A te navigante...

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venerdì 7 settembre 2012

Oh Specchio, specchio delle mie brame....





Entro. Una signorina alla reception, mi fa accomodare su un comodo divano. Impeccabilmente pettinata e truccata, professionalmente sorridente e accondiscendente. Risponde al telefono che continua a trillare incessante e come la dea Kalì è munita di otto braccia per reggere il telefono, scrivere, cercare nell’agenda e far accomodare le clienti.
Sul divano ci sono altre donne, tutte in attesa di entrare. Chi sfoglia riviste e guarda impaziente l’ora, chi esce a fumare e chi s’intrattiene in conversazione con la ragazza della reception che deve avere i superpoteri, perché tra un trillo, un appunto, un appuntamento preso e far entrare una cliente riesce anche a rispondere alla chiacchierona di turno.
Sono in un salone di bellezza. Siamo alla fiera della vanità nella sua espressione massima. Si acquistano coupon come caramelle, per massaggi, depilazione e lampade a novembre, perché d’abbronzatura si muore ma non ci si rinuncia.
Sfoglio riviste sull’ultimo taglio alla moda. Guardo le modelle e non mi ci raccapezzo in quelle acconciature che sembrano impalcature, tenute su con il vinavil.
Poi entra una ragazza con una lunga treccia. Devo togliermi le extention, dice. Le che? Si chiede kamomilla, che al massimo riesce a sapere cos’è una permanente e una tintura. L’osservo e mi faccio un po’ di domande. Sarà una modella? Dalla corporatura direi di no, bella ragazza in carne non somiglia ad un attaccapanni. Perché sottoporsi ad ore di seduta, per incollare un capello alla volta per poi “scollarli” dopo pochi giorni? Sarebbe quasi come spaccare un capello in quattro.

Vanità delle vanità,
Quale guadagno viene all'uomo
per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?

