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mercoledì 30 agosto 2017

L'avvoltoio




I nativi lo chiamavano avvoltoio, inseguiva la preda e la uccideva per non avere noie, incassava la ricompensa, vivo o morto ero lo stesso per la legge e lui li restituiva morti.
Lo chiamavano avvoltoio, perché era sempre vestito di nero, come un becchino. Aveva due occhi trasparenti di cristallo dalla pupilla minuscola, lo sguardo da serpente freddo, celato sotto un cappello dalle larghe tese. Era armato, un fucile a tracolla e due pistole ai lati dei fianchi. Cavalcava un purosangue del colore della notte, dalla criniera al vento. A vederli insieme sembrano usciti dal libro dell'Apocalisse.
Scendevano lungo il crinale della montagna, giù verso la valle. Avvoltoio lo braccava da tempo il grande guerriero. Lui, che orgogliosamente apparteneva al grande popolo dei Sioux era troppo stanco per combattere, si era fatto vecchio e sulle sue spalle pesavano cinquantacinque primavere.
Wambleeska, aquila bianca, sedeva fumando la pipa, immobile come una statua, il volto segnato dal tempo. Il vecchio, la notte prima,  aveva sognato avvoltoi, un sogno vivido, nel quale, lui, ancora giovane, combatteva contro coloro che avevano rubato tutto al suo popolo. Nel sogno si era ritrovato supino, steso al suolo e i suoi occhi vedevano un avvoltoio nero girare sopra di lui. Si era svegliato madido di sudore. Wakan Tanka gli aveva mandato un segnale e ora lui doveva interpretarlo, non era un buon presagio.
L'aria era rovente e secca e rimandava l'immagine della montagna inondata da  una luce accecante che tremolava al calore della terra.
Il cielo, di un azzurro carico, pesava come una coperta, avvolgendo le rocce arrossate dal sole cocente.
L'uomo, dagli speroni argentati, sedeva ritto sulla cavalcatura,  incurante del sole e del vento che sembrava seccare le ossa.
Si fermò nell'ultimo villaggio prima del deserto. Le case sembrano vuote, erette lungo una strada ricoperta dalla sabbia portata dal vento. C'era un unico locale pubblico, dove togliersi la polvere dalla gola, ma prima affidò il destriero allo stalliere, affinché lo rifocillasse, era l'unico essere a cui lui tenesse. Entrò nel saloon, alla sua vista si fece un silenzio irreale. Il pianista smise di suonare le sue lagnose e stonate musiche e tutti si voltarono ad osservare il nuovo venuto.
C'erano svariati tavoli tutti occupati, vi si disputavano accanite partite di poker, tra un denso fumo di sigaro. Ogni tanto volavano bestemmie, insulti e a volte si tiravano fuori le armi, ma solo per fare la voce grossa. Era la terza volta in quel mese che al proprietario avevano distrutto il locale, per risse scoppiate così, senza un perché, il whisky scadente incendiava facilmente gli animi.
L'uomo avanzò facendo tintinnare gli speroni, il rumore s'ingigantì nel silenzio dell'attimo. Un vecchio che suonava l'armonica sputò per terra, in segno di disprezzo, la fama dell'uomo ormai lo precedeva.
Al bancone gli chiesero cosa volesse. Da bere, rispose, guardando di sottecchi i presenti, senza darlo a vedere, una mano sulla pistola di sinistra. Lo servirono, ma lui ne chiese un altro, che ingollò tutto d'un fiato. Poi tirò fuori dalla bisaccia un foglio stropicciato, dove era stampata la faccia di un nativo, dallo sguardo bellicoso, c'era scritto: ricercato vivo o morto e l'importo della taglia. 
Lo avete visto? Chiese a denti stretti. Nessuno rispose, benché odiassero gli indiani più di ogni altra cosa, odiavano ancora di più i cacciatori di taglie e Avvoltoio era proprio il nome che gli si addiceva. Ripeté la domanda guardando negli occhi l'uomo dietro al bancone, la sua immagine, riflessa dallo specchio, rimandò la sua espressione truce a tutti gli avventori. L'uomo scosse la testa, ma s'irrigidì quando vide il dito tenuto sul grilletto della pistola, puntata verso di lui.
Qualcuno l'ha visto? In fondo alla sala, un giovane dall'aria sfrontata, più che altro per celare la paura, disse di averlo visto sui monti, nei pressi delle grotte sacre ai Sioux. Il cacciatore di taglie si girò su se stesso e prese per il bavero il ragazzo, lo guardò con i suoi occhi di ghiaccio. Sicuro? Chiese di nuovo, l'altro, inghiottendo saliva a fatica, annuì. 
Tornò al bancone, finì l'ultimo sorso di whisky scadente e uscì facendo tintinnare gli speroni.
