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lunedì 9 luglio 2012

Cesare Battisti scuola elementare




Entrata C. Battisti
Alla fine degli anni ’20, con l’aumento vistoso degli abitanti, viene deciso di aumentare i servizi nel quartiere Garbatella.
L’architetto Brunetta, nel 1929, viene incaricato di progettare una nuova scuola elementare, costruita in parte, sul terreno dell’ex villa Armellini.
La direzione didattica del Governatorato di Roma, fissò il fabbisogno della scuola in 51 aule per le lezioni, divise in due corpi distinti: una sezione femminile ed una maschile.
I due corpi dovevano comunicare al piano terreno per mezzo dell’atrio, ed al primo piano mediante un porticato coperto. Di fronte a tale porticato fu progettata una grande terrazza da utilizzare per esercitazioni all’aperto, com’era uso allora. La Direzione, unica per tutte e due le sezioni, fu collocata in posizione centrale al pian terreno vicino all’ingresso. In maniera analoga fu collocato l’ambulatorio per le visite mediche. Infine l’edificio fu dotato di una grande palestra, di refettorio, cucina, ambienti per il riscaldamento, magazzini… Il carattere architettonico dell’edificio, secondo l’architetto Brunetta, fu mantenuto semplice, ma conferendo una certa monumentalità alla parte centrale.


 Nel 1930 ne fu completata la costruzione.
Fu intitolata a Michele Bianchi, quadrunviro della marcia su Roma. Dopo la guerra e la caduta del fascismo, le fu cambiato nome in Cesare Battisti.
Quelle aule hanno visto crescere generazioni di garbatellini e ancora oggi, ospita i ragazzi del quartiere.
Anche io ho trascorso una parte della mia infanzia girando per quei corridoi, scendendo in fila compatta con le mie compagne di classe, quelle scale, che nella mia memoria sembrano non finire mai, percorse a per di fiato la mattina per entrare in classe in orario.
Ora che c’è un po’ un ritorno al passato, tra grembiuli bianchi o blu e il ripristino di un’unica insegnante, vorrei qui ricordare la mia.



