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martedì 5 novembre 2013

John e Alì




Questo è stato il mio primo racconto scritto e mai pubblicato nel blog. Lo pubblico come una mamma accompagna suo figlio al primo giorno di scuola. C'è un'ingenuità un po' scontata in queste parole ma fanno parte del mio percorso. Il tema come potrete leggere fu ispirato dalla guerra in Iraq.


Fuori il sole era rovente, nell’aria odori acri, di sudore, di cibi andati a male. Nelle orecchie incessanti ronzii di mosche tormentavano Amina. Stesa su un pagliericcio fetido, urlava con tutto il fiato rimasto, suo figlio stava venendo al mondo.
Il sudore le scorreva sul volto, sua sorella Aisha cercava di tergerlo con una pezzuola bagnata. Improvvisamente un vagito squarciò il silenzio che aleggiava nella stanzetta in penombra, eccolo, un fagottino sporco di sangue, il cordone ombelicale ancora attaccato, urla al mondo tutta la sua voglia di vivere.
Nel campo profughi palestinese, la voce di questa nascita corre velocemente, gli uomini si congratulano con il neo papà dandogli grandi pacche sulle spalle, un maschio: Alì il suo nome. Avrà forse una speranza di libertà, forse lui potrà camminare, respirare, lavorare, sposarsi e fare figli in una terra libera: la Palestina. Quella terra carpita, usurpata dal loro nemico, quello che li ha costretti a vivere come bestie braccate, rinchiuse dentro un recinto, circondate da un muro interminabile, lungo come il tempo che scorre e brucia la loro libertà e le loro vite appese ad un filo.
Lontano si odono spari, il rumore delle pale degli elicotteri che volano sulle loro teste, la paura di non arrivare al domani si respira come l’aria arroventata, che non ti entra nei polmoni, ti brucia e ti uccide. E’ qui che Alì, se avrà fortuna, dovrà crescere, passare la sua infanzia rubata in mezzo a cumuli di immondizie, al tormento delle mosche ed alla polvere rovente, al sole accecante, neanche un cespuglio per ripararsi.
Dall’altra parte del mondo, molto più ad occidente, nella terra un tempo rigogliosa e coperta di foreste verdeggianti, dove i bisonti pascolavano felici; ora sorgono alveari costruiti dall’uomo. Torri altissime, che svettano verso il cielo, luccicano alla luce del sole che si riflette sfavillando sui cristalli delle finestre, sembrano occhi che guardano la vita frenetica nelle strade, gli occhi della civiltà, del progresso, della libertà, della democrazia, conquistata con il sangue di chi ha combattuto e creduto in essa.
In un asettico ospedale di New York, Ann sta combattendo la medesima battaglia di Amina, anche lei urla fissano la luce della sala parto che le sta accecando gli occhi. Accanto sorridente l’infermiera la conforta, è quasi giunta l’ora, suo figlio sta nascendo.
John agita i piccoli pugni verso il cielo, la sua bocca è spalancata, piange, vuole farsi conoscere. Fuori suo padre nervosamente aspetta la notizia, ci sono i suoi amici vicino che lo confortano in questa interminabile attesa, ed ecco l’infermiera esce: è un maschio, gioia immensa di tutti, pacche sulle spalle al neo papà da parte di tutta la combriccola.

Gli anni passano, Alì gioca spensierato tirando calci ad una palla consunta e sgonfia, gli basta poco per essere felice, ha la sua mamma vicino, i suoi amici con cui giocare. Non sempre Alì è così felice, spesso la fame lo tormenta, il suo stomaco è vuoto come un otre a cui sono state tolte le ultime gocce di acqua, di vita.
Corre da sua madre, chiede da mangiare, lei lo guarda disperata, cosa può fare, la rabbia è tanta, perché suo figlio è condannato a morire di fame, loro debbono vivere come reietti nella loro terra.
Sono mesi che non vede suo marito, è partito con un gruppo di combattenti, vive in clandestinità. Prima di lasciarla sola nella sua disperazione, le ha parlato della guerra che si combatte là fuori, lontano dal loro recinto, una lotta per la sopravvivenza del loro popolo, deve andare, anche se forse non si rivedranno più, lo fa per Alì, per suo figlio. Troppa è stata la loro sofferenza, non vuole che anche questo bambino innocente debba veder bruciare tutta la sua vita così, nella fame e negli stenti, senza nessun diritto riconosciuto, senza la possibilità di poter avere un lavoro decente, vuole rompere quest’interminabile dolore che dura da generazioni.
Amina è una donna, che può fare? L’ha guardato partire, con il capo chino, mentre una lacrima le correva sulle guance e rotolava sul velo nero che le copriva il capo.

