E’ una strada molto trafficata che porta sull’antica via Ostiese. Per questo è sempre movimentata, con macchine che strombazzano e motorini che ti passano a destra senza pietà.
La doppia fila, è ormai lo stato permanente di questa strada, siamo tutti palline di flipper che cercano di accumulare punti ma devono scansare ostacoli: chi esce dai parcheggi e chi entra in doppia fila.
La toponomastica del quartiere, ha intitolato la strada a Gabriello Chiabrera, che visse nella seconda metà del cinquecento e scrisse numerose opere in versi, entrate a far parte del patrimonio letterario classico italiano. A tenergli compagnia ci sono, Gaspare Gozzi e Leonardo da Vinci:. Il tridente del quartiere.
Per la strada s’incontra sempre una folla variegata di ragazzi, con variopinti zaini a tracolla che gravitano attorno alla facoltà di scienze della comunicazione o a quella di economia. Se c’è il sole, studiano sdraiati sull’erba del giardino tra via Chiabrera e via Gozzi, dando una ventata di freschezza e gioventù al quartiere.
All’ora di pranzo, li vedi seduti ai tavoli dei due o tre bar della strada, che straripano di persone, tra studenti, impiegati, docenti universitari e personale del supermercato, circondati da piatti pronti e tramezzini.
Alla fine del giardino, la panetteria di Pietro, che sforna pane fresco e fragrante alle prime luci dell’alba. La sua pizza bianca, quella tipica romana, è inarrivabile, non ci sono diete che tengano, di fronte ad essa, specialmente quando esce fumante dal forno. Sua figlia Barbara serve al bancone, spesso affiancata dal fratello. Barbara è diventata un’amica e spesso tra un taglio del pane e l’altro, ci scambiano notizie sui figli che hanno percorso più o meno la stessa strada scolastica, dall’asilo alle superiori. Anche lei perennemente a dieta, si ritrova nel girone dantesco dei golosi, immersa in profumi che evocano infanzia, merende e tavole imbandite. Mi sono spesso domandata come faccia a resistere. Chi resiste? Ha risposto lei ridendo, una volta che gliel’ho chiesto.
Quel tratto della strada è una vera tentazione per tutti i golosi del quartiere, c’è solo imbarazzo nella scelta. Fatti pochi passi, ci si ritrova davanti la rosticceria Catanese. Posto dove sono entrata in punta di piedi, due volte soltanto, quasi in religioso silenzio. Dietro alla vetrina del bancone, una sfilza di opere d’arte, gioia e delizia per la vista e per la gola. Cannoli rigorosamente siciliani, mini cassate, arancini di tutti i gusti. Qui mi fermo perché la lista potrebbe continuare ma è meglio sorvolare.
Il piccolo parco, intitolato ad Alberto Oliva, un bambino che ha perso la vita cadendo dai vecchio giochi negli anni 80, apre uno spazio di verde tra gli enormi palazzi di cemento. A causa della lontana disgrazia, il parco, fu abbandonato per anni e divenne meta soltanto di cani che lì espletavano i propri bisogni. Restaurato da qualche anno, è divenuto meta d’anziani, che si radunano attorno alla statua della Madonnina, posta in un angolo, venerata dal quartiere. Ci sono persone, che nella fretta della vita moderna, si fermano qualche secondo in una rapida preghiera, facendosi frettolosamente il segno della croce. Una devozione mordi e fuggi, un po’ come la vita di oggi. La statua, è rifornita sempre di fiori e piante fresche che vengono curate dalle anziane del quartiere. D’estate, il parco è pieno di ragazzini vocianti, che giocano a pallone, benché sia vietato. Chiudiamo gli occhi sulla violazione, non ci sono spazi adeguati per loro. Questo resta l’unico spazio di verde, pochi metri quadrati, l’unica alternativa ai marciapiedi.
La notte, in giardino è meta di ragazzi, che tra una birra e una chiacchiera arrivano all’alba. Qualche volta si scatenano animate discussioni. Allora può capitare che dalle finestre che s’affacciano sul giardino, si levino grida di protesta per le voci troppo alte e per l’ora tarda, con frasi che a volte, suscitano l’ilarità di chi ascolta. La romanità viene fuori, pescando dal passato.
Al di qua di via Antonino Pio, si incontra l’edicola-libreria fornita degli ultimi best seller. E’ sempre piena di gente che entra ed esce, che si sofferma a spulciare i libri, le riviste i fumetti o chiede l’ultimo numero delle tante raccolte a dispense oppure gli immancabili dieci pacchetti di figurine di calciatori per il figlio collezionista. Mentre si rovista tra i libri è interessante ascoltare le chiacchiere. Il lunedì ci sono i giornali sportivi. Tra il pagare e il ricevere il resto, una battuta sulla Roma o sulla Lazio ci sta sempre bene. Una carrellata di personaggi del quartiere che entra ed esce, a volte scoppiano liti per la doppia fila davanti all’entrata. Tra una ricarica telefonica e l’altra Alfonso, il proprietario, si diverte a scambiare due chiacchiere con il cliente, infarcendo il discorso con qualche battuta che volte, fa ridere soltanto lui.