Elisa Filipponi












   
La prima volta che vidi Elisa Filipponi, di professione maestra elementare, fu quando iniziai a frequentare la seconda classe alla scuola Cesare Battisti.
La mattina verso le otto e mezzo, il grande piazzale che si apre di fronte alla scuola, era tutto un brulicare vociante di bambini accompagnati dalle loro madri. Onde azzurre e bianche che si muovevano correndo verso i cancelli della scuola.
Piazza Damiano Sauli è il cuore della Garbatella. Da una parte la chiesa di S. Francesco Saverio, sovrastata dalla grande cupola di cemento grigia, sulla quale c’era una croce che di notte si illuminava d’azzurro. Dall’altro lato, la Cesare Battisti che con la chiesa, è uno dei luoghi che ha visto passare innumerevoli generazioni di ragazzini. Dall’età della caduta dei denti da latte, li ha accompagnati con amore per un tratto della loro vita.
L’architettura della scuola, costruita in epoca fascista, è perfettamente in stile con la piazza. Dopo la guerra, i fasci littori furono tolti e rimossi dalla facciata, per anni però, ne rimase l’impronta sulle mura della scuola, sopra la scritta SPQR che ancora c’è.
Il grande piazzale, ora completamente cambiato, al tempo in cui frequentavo le elementari, si presentava come un grande marciapiede polveroso, parzialmente coperto di ghiaia, che quando pioveva, diventava un insieme di minuscoli laghi, dove ci divertivamo ad entrare con gli stivaletti da pioggia a schizzare acqua da tutte le parti. Grandi platani circondavano la piazza, gli stessi che ancora oggi, agitano le foglie al vento, come tanti mani che salutano il tempo che trascorre inesorabile e chi si trova a passarci sotto.
Io vestita di tutto punto, con il mio grembiule che odorava di bucato, immacolato e perfettamente stirato dalla mamma, il volto incorniciato dal grande fiocco azzurro, orgogliosa, percorrevo la piazza, affrettandomi a raggiungere l’entrata della scuola, timorosa di arrivare in ritardo. La cartella di cuoio marrone scuro e lucido, stretta in una mano.
Quella mattina, primo giorno di scuola, entrata in classe, mi trovai davanti una signora, di circa quarant’anni, aveva un volto dolce, un grembiule azzurro ed una fila di perle, si presentò con il nome di Elisa Filipponi. La sua voce era leggermente nasale, un po’ stridula, tanto amorevole e comprensiva, che non celava però l’autorità d’insegnante, quella che separa le due parti e fa capire chi è che comanda.
La nostra classe era grande, c’erano ancora i vecchi banchi di legno dipinti di vernice nera, tutti intagliati dalle scritte dalle alunne che ci avevano precedute, quella era l’ala femminile e tale restò per molto tempo.
Appena entrate, c’era la preghiera all’angelo custode, recitata in coro, fissando il crocifisso alle spalle della cattedra, subito dopo iniziava la lezione.
A volte c’erano le temute tabelline da imparare a memoria. La Filipponi, trasformava in gioco ogni lezione e facendoci fare una gara, dava una caramella o un cioccolatino a chi le diceva più in fretta e senza sbagliare. Per noi ragazzine di sette anni, il premio era un incentivo molto più stimolante del voto astratto.
Ricordo con tanta nostalgia, i suoi segni rossi o blu, tracciati con la sua inseparabile matita bicolore. Con il passare degli anni, cominciò a dare incarichi di responsabilità a turno. A me toccò per un lungo periodo, il compito di preparare la cattedra prima del suo arrivo.
Dovevo prendere dal cassetto della cattedra: il sussidiario, il libro di lettura e la sua matitina porta fortuna. Un mozzicone di matita nera, che l’uso riduceva di lunghezza sempre di più. Era così piccola, che non si riusciva a tenere tra le dita. Lei c’era molto affezionata,  non ho mai saputo perché, diceva che era il suo portafortuna, e guai a non fargliela trovare sul portapenne.
Non l’ho mai sentita alzare la voce con noi, bastava il tono severo a farci chinare il capo, consapevoli di esserci meritate il brutto voto o la punizione, che era sempre blanda. Quello che ci faceva rigare dritto era la consapevolezza di non volerla deludere.
A lei devo la conoscenza della lingua italiana, delle regole grammaticali, dei verbi imparati a memoria con fatica e dedizione.
Naturalmente era divertente studiare, stimolante e per niente noioso. Si faticava con divertimento, perché c’era il gioco.
Mi sono rimaste attaccate nella memoria, le filastrocche che ci aiutavano a ricordare che: sul qui e sul qua l’accento non va, Ma Con Gran Pena Le Recan Giù e le Alpi non le scordi più, e tante altre.
Elisa Filipponi ci raccontò un po’ della sua vita. Era laureata in lettere, grande amante della storia e dell’archeologia, rimase vedova molto giovane con quattro figli da crescere, tre maschi ed una femmina. A volte si sfogava in classe, ci raccontava i suoi problemi di madre.
Il nostro rapporto con la maestra Elisa, si estese anche al di là della scuola. Alcune di noi, quelle più affezionate, andavano a farle visita a casa, ogni tanto le telefonavano, si era creato un bel rapporto di amicizia, che non è finito con il finire della scuola elementare. Si è protratto nel tempo. Lei non ha mai dimenticato le sue alunne, tutte, anche quelle delle innumerevoli classi che seguirono.
Quando è andata in pensione, si è finalmente dedicata alla sua passione: l’archeologia.
Andava in giro per Roma a fare scavi e studiare reperti. Con questo scritto ho voluto ricordare una persona che ha fatto un pezzetto di storia della Garbatella.


Notizie sulla Cesare Battisti da  Garbatella mia di Gianni Rivolta

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2 commenti:

  1. Eh sì, si sente: questa è la scuola che ti è rimasta dentro...!

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    1. Forse è vero, forse ho edulcorato i ricordi, ma reputo che l'infanzia sia il momento più bello della vita, senza sbavature, conflitti interiori e tutto quello che viene dopo.

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