Giù a valle, ai margini del deserto, vivevano gli ultimi Sioux,  relegati in quelle terre aride e ostili che l'uomo bianco aveva soprannominato riserva indiana. Le donne intente a cucinare, davanti ai fuochi, arrostivano piccoli roditori che gli uomini a fatica avevano cacciato, qualche serpente stanato  da sotto le pietre, non certo la carne di bisonte che aveva sfamato i loro antenati. Bambini scheletrici vagano nella polvere, chiedendo cibo. La Grande Nazione non esisteva più, a centinaia ne erano stati trucidati e ora correvano nelle Grandi Praterie del cielo, guerrieri che si erano battuti fino alla fine, donne e vecchi inermi e innocenti coi loro cuccioli d'uomo. Dove passava l'uomo bianco, restava soltanto cenere. Essi promettevano ma poi mentivano, avevano lingue di serpente e questo, Aquila Bianca, l'aveva imparato sulla propria pelle. Lontano il giorno, in cui in catene, come una bestia, l'avevano rinchiuso in una prigione. Volevano sottoporlo ad un regolare processo, secondo le loro leggi per aver dato il via alla rivolta e alle razzie contro i coloni. Avevano trucidato due famiglie e incendiato le loro case. Per i Sioux la giusta vendetta per le stragi del loro popolo ad opera delle giacche blu. Aquila Bianca, il loro capo, doveva essere impiccato, ma prima il processo, la legge, il giudice: la facevano lunga i bianchi. Nessuno però, era stato punito per il massacro perpetrato ad opera di un pugno di soldati ubriachi. Era così che Aquila Bianca aveva perso la giovane sposa e il piccolo figlio. I pochi rimasti vivi, li avevano deportati nelle riserve, a morire di fame e d'inedia. Si erano presi le loro terre e ci avevano costruito le fattorie. 
Wambleeska aveva raccolto i pochi guerrieri rimasti e organizzato razzie. Si prendevano i cavalli, il cibo che mancava loro e li ammazzavano quei cani bianchi, i loro scalpi erano un onore da ostentare, si riprendevano quello che era sempre stato loro, quando nessuno aveva ancora visto un viso pallido.
Aveva la corda stretta al collo e la vita agli sgoccioli, Aquila Bianca, la sentenza stava per essere eseguita ma i guerrieri non lo lasciarono morire. Attaccarono il forte in massa, si erano organizzati con altre tribù, anche rivali, perché questa volta il nemico era di tutti.
Le urla bellicose e gli spari echeggiavano nell'aria, finché il sangue ricoprì la terra sporcando di rosso le giacche blu.
Aquila Bianca tirò una boccata di fumo, doveva lasciar liberi i ricordi di rincorrersi come cavalli selvaggi nella prateria, l'avrebbero portato a comprendere il sogno e il suo destino.
Erano passati tanti anni da allora, dei suoi ne erano rimasti una manciata, non più i fieri guerrieri ma poveri esseri ormai senza orgoglio, piegati dagli stenti e dalla supremazia delle lingue di serpente.
Wambleeska era uno degli ultimi antichi guerrieri, forse l'ultimo della sua tribù che ancora ricordava la vita che era stata, un simbolo per il suo popolo. 
L'Avvoltoio calò come un'ombra, di notte, sul villaggio. Catturò e torturò due uomini che si erano allontanati per cercare cibo. Voleva a tutti i costi conoscere l'esatta posizione del rifugio di Aquila Bianca. Nessuno parlò e furono scannati. Poi toccò agli altri finché tutti furono trucidati dai colpi di fucile rabbioso dell'uomo. Erano indiani, aveva ucciso delle bestie non ci sarebbero state conseguenze.
Alla fine una squaw, allo stremo, parlò, per salvare il neonato che stringeva tra le braccia. Acquisito quello che voleva sapere, l'Avvoltoio sparò loro senza pietà.
Altri due bastardi in meno, pensò, saltando sul cavallo demoniaco che s'impenno sulle zampe posteriori, nitrendo ed emettendo schiuma dalla froge prima di partire al galoppo.
Cavalcò un'ora abbondante sui sentieri impervi. Le salsole disseccate rotolavano giù verso la valle spinte dall'aria smossa dal loro passare.
Aquila Bianca aspettava l'Avvoltoio del sogno, impassibile, scolpito in quella roccia a cui si era appoggiato, parte anche lui di una natura selvaggia. Era questo il volere di  Wakan Tanka. 
Alla fine l'Aquila e l'Avvoltoio si trovarono faccia a faccia.
L'uomo nero, con l'arma puntata verso il petto di colui che portava il nome della regina dei cieli.
Nessuno parlò. Gli occhi freddi del colore del cristallo fissavano quelli di un nero velluto, fieri, mai rassegnati. Si guardarono per quello che sembrò un battito d'ala o un lunghissimo respiro di 
Wakan Tanka. Il vecchio non si mosse, tirò un'ultima boccata di fumo. L'altro, forse colpito dalla fierezza saggia di tante primavere, esitò per la prima volta. Nessuno  abbassò lo sguardo, in quello sguardo una guerra si sarebbe conclusa per sempre, ma nessuno avrebbe vinto.
L'uomo nero prese la mira, guardò il vecchio un ultima volta, e sparò.

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