Ann grida a John di sbrigarsi, il pulmino per la scuola sta partendo, gli grida se ha preso la merenda, mentre lo vede correre affannato salire sullo scuola bus.
John frequenta una scuola privata, i suoi genitori hanno voluto il meglio per lui. Entra orgoglioso con il suo nuovo zainetto firmato, oggi sarà invidiato dai suoi compagni.
All’uscita di scuola sua madre gli offre un gelato, buono il cioccolato, si sporca tutto il volto, affondandolo nella fredda crema, ride e dalla sua boccuccia spalancata si intravede l’assenza di due incisivi. Chissà se la notte scorsa, la fatina dei denti ha lasciato qualche moneta sotto il cuscino.

Passano gli anni Alì ha perso suo padre, come era inevitabile, è stato ucciso in uno dei tanti scontri con gli israeliani. Appena ne ha avuto l’età, dopo tanti stenti, ha dovuto provvedere a sua madre, lei è una donna, non può lavorare. Ha appena 12 anni, già è tanto tempo che non gioca più, la fatica è tanta, lavora tutto il giorno, cercando di raggranellare qualche monetina per poter sopravvivere. La scuola non sa neanche cosa sia, un poco ha imparato a leggere, nella scuola coranica che frequenta la sera tardi. Gli hanno insegnato che Allah è misericordioso, che se muore per difendere la sua terra, avrà una vita in paradiso ricca di cibo, di belle donne, di nettare ed ambrosia. Chissà forse lì, si potrà mangiare fino a scoppiare, magari anche un gelato.

John è arrivato alla festa di diploma. Ha invitato la sua compagna Elisabeth, bella come il sole, due occhi azzurri sfavillanti. La sera vestito in smoking, al collo un papillon, la va a prendere con la macchina di papà, tra poco avrà la sua, tutta nuova e fiammante. Le ha regalato un mazzolino di fiori, intonato al vestito color del cielo, “non ti scordar di me” li chiamano, blu come i suoi occhi profondi. Lei emozionata li ha messi sul braccio sinistro, come è consuetudine prima del ballo.
Stasera è sicuro la bacerà, sì perché lui la ama da mesi, stasera le dirà che è pazzo di lei.

Il padre di John dirige una società al 56esimo piano delle torri gemelle: l’orgoglio della tecnologia americana, una delle più alte costruzioni del mondo. Stamattina, 11 settembre 2001, è corso via senza neanche mangiare le sue uova al bacon, era in ritardo per la riunione. Ann sta guardandosi allo specchio, un ultimo tocco di rossetto prima di recarsi in ufficio, controlla che il suo cellulare sia carico e scappa a prendere l’auto, se non si affretta anche lei farà tardi.
Non sono ancora le nove del mattino, il suo cellulare sta squillando, guarda il display: è suo marito, si sarà dimenticato qualcosa stamattina, è uscito troppo di fretta. Risponde con tono sconsolato, “Hallo?” , dall’altro capo suo marito sta gridando che una delle torri è in fiamme. Ann non ci crede, pensa ad uno scherzo, poi dal tono terrorizzato di suo marito capisce che la tragedia si sta compiendo. Suo marito morirà nel crollo della seconda torre, sarà una delle migliaia di nomi senza volto, scolpiti su una immensa lapide. Nome tra i nomi, letti un anno dopo in una lunga commemorazione.
John è distrutto, il suo amato padre è stato ucciso dai terroristi. “Il diavolo” come li ha chiamati l’amato presidente Bush. Lui sì che sa il fatto suo, ha detto che li perseguiterà e li stanerà ad uno ad uno. “Libertà infinita” ha chiamato l’operazione, si sta organizzando una guerra. Gli Stati Uniti sono l’unica nazione che può combatterli, “lo faremo da soli!” dobbiamo far capire a Bin Laden, il loro capo, che siamo i più forti, facciamo vedere loro che cosa è la democrazia!
Dopo l’Afghanistan, è la volta dell’Iraq, Saddam vuole sterminare tutto il mondo, è un dittatore sanguinario, tuona Il Presidente. John decide che vuole vendicare la morte di suo padre, andrà in Iraq con il contingente in partenza.

