato dal nonno, del nonno di suo nonno.
Il libro, rilegato in un cuoio dal colore bruno scuro, consunto, pieno di graffi e segni conteneva illustrazioni a china.
- “C’era una volta…
- Una principessa? Dai nonno, ti sembro tipo da principesse? – Gli chiesi, contrariato per non poter uscire a giocare fuori con la neve.
- Gabriele, non essere maleducato e impertinente, questo non è un libro di principesse.
- E cos’è nonno?
- Lo scoprirai da te, ma devi ascoltare in silenzio, altrimenti il libro non parlerà.
- Ma nonno! Un libro che si offende? – Mi misi a ridere.
Il nonno mi lanciò un’occhiata contrariata e non rispose ma riprese a leggere.
Io allora tacqui.
- C’era una volta un libro. Esso, giaceva dimenticato in una polverosa libreria. Era triste, perché aveva voglia di narrare ma nessuno era più in grado di ascoltarlo. Il Libro e il Tempo, non andavano d’accordo. Quel vecchio impiccione, dalla barba lunga, curvo sul bastone, reggeva una clessidra in mano, e ghignando aspettava che granello, dopo granello la sabbia scendesse in basso.
La gente ne aveva timore e correva, correva, ma aveva smarrito la via.
Il Libro, triste e impolverato restava chiuso. Tutti, presi dal gran correre, si erano dimenticati di lui. Qualcuno aveva provato a rallentare, aprendolo alla prima pagina. Lui era elettrizzato, perché finalmente avrebbe potuto narrare le storie che racchiudeva.  Subito, però, veniva richiuso, nessuno era più in grado di comprenderne lo scritto. Ci voleva troppo tempo e non ce n’era più.
Il vecchio barbuto e acido incitava nella corsa. Tutti sembravano giocattoli a molla, trotterellanti tra loro, si scontravano e non si salutavano neanche più. Correvano, correvano finché la carica finiva e cadevano a terra senza vita.
Il vecchio, sghignazzava e capovolgeva la clessidra. Tutto ricominciava da capo.
La voce del nonno era ipnotica, il calore proveniente dal caminetto, bruciava tutta la parte del corpo verso il fuoco, l’altra invece, si stava ghiacciando.
Rabbrividii girandomi a centottanta gradi, per cuocermi bene dalla parte opposta.
- Gabriele mi stai ascoltando? – Chiese il nonno interrompendosi a guardarmi da sopra gli occhiali.
- Nonno proprio non posso uscire a fare a palle di neve?
- Ascoltami, il Libro, ti vuole parlare – Riprese il nonno, ignorando la richiesta.
Mi stavo annoiando, come avrei voluto avere tra le mani almeno la mia playstation, ma il nonno non voleva neanche sentirne parlare.
Il cuscino su cui ero seduto, sembrava formato da tanti spilli sottili e le mie gambe si stavano addormentando, insieme a me.
Odiavo i libri, specialmente quelli di scuola, bisognava studiarli, fare i compiti e la mamma mi gridava dietro tutto il tempo. La maestra ci obbliga a leggerne almeno due, durante le vacanze di Natale e io la odio. Sono noiosi e incomprensibili.
Il nonno ignorando il mio sbuffare con un colpo di tosse, mi mise a tacere e girò pagina.
- Un giorno, un bambino, giunse nella vecchia e polverosa libreria. Gli avevano regalato un paio di monete d’argento, per aver aiutato una ricca signora. Le aveva nascoste agli sguardi vogliosi. Aveva fame e mal vestito, avrebbe potuto impiegarle per un nuovo paio di scarpe, che le sue erano ormai sfondate. Lui, al contrario, non ci pensò due volte ed entrò, facendo tintinnare la campanella della porta.
- Cosa desideri, bambino? - Disse una vecchia signora, avvolta in strati di scialli, si sfregava le mani soffiandoci sopra per riscaldarle.
- Un libro! – Rispose lui elettrizzato – Guardate ho i soldi! – Esclamò mostrandoli come un trofeo.
- Che cosa vorresti leggere? – Gli chiese la vecchia.
Il ragazzino incerto, al momento non rispose, guardandosi attorno incuriosito. Poi, puntò il dito verso uno scaffale indicando il Libro.
- Quello! – Disse con voce squillante.
- Ne sei proprio sicuro? – Gli rispose la vecchia – Quello è un libro speciale che esige molto tempo e dedizione.
