Ci siamo, di nuovo.
Gli addobbi
sono pronti, i regali, i menù, le luci scintillanti. Siamo quasi a Natale.
Ricomincia la retorica,
donate, donate fino allo sfinimento. Le cassette postali, si
riempiono di vaglia a cui manca soltanto la cifra da apporre.
Sedicenti associazioni umanitarie, il cui nome appare tra visi di
bimbi africani denutriti. Decine di volontari cercano di
acchiapparti per la giacchetta all’angolo di una strada, alla
fermata della metro, mentre aspetti al semaforo. Ti chiedono un
minuto del tuo preziosissimo tempo, per snocciolare la sfilza di
opere benefiche. Se passi e non ti fermi, sei un uomo senza cuore. I
bimbi denutriti dagli occhi tristi ti guardano dalle foto:
Sciagurato! Tu mangi e ti diverti, noi qui a morire di fame. Per un
giorno l’anno, lo puoi fare, scaricarti la coscienza e aprire il
portafoglio. E’ Natale, siamo tutti buoni! Sarà poi vero, che i bimbi denutriti avranno un pasto in più?
In questi tristi tempi di furbi incalliti, ti viene anche di pensare che ben altre tasche verranno rimpinguate dalla tua generosità.
Si allunga una banconota
grigiastra di carta filigranata , rovistata per un po’ nel
portafoglio, quella che s’era nascosta tra le pieghe, tra banconote
di ben altra pezzatura, ma il tizio la guarda come gli avessi messo
tra le mani un ragno immondo. Solo questo? A te sembrava già
abbastanza. Annuisci a testa bassa.
Corse sfrenate tra
clacson impazziti, imbottigliati in un traffico compatto, che non
lascia passare neanche uno spillo. Compatti s’avanza, compatti si
ci ferma, si avanza di nuovo, imprecando e maledicendo il fatto di
essere lì.
Un inferno costituito
da gironi danteschi infiniti. Gli acquisti tra spintoni e prepotenti,
le file alle casse dei supermercati con l’orologio le cui lancette
sono sicuramente rotte: corrono troppo. Si sbuffa, s’impreca e si
litiga per nulla. Per una parola, per una prepotenza che non si vuol
subire, per la troppa gente che s’accalca, perché c’ero prima
io, perché come si permette…
Nervosi persino i
commessi che indossano sorrisi professionali assieme alla divisa, al
grembiule, al cappellino da Babbo Natale con la lucina in cima.
Fuori, per strada,
suonano le cornamuse. Un suono lontano, retaggio di antiche pastorali
adoranti il Bambino. Nessuno le ascolta, neanche loro si ascoltano
più.
Le strenne s’ammassano
sotto alberi di plastica, illuminati da minuscole piccole stelle
artificiali, ora sì, ora no. Scandiscono i minuti che ancora mancano
alla fatidica data.
Finestre illuminate a
giorno, dai colori accesi, mostrano moderne stelle comete che hanno
smarrito la via.
Ad ogni angolo di
strada, mendicanti laceri. Medievali mani tese che non incontrano più
nessuna pietà o timor di Dio. Guardati con sdegno e fastidio, le
teste si girano dalla parte opposta. Non si può sciupare lo
scintillio con l’insana vista.
Anche loro, i
mendicanti, fanno parte del gioco. Sanno che qualche coscienza si
scuoterà, riempiendo il cappello con monetine minuscole e effimere,
che tacitano le coscienze e fanno allineare lo spirito al periodo.
Noi, al caldo delle
nostre case, con il brodo fumante al tortellino ripieno, come le
pance dopo i luculliani pasti. Si aprono i pacchi infiocchettati,
contenenti cose piuttosto inutili, che si ricicleranno alla prima
occasione, nel migliore dei casi. Molti brilleranno gli ultimi
bagliori di una festa ormai al termine, nei cassonetti, assieme alle
carte gettate, agli abeti seccati, ai resti dei pranzi troppo ricchi
per poterli consumare tutti.
Attorno a quei
cassonetti che non verranno svuotati che a festa finita, brulicano
disperati alla ricerca di qualche briciola rimasta.
Pace, amore e fratellanza ma
riempiamoci la pancia. E’ questo il Natale di oggi? Le famiglie si riuniscono per commemorare la Celestiale nascita. Forse era così in tempi antichi, quando la parola famiglia aveva un significato profondo e quando c'era fede e fratellanza, o forse sono io, illusa dalle storie imparate a scuola o sui libri. Ora ci si riempie la bocca con tale parola, la si usa a sproposito ma davanti la tavola imbandita dalla tovaglia rossa, s'incontrano persone che non si vedono dal Natale passato. Non hanno nulla da dirsi e forse è meglio così, perchè certi incontri, a volte, riesumano antichi rancori familiari.
Le chiese hanno già
cominciato da tempo ad allestire presepi con acque cristalline.
Piccoli fiumi in miniatura bagnano personaggi immobili ed
impassibili. Anche il Bambino s’è pietrificato. Non sgambetta
allegramente nella mangiatoia. E’ lì fermo, statico, con la
gambina in aria e le guance paffutelle, rese rosee da un pennello
artificiale.
Maria,
i Magi, i
pastorelli e la musica di sottofondo, tutto come allora, come la
tradizione tramanda, come è nelle Scritture. Non tutto è come allora,
nulla è come allora.
Dov’è l’Astro del Ciel della musichetta
registrata? L’abbiamo gettato in uno scatolone polveroso, in fondo
ad una buia cantina. Lo tiriamo fuori una volta l’anno e assieme a
lui, lustriamo le nostre coscienze.
Voglio sperare che per
una volta, una soltanto, qualcuno si soffermi su quel piccolo Bambino
di coccio, e lo faccia tornare vivo e sgambettante.
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