Sagge parole bibliche ma valle a dire ad una donna in un salone di bellezza.
Si fa il mio turno ed entro. Cicalecci di voci e cellulari, una nuvola di vapore che avvolge tutti. Signore e signorine sedute agli appositi sedili, intente a rimirarsi nello specchio, bramano che esso risponda che la più bella del salone è colei che ha davanti.
L’alito rovente del phon ti fa sembrare di essere ancora in piena estate.
Mi diverto ad osservare questo piccolo spaccato femminile. Risate argentine all’ultima battuta del ragazzetto carino che fa la piega, si occhieggia e ci si mette in mostra, anche se si hanno ottant’anni. La vanità femminile non conosce età.
Poi arriva il principale, che si da arie da manager, lo conosco da quando era ragazzino e aprì il primo negozio. La crisi colpisce anche lui che si sporca di nuovo le mani con tinture, pur di non assumere più personale. Poveretto ha due famiglie da mantenere, tre negozi, un Suv, come potrebbe pagare uno stipendio ulteriore?
Si lamenta, mentre stende il colore sui miei capelli per simulare quei colpi di sole, così li chiamano, che mai arriveresti ad avere così perfettamente biondi, neanche sotto il sole sahariano, ciocchette di capelli che sembrano contati, vengono spennellate e incartate come un arrosto in carta argentata. Tintinna la carta, olezza la tinta d’ammoniaca. Gli occhi lacrimano ma per essere belle bisogna patire. Lo diceva sempre anche mia nonna. Lui mi chiede quanto è passato dall’ultima volta. Quante volte figliola? Sembra il prete nel confessionale. Lo guardo con sguardo contrito e gli rispondo che non passavo da sei mesi. Mi guarda come il prete nel confessionale, un muto rimprovero.
Tossisco e lacrimo, l’ammoniaca non la sopporto ma stoicamente taccio. Terminata l’infinita operazione, spennellare, incartare, spennellare incartare, m’infila la testa in un casco borbottante.
Sembra un aggeggio da fantascienza, che legga il pensiero? No, piuttosto lo cuoce il cervello, al vapore. Dopo un iniziale borbottio d’acqua in ebollizione, iniziare ad avvolgere la mia testa in una infinita nuvola di vapore caldo. Mi si condensa sulla faccia, cola sugli occhi, sulle guance, scende giù, lì dove quelle maledette piccole rughe ai lati della bocca, formano due “invisibili” incavi. Detergo il volto continuamente, sembro un facchino sotto il sol leone, ma non è sudore o almeno vi si mescola. Poi comincio a sentire la testa bollente. Taccio per non passare da inesperta lagnosa, vuoi mettere quello che si patisce con una ceretta? Già me li sento nelle orecchie, i commenti delle vicine di specchio, esperte di masochismo al femminile.
Mi guardo e sembro in attesa degli alieni come in Signs, tutta la testa incartata nella stagnola.
Vuole una rivista? Mi chiede solerte la ragazza della reception? E vada per la rivista.
Mi mette in mano la gioia del gossip. Vip conosciuti soltanto da tre o quattro persone, seminudi con al massimo il perizoma che oziano su spiagge caraibiche illuminati da un sole al flash. In posa s’indignano per lo scatto. Leggo il servizio e mi scappa da ridere per la fantasia del “giornalista”. Tizia, come si vede nella foto sta appena lasciando Caio mentre occhieggia Sempronio. Che i due escano segretamente all’insaputa di tutti? Guardi la foto e pensi? Mi sembrava semplicemente che stessero a prendere il sole e neanche si guardano. Alla seconda pagina, chiudo, non ce la posso fare ad arrivare alla fine della rivista che si chiude con una carrellata dei modelli sfoggati dalle dive all’ultimo festival di Cannes. Per kamomilla è troppo. Chiudo il giornale e chiudo gli occhi, mi bruciano da morire. Fingo di dormire ma quasi m’addormento davvero. Finalmente il bip, bip liberatorio, la tortura è finita. Mi lavano e ingrassano come una Ferrari prima della corsa, e passo sotto le forbici dell’artista. Come li vuoi? Come al solito. Ma hai pensato di tagliarli così o così e ti simula con le mani sui capelli la lunghezza del taglio. Cedi e dici, due o tre cm al massimo. La forbici tintinnano velocissime, non le vedi quasi, i capelli tagliati svolazzano come foglie morte a terra. Ti sembra di essere un cespuglio sotto Edward mani di forbice. Che forma mi darà? Quella di uno scoiattolo scuoiato? Finisce e dice? Va bene così? La risposta è ovvia: si! Se dicessi no che farebbe? Me li incollerebbe con le extention, raccattando nuovamente un capello alla volta?
Scherzo, il taglio va bene davvero, però è bravo questo parrucchiere! Talmente bravo che sopporto anche l’arroganza della sua clientela. L’assessore regionale, donna, lo sottolineo, perché nella nostra lingua “assessora” è orribile e non esiste. Non la smette d’agitarsi sotto al phon, rovinando il lavoro della ragazza, poi la tratta malissimo, quasi l’insulta e lei a momenti scoppia a piangere. Si fa rifare di nuovo la messa in piega, imprecando per il ritardo, tra l’altro è entrata senza appuntamento, scavalcando la poveraccia in attesa da mezz’ora: io! Non si può fare uno sgarbo ad una così importante cliente, può sempre essere utile conoscere un politico. Qui non scrivo cosa mi è passato per la testa. Uscita la ragazza, si sfoga con me e dice che fa sempre così e tutti fuggono quando la vedono entrare, una: “lei non sa chi sono io”? Una maleducata arrogante, è l’unica risposta che mi viene in mente ma è troppo gentile.
Arriviamo alla messa in piega. Il cespo d’insalata durerà quel tanto d’arrivare alla cena con le amiche? Ne dubito. La ragazza addetta, s’avvicina munita di phon. Sembra un pistolero in attesa di sparare con la colt spianata. Arriccia, spazzola, “phona” come dice lei, voce del verbo “phonare”, poi spruzza un po’ di lacca che non è più quella di una volta, si leva con due colpi di spazzola, asserisce. Vado alla casa e finalmente ho finito. Sorvolo sulla solita discussione relativa alla ricevuta fiscale, dove si contratta come in un suk arabo, la cifra da apporvi.
Esco, piove...

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