- Lo voglio! – Disse il ragazzino, attirato dalla grandezza e dalla copertina di cuoio su cui spiccavano dei caratteri dorati. Era come se il Libro, gli stesse strizzando l’occhio.
La vecchia lo tolse dallo scaffale. Soffiò sopra e una nuvola di polvere la fece tossire, lo spolverò togliendo via i granelli di Tempo depositati sopra.
Pesava il libro, ma il ragazzino lo portò trionfante a casa.
I genitori contrariati, volevano restituirlo, per farsi ridare i soldi per un po’ più di desinare. Il ragazzino, puntò i piedi, pianse così tanto, che i suoi occhi arrossati si asciugarono ormai stremati.
La madre ne ebbe pietà e gli fece tenere il libro a patto che prima di aprirlo, svolgesse col padre, i lavori nei campi.
Ogni sera, il ragazzino rientrando dal lavoro, apriva il Libro, senza neanche togliersi gli abiti sporchi di terra, prima che venisse chiamato per la cena.
La zuppa calda fumava in tavola, pezzi di patate e carote galleggiano insieme al pane raffermo e mentre ne ingoiava una cucchiaiata, affamato, la mente gli era restata tra le pagine.
- Che cosa avrai mai in testa? – Chiedeva sua madre, contrariata per la distrazione del figlio a tavola.
Il ragazzino neanche la sentiva, tutto preso dalle storie lette.
Qualche impronta delle sue dita sporche di terra, restò impressa tra le pagine.
Il ragazzino crebbe e il libro restò con lui.  Verrebbe da pensare che ormai lo conoscesse a memoria ma non era così. Le storie, che il Libro narrava, erano sempre diverse e tanto c’era ancora da imparare. Aveva avuto ragione la vecchia della libreria;  quello era un libro che esigeva dedizione e l’oblio dell’acerrimo nemico Tempo.
Gli anni passarono, il ragazzino invecchiò ma l’amico Libro, restò con lui. Nel frattempo la sua vita era andata avanti, aveva preso il posto di suo padre, aveva avuto dei figli. Ai suoi bambini, la sera,  apriva il Libro e leggeva, un paio di pagine, prima di rincalzare loro le coperte e spegnere la luce. A pagina novanta, c’è ancora l’importa di un ditino, sporco di cioccolata.
Il Libro rimase in quella famiglia e generazione dopo generazione, narrava le sue storie.
Era come uno di loro e invecchiavano insieme, pieno di rughe e graffi. Erano i segni del Tempo, che si era vendicato, per non essere stato ascoltato.
Il nonno richiuse il librone e mi guardò da sopra gli occhiali.
- Che strana storia nonno, avevi ragione, non ci sono principesse. Posso farti una domanda?
- Dimmi figliolo.
- Che storie narrava il libro?
- L’esperienza del Libro, figliolo, la vita.
- E’ questo il libro, vero nonno? – Indicai il libro che teneva sulle gambe.
Il nonno non rispose ma annuì.
- Un giorno anche a te il Libro, narrerà le sue storie e tu, le trasmetterai ai tuoi figli.
Lo presi in mano e pagina dopo pagina, disegno dopo disegno, esso conteneva la storia della mia famiglia, il nonno, suo padre, suo nonno, ognuno aveva lasciato un segno,  l’impronta sporca di un dito o una sottolineatura sui graffi nell’anima.

 Questa opera è tutelata secondo le  condizioni previste da questa licenza creativecommons

4 commenti:

  1. lo so, sono banale... ma insisto a farti i complimenti. Questo racconto mi è piaciuto molto.
    Un caro saluto
    Cerino

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    1. Chi si rilegge! Bentornato, pensavo di averti perso nei meandri del web. Grazie! Fa sempre piacere sapere di essere letta e che c'è, chi apprezza il mio stile.

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  2. Hai una profonda vocazione da storiografa cugina. Avresti dovuto dedicarti alla demologia. Hai quella curiosità, per le storie singole che ne compongono una più grande, tipica degli studiosi di storia delle tradizioni popolari. Davvero. Scrivi molto molto bene.

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    1. Grazie Ale, è infatti una mia passione partire dal piccolo episodio, ricostruire vecchie storie, piccoli tasselli di storie più grandi.

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