L’esercizio commerciale più importante della via è il supermercato. Anni fa, era affiliato Crai, situato su una superficie molto più ristretta di quello attuale. Era a conduzione familiare ora fa parte di una catena di supermercati nel Lazio.
Dentro vi lavora una piccola colonia della Garbatella. Frequentandolo quasi quotidianamente mi sono ritrovata spesso, nell’attesa di essere servita ai banconi, d’intavolare interessanti conversazioni sul quartiere nel quale sono nata. Rispunta allora, puntualmente fuori, l’orgoglio d’appartenenza. E’ così che ho scoperto chi vi abita ancora e chi vi è nato. Ognuno ha il suo bagaglio di ricordi al riguardo, le amicizie perse e quelle coltivate e solo per il fatto d’esserci nata, hanno un occhio di riguardo nel servirti, a volta risulta anche un po’ imbarazzante.
Continuando la nostra passeggiata, arriviamo alla scalinata di via Valeriano. Come gran parte della toponomastica del quartiere, anche questa si rifà agli antichi imperatori romani.
Salendo i gradini, si apre una porta nel tempo. Appare davanti agli occhi, un antico casolare di campagna dell’ottocento, incastonato tra palazzi di otto piani che gli fanno da corona. E’ il vecchio casolare Garibaldi. Nominato così, perché si presume che l’eroe dei due mondi, vi abbia passato una notte. Per anni è rimasto lì, abitato soltanto da ragni e topi. A guardarlo fa venire in mente l’antica collina con i vigneti e chissà se anche questi erano a garbata, un particolare tipo di coltivazione e uno dei probabili motivi del nome della Garbatella.
Il casale, era una delle innumerevoli locande “fuori porta”, meta di gitanti e frequentato dai vignaioli. Molti anni fa era affiancato ad un altro simile, che ebbe triste sorte e fu abbattuto, lì Garibaldi non c’era passato. Dopo tante lotte con le autorità locali, ora il casale è diventato un centro multi culturale e multi etnico, denominato: “La città dell’Utopia”.
Con gli anni, nella strada innumerevoli esercizi hanno chiuso i battenti, aprendo la saracinesca su nuove attività totalmente diverse. Sono spariti i negozi di quartiere, la macelleria di fiducia, il negozietto di verdura, dove le persone anziane, trovavano non solo i pomodori ma anche qualche chiacchiera di conforto.
Dei tempi storici ritroviamo soltanto le due pasticcerie, e, chissà perché, si torna a parlare di cibo e ghiottonerie.
La gente che circola generalmente corre. A volte si sofferma alle vetrine, osserva e tira avanti mentre da dietro la vetrina la speranza di un incasso è sfumata.
La crisi si fa sentire, o almeno è il mantra di tutti i negozianti di zona. Il calo delle vendite, la merce proveniente dalla Cina, i negozi di cineserie, l’oculatezza che si ha ora nello spendere. Si lamentano, quasi strappandosi i capelli in una sceneggiata napoletana di casa nostra. A torto o a ragione? Difficile rispondere. Si finisce sempre per chiudere il discorso incolpando l’euro, come fosse cosa animata e intelligente.
Raccontando e discorrendo, siamo arrivati alla fine, lì dove si apre Largo Leonardo da Vinci, dove le tre strade, del tridente di quartiere, finiscono sulla piazza su cui s’affaccia Oviesse. Bella la nuova ambientazione, dal sapore post industriale, pedane di ferro grigio scuro imbullonate, vorrebbero simulare un’antica fabbrica riciclata. I vestiti in vendita, però, hanno tutti la stessa fattura. Pret à porter alla portata di tutte le tasche. E’ il mio punto di relax, quando il tempo è cattivo, quando non ho una meta precisa e non ho voglia di camminare. Mi aggiro tra pantaloni e maglie, giacche e improbabili scarpe, divertendomi nel kitch senza aprire il portafoglio, a volte mi capita anche d’intavolare lunghe conversazioni, con qualche amica che ha avuto la mia stessa idea, allora il negozio diventa un salotto, manca soltanto qualche poltroncina e magari un tè.
Questo post fu pubblicato su splinder, nel frattempo alcune cose sono cambiate. Il Casale Garibaldi è stato quasi del tutto restaurato, tra polemiche e battaglie politiche. Delle due pasticcerie, una ha chiuso e il locale per ora resta vuoto. La crisi si è fatta fortemente sentire. Il forno di Pietro è diventato un bar gastronomia ma purtroppo, il proprietario è deceduto l'estate scorsa. Vi sono nuove attività, come il Negozio leggero, molto attento all'ambiente, che organizza anche incontri per spiegare come consumare meno e produrre meno rifiuti. La vita continua tra cambiamenti, crisi e tutto resta apparentemente nella sua immutabilità.
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