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domenica 28 aprile 2013

Una casalinga con l’hobby di scrivere




Mi sono spesso chiesta come lavorino gli scrittori di professione. Che fanno quando si alzano la mattina? Prendono il caffé e si mettono a scrivere oppure prima fanno le pulizie di casa? Hanno la domestica e non se ne preoccupano o l’occuparsi di cose misere e terrene non è neanche un pensiero che li sfiori?
Cosa fanno davanti alla pagina vuota da riempire? Come si organizzano con le idee, le trame gli scritti?
Una serie di domande che non avranno mai risposte per quel che riguarda lo “Scrittore” con la S maiuscola. Kamomilla, una s piccola come le spiegazioni sui bugiardini delle medicine, che non vedi neanche con gli occhiali da presbite, vi può raccontare cosa succede dietro le quinte di questo blog.
L’idea esce dalla mente, improvvisa come uno starnuto non trattenuto. Una parola letta in un libro, un caso di cronaca, un fumetto horror che mi ha colpita per un particolare. Eccola l’idea illuminante, una farfalla delicata e eterea che bisogna acchiappare, prima che sfugga e si nasconda, persa nel disordine di una mente piena di cose urgenti e noiose della vita quotidiana e qualche ragnatela sedimentata.
E’ allora che il problema diventa insormontabile. Il computer sarebbe acceso, io non scrivo su carta, non sono mai riuscita a farlo. La mia vena artistica è iniziata quando ho imparato ad usare il programma di scrittura. Dov’è allora  l’intoppo? Nella vita di tutti i giorni.
Sembra facile trovare il tempo e il modo di mettere nero su bianco i miei pensieri in chiaro scuro, ma non lo è affatto. Il bisogno di scrivere che una volta formulata l’idea, si fa sempre più pressante, viene soffocato dal senso di colpa della donna di casa. Il mio è un hobby, perciò lo relego nei ritagli di tempo che sono sempre piccolissimi, come i tasselli minuscoli di un puzzle che non si riesce ad incastrare.  Prima, c’è da stirare l’ennesima T-shirt, con cura amorevole di mamma, attenta a non rovinarne la scritta,  la ripongo nell’armadio per poi ritrovarla, poco dopo, tutta spiegazzata da qualche parte. Prima, c’è la spesa da fare, manca sempre qualcosa che hai dimenticato e in quel momento sembra irrinunciabile per qualcuno. Prima, ci sono le piante da innaffiare che poverette stanno morendo d’arsura. Prima, c’è il gatto d’accudire, l’ultimo arrivato in casa, folgorazione amorosa del figlio che lo coccola distrattamente, tanto ci pensa mamma.
Tanti prima e pochi adesso. A volte devo impormi di non vedere, di non sapere per potermi sedere alla tastiera del Pc.
Spesso, l’idea è solo un abbozzo e quindi difficile da focalizzare. In uno dei tanti “prima”, mentre sto lì a girare il risotto o montare le chiare a neve, il personaggio prende corpo e la storia s’illumina.
Nasce prima la storia o il personaggio? Quasi sempre la prima, è soltanto a trama compiuta che vengono i personaggi. In alcuni storie, nascono e appaiono dal nulla mentre scrivo, alcuni durano poche righe, mi sono serviti per spiegare un concetto che altrimenti sarebbe diventato noioso leggere. Molti mi aiutano a creare l’atmosfera e l’ambientazione. Alcuni però, come Cecilia dei Garbahorror prendono vita propria, s’impongono da soli e non ci si libera facilmente di loro.
Finalmente riesco a sedermi nel mio angolino, collegata sempre in internet, perché le storie e le situazioni, spesso hanno riferimenti che vanno verificati e approfonditi. In molte delle mie storie, c’è una grande lavoro di ricerca. Mi piace mescolare fatti storici che hanno un alone di leggenda, con la fantasia.