Alì intanto, dall’altra parte del mondo, sta combattendo la sua guerra. Gli israeliani sono il suo nemico più acerrimo. Alla moschea l’Imam incita tutti alla guerra santa. Allah farà perire tutti gli infedeli, i cani americani, quelli che stanno spargendo il sangue dei nostri fratelli iracheni. L’Imam grida tutto il suo odio e la sua rabbia: “Uomini dobbiamo andare lì, dobbiamo combattere con loro, se necessario morire per la causa di Allah”.
Alì ha deciso, sarà un kamikaze, sua madre sarà orgogliosa di lui. Si immolerà per la guerra santa, come migliaia di anni fa, fecero i suoi antenati contro gli infedeli cristiani. E’ in attesa dell’ordine, quando arriverà la chiamata deve essere pronto.

John, stamani è di guardia. Fa un caldo infernale in Iraq. L’uniforme gli si attacca addosso, l’elmetto è diventato rovente, il sudore gli cola sugli occhi. Non deve abbassare la guardia neanche un momento, quei “diavoli” di islamici sono dappertutto, si fanno saltare in aria così come fossero pallottole vaganti, sparate in un gioco al massacro per colpirti al cuore.
Pensa a sua padre, sepolto sotto una bella lapide di granito rosa, immagina il suo volto sorridente. Sorrideva anche quella maledetta mattina, quando la loro vita e quella del mondo era cambiata in un solo istante.
La rabbia gli fa serrare la mascella, stringe i denti, nelle mani il mitra è diventato pesante. Scruta l’orizzonte ma la sua mente è lontana, sua madre starà ascoltando trepidante i notiziari, nella speranza di non udire mai il suo nome tra la lista dei morti, di quelli che rientreranno in patria in una bara coperta con orgoglio dalla bandiera a stelle e strisce. Povera mamma, anche io l’ho lasciata sola. Era un mio dovere, per vendicare mio padre, per onorare gli Stati Uniti, per il mio amato Presidente, darò la vita se possibile, come prima di me hanno fatto tanti americani per difendere libertà e democrazia.

Alì ha ricevuto l’ordine. Non ha paura, sa che Allah lo accoglierà tra le sue braccia. Sa che finalmente sua madre sarà orgogliosa di lui, potrà rivedere suo padre, avrà tutto il cibo che vorrà, sarà ricco, tanto ricco, come gli odiati occidentali, come quegli infedeli degli americani che hanno invaso l’Iraq per farne schiavi tutti i nati sotto la fede di Allah. Li odia lui, come odia gli israeliani, sono loro che li fanno morire di fame, sono loro che li hanno ridotti in schiavitù.
Si lava per essere pronto e puro prima di entrare nel Paradiso.
Si veste con calma, prende la cintura dell’esplosivo e si cinge i fianchi, tra poco tutto sarà compiuto. Circonda la sua fronte con il simbolo del suo gruppo di combattenti, i suoi amici lo immortalano mentre sorride, verrà anche il loro turno.
E’ calmo Alì mentre si avvicina alla postazione americana. Dalla parte opposta un soldato di guardia, scruta l’orizzonte imbracciando un mitra. Deve stare attento Alì, altrimenti tutto sarà vano.
Ecco questo è il momento, Alì trattiene il respiro conta fino a tre…
Fumo acre, grida di soldati, schegge impazzite alla ricerca di un colpevole. Gli ufficiali scandiscono gli ordini.
A terra sangue, tanto sangue, un arto con divisa americana, un braccio con la spoletta ancora in mano.
Alì e John sono morti così, insieme, quasi abbracciati, fratelli in un solo istante. 




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