Occhi verdi come il
mare in tempesta, trasparenti, di cristallo, occhi di gatto.
Quando guardavi
Maura negli occhi, il primo impatto era questo. Gli occhi parlavano,
mandavano lampi d'indignazione e d'orgoglio, perché lei era una
donna forte, orgogliosa. Aveva scelto la solitudine dopo una vita di
passioni, aveva amato donando sé stessa, sempre, anche uomini che,
forse, non sempre l'avevano compresa. La sua passione più grande,
però, era l'accudimento dei gatti sfortunati. A Roma le chiamano
gattare quelle come lei, ma,
riferito a Maura, è un termine estremamente riduttivo. La signora
dei gatti le si addiceva molto di più. Era stata premiata, anni fa,
in Campidoglio, per il suo operato nell'accudimento dei felini
cittadini e un giornalista, nel descriverla, l'aveva chiamata così.
Tutto il quartiere conosceva la Signora dei Gatti, per via della sua
socievolezza, non era timida Maura, bastava un pretesto, uno sguardo
e lei ti parlava, ti catturava con le sue storie, si finiva per
scordare il tempo a forza di ascoltarla.
La
conobbi per caso, anche se la sua fama l'aveva preceduta, sapevo chi
fosse. Successe
un giorno che riportavo il mio micione a casa, chiuso
nel trasportino. Micione
fulvo, una piccola tigre in
miniatura, dagli occhi di
giada, un po' come i suoi. Si fissarono per un momento e lei mi
chiese notizie di lui, soffermandosi a fare dei complimenti al
gattone che la guardava immobile, un po' sconcertato se dovesse
rispondere, ai suoi innumerevoli complimenti, con miagolii di
soddisfazione o facendo le fusa, tra
loro fu subito amore.
Dai, Carlé,
siediti qui con me, diceva
seduta al tavolo del bar sotto casa mia, quando mi vedeva passare.
Sempre di corsa, cercavo di svicolare, adducendo pretesti, a volte
veri, a volte no. Sapevo che se l'avessi fatto, il mio tempo sarebbe
svanito come in una bolla.
Non
sono mai riuscita, però,
ad evitare di sedermi accanto a lei. Saranno stati quegli occhi
trasparenti, la richiesta di
un po' di tempo da dedicarle, il tono della voce amichevole, la forza
del suo bisogno di compagnia, alla fine mi sono sempre seduta ad
ascoltare le sue storie.
Il
più delle volte mi raccontava dei suoi amati gatti, che anche per
me, sono gli animali più belli in assoluto, eleganti, eccentrici e
orgogliosi della loro autonomia. Le assomigliavano i suoi felini
di strada.
Aveva
dato un nome ad ognuno, io ne ricordo un paio, quelli di cui mi
parlava più spesso: la mammina e
Picchiapò. La prima
la trovò affamata in compagnia della sua cucciola. L'aspettava ogni
sera, sempre allo stesso angolo di strada, con la figlioletta e non
toccava cibo, se prima la cucciola non aveva mangiato. Maura
raccontava e le si velavano gli occhi di smeraldo dalla commozione.
La sua profonda empatia le faceva provare i sentimenti dei suoi
animali. A volte, una lacrima, a stento trattenuta, le scivolava
fuori dal mare verde dei suoi occhi, e scendeva lungo la guancia,
finché lei, finito di raccontarti, l'asciuga via con noncuranza.
Mi hanno
premiato, sai? Per questo servizio che faccio, ma io non lo faccio
per nessuno, soltanto per quelle bestiole che non hanno che me, e
mi raccontava come era la vita della signora dei gatti.
Ci
spendo parecchio per comperare il mangime, ma non m'importa, è un
grande sacrificio, sai? Ogni sera, con qualsiasi tempo, caldo o
freddo, so che loro sono lì e io non posso abbandonarli, rientro a
notte fonda, rischio anche un po', ma tutto è ripagato dal loro
affetto. Si fermava un po' immaginando le varie bestiole e allora,
vedevi la lacrima che accompagnava sempre le sue parole. Queste cose
le dico a te, che sei una che ama i gatti, aggiungeva ogni volta,
perché molti, quelle come me, le prendono per matte, lo sai? La
domanda con cui intercalava i suoi discorsi.
Alcune
persone, poche per la verità, la schernivano
nel parlare
di lei, ma i più avevano un grande rispetto, molti le hanno voluto
bene, come me, che non riesco a non pensare a lei.
Nelle
sere d'estate, prima della cena, spesso mi sono fermata un poco,
molto di più di quanto a volte potessi, per sentire le sue storie di
gatti, che ormai conoscevo
anche io, attraverso di lei.
C'è
stato un tempo, in cui aveva salvato un gattino, abbandonato dalla
madre. Me l'aveva fatto fotografare e io le avevo regalato varie
copie della foto stampata. La