Renoir - Ragazza che si pettina |
"La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca"
Leonardo da Vinci
La sua più grande passione erano le
scene dipinte sui quadri, l'arte pittorica dei secoli andati. Amava
passare ore in musei deserti, dove l'odore di chiuso occludeva le
narici, mescolandosi a sottili e antichi sentori di olio di lino
irrancidito.
C'era chi ci aveva passato la vita,
davanti ad una tela bianca da riempire, chi l'aveva rischiata per
aver ritratto soggetti da inquisizione.
Bianche carni femminili, appena velate
da impalpabili stoffe, create a pennello, ridondanti o asessuate come
gli angeli, restavano appiccicate sulla tela, in posa, per secoli,
incorniciate da case di tarli, porporinate in ori posticci su intagli
barocchi.
Egli carpiva la scena reale, quella che
secoli prima, aveva animato la mano dell'artista. Chi c'era al di qua
della tela oltre alla modella e al pittore?
S'immaginava, soggetto invisibile,
vivo, anch'egli nel quadro, che aspirava gli odori aspri dei
solventi, mentre qualcuno impastava polveri colorate triturando
pietre.
A guardarlo era anch'egli un soggetto
immobile, un quadro tra i quadri, difficile immaginare cosa vedesse
nell'immobilità secolare, di un gesto restato incompiuto, di un
sospiro che aveva sollevato un petto ridondante, o fermato lo
scintillio di un gioiello e un frusciare di sete.
Aveva portato con sé, una volta,
pennello e tela, voleva provare l'emozione di saper fermare il tempo
nei gesti, ma non aveva nessun talento, tranne le parole.
Decise di dipingere con quelle. Verbi,
soggetti, aggettivi, mescolati insieme come polveri colorate,
potevano fermare il tempo di un'immagine ma avrebbero fatto entrare
il lettore, dentro il quadro, coinvolgendolo con altri sensi. A
parole si potevano fermare l'udito, il tatto, l'odorato e forse anche
il gusto. Non c'era bisogno d'altro, soltanto di parole. Sarebbero
restate lì, per tanto tempo, forse per secoli, divenendo vive ad
ogni lettura.
La tela, una pagina bianca, il pennello
una penna e nero inchiostro, unico colore che si concesse, ma che
sarebbe diventato, nelle sue mani di ogni sfumatura dell'iride.
Bianco
come lo scintillio dei denti, che
appena s'intravedevano attraverso il sorriso della ragazza. Poi il
viso prese forma nella mente, era reale, in carne ed ossa davanti a
lui. Lieve, un rossore appena accennato sulle gote, ne illuminava il
volto, infantile nei tratti. Gli occhi, nello stupore dell'infanzia,
avevano un so che di malizioso, mentre si spazzolava i capelli,
guardando davanti a sé, osservando l'artista. La luce si rifletteva
sulle chiome d'un biondo mielato, dove il giallo si mescolava al
marrone con leggeri toni rosati.
Una mano, ella, la teneva in grembo,
scoprendo appena un polso, ornato di perle bianche, su una pelle
avorio, un bianco puro, leggermente sporcato di una punta di giallo.
Rosso
scarlatto, sulle labbra maliziose, di
una tonalità più scura dell'abito che indossava.
La seta purpurea, catturava luci e
ombre nelle pieghe, e, ogni volta che passava la spazzola nei
capelli, emetteva un fruscio. Si aspirava un profumo lontano di
gelsomino e magnolia, proveniente dal giardino, che s'intravvedeva
dalla finestra alle spalle, quella da cui proveniva la luce che
illuminava la scena.
Verde
lucente come le foglie dell'albero di
magnolia che riempiva la finestra sullo sfondo, andando a fondersi
con l'azzurro cobalto di un cielo sereno.
Sulla destra, una bambina, di circa
sette od otto anni, era seduta al pianoforte, le note, stentate,
uscivano dai tasti, ripetute all'infinito.
Arancio
il vestito della bimba, spiegazzato dal
sedile di velluto cremisi, le arrivava alle caviglie dalle quali
spuntavano delle calze scure, di un bruno bruciato. A volte nelle
ombre delle pieghe della gonna, il rosso prevaleva sul giallo, con un
punta di marrone.
I capelli, corvini, raccolti da un
nastro, dello stesso colore dell'abito, avevano riflessi illuminati,
lì, dove la luce della finestra, vi batteva sopra.
Il Rosa
pallido di una tovaglietta, riccamente
ricamata di bianco, faceva mostra, su un tavolo in salotto,
apparecchiato per il tè.
Fini porcellane, di un tenue color
avorio dai minuscoli fiori rosa antico, vi erano posate sopra.
Il profumo dei dolci d'accompagnamento
al tè e appena sfornati, riempiva l'aria, facendo venire l'acquolina
in bocca.
Marrone
e profumato il cioccolato che ricopriva
i pasticcini, sporcò le dita della bimba, che si era concessa una
pausa dalla sua lezione di musica. La ragazza le lanciò uno sguardo
di disapprovazione, temendo si sporcasse il vestito prezioso, messo
apposta per l'occasione del ritratto.
Argento
il cucchiaino, tintinnava nella tazza,
e il tè fumante dava un riflesso ambrato alla porcellana visibile.
La ragazza ne bevve un sorso, reggendo
la tazza con fare vezzoso, tenendo il mignolo leggermente alzato.
Ne fu offerta una tazza all'artista,
che fuori dalla scena, immaginava dettagli e particolari, mescolando,
virgole e punti, con verbi e innumerevoli aggettivi.
Ormai il bianco del foglio era
completamente sparito, dinnanzi agli occhi del lettore, non c'erano
parole in bianco e nero ma una meravigliosa scena, sfumata nei
colori, riempita di suoni e profumi.
Non solo l'artista, era fuori dalla
scena ma vivo nei dettagli, ora era entrato in essa anche il lettore
come soggetto principale, colui che avrebbe dovuto dare il giusto
tono ai colori e il volto alla ragazza del quadro.
Colori, bagliori e
cupezze dell’anima,
stese sulla tela della
vita
intessute dal
trascorrere del tempo.
Trasmettono emozioni
lontane,
espandendo i sensi.
Celate in polverose
stanze,
dove il passato
le trasla in storia.
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