Una cartella sul mio computer ha il titolo di “storie in embrione”. Di solito in due righe metto l’idea e soltanto dopo averci molto lavorato di testa, scrivo un abbozzo di trama. Alcune idee sono state per ora scartate. Aborti della mente destinati al dimenticatoio, non mi piacciono più oppure sono difficili da realizzare, ci vorrebbe troppo lavoro di ricerca, ma in futuro potrei riprenderle. Scrivere è  il plasmare i pensieri e i sentimenti in modo duttile, il tempo ti fa cambiare visuale ed esperienze.
Quando finalmente riesco a scrivere, dimentico tutto. I sensi di colpa, il lavoro di casa, la spazzatura da portare al cassonetto. Scrivo freneticamente, rincorrendo le frasi, le parole i verbi a cui cambio e ricambio i tempi. Può così accadere, in fase di correzione che mi sfugga un passato remoto rimasto solitario al presente.
Succede spesso e con sistematicità che per qualsiasi motivo, io venga interrotta nella formulazione di un concetto o nell’abbellimento di una frase che esige una grande concentrazione.
Il postino che citofona e vuole che si apra il portone, non capisco perché citofoni sempre alla sottoscritta. Il telefono che squilla, una, due, tre volte e poi il cellulare che trilla, un sms che arriva e non riesco ad ignorarlo. Il malcapitato che chiama, si sente rispondere un “Pronto?” così scocciato che a volte vorrebbe rimediare e non capisce il perché. Stai male per caso, hai una voce? La domanda è più o meno sempre la stessa. La risposte? Scatti di fantasia atti a rimediare. Perché non dico che sto scrivendo? Perché kamomilla è un po’ il mio alter ego, la parte nascosta e chi mi chiama, non capirebbe perché io stia lì a perdere tempo metà mattinata, invece di farlo fruttare economicamente o a lucidare pavimenti. Volendo riderci sopra, potrei dire che sono come Batman e Bruce Wayne, Paperinik e Paperino, Superman e Clark Kant. Ho la mia identità segreta, per modo di dire, e chi conosce solo la parte anonima di casalinga a tempo pieno,  si meraviglia ancora che io scriva e spesso mi guarda con l’ironia verso chi sta facendo una cosa insulsa e che io, mi sia montata la testa.  In realtà, per loro, non so neanche scrivere la lista della spesa. Mi sono ritagliata un giorno alla settimana, scrivo al mattino, quando gli altri sono al lavoro e non hanno modo di far trillare il telefono. Mi è stato suggerito di staccare tutto e isolarmi ma sono pur sempre una mamma con una mamma anziana a sua volta. A fianco del pc, nel poco spazio che c’è, mi ritrovo il cordless, il cellulare, gli occhiali che ora tolgo e ora rimetto. Al primo squillo, presa dal digitare spazi e parole, sbaglio anche a rispondere, scambiando i due telefoni. Finirà prima o poi che io risponda con gli occhiali e  inforchi il cellulare.
Dopo un poco che sono molto concentrata nello scrivere, succede che la storia prenda forma via, via, e in quel punto in cui avevo trovato una soluzione che a rileggerla non è molto logica, improvvisamente si chiarisca e appaia sulla tastiera, semplice e chiara, era lì ma io non la vedevo.
E poi? Poi arriva l’ora di pranzo, la storia si snoda lunghissima come un’autostrada chilometrica e io sono costretta ad interrompere. Per non perdermi il futuro sviluppo, quello che nella trama era soltanto abbozzato, scrivo un appunto ed aggiungo un commento sul testo. Un toccasana per la memoria, perché dopo giorni avrei perso del tutto il filo.
La fatica di scrivere è molta, due o tre cartelle succhiano via altrettante ore, che volano in un batter d’occhio ma lasciano una grande stanchezza mentale.
Sono questi i momenti delle pause, quando mi metto a girare su internet, rispondo alle e-mail o aggiorno la pagina di facebook, vado a salutare gli amici virtuali sui forum che frequento. Scrivo qualche post e poi di nuovo giù a capofitto con la tazza di caffè americano bollente a fianco. Un sorso alla volta e due righe di scritto fino al prossimo squillo di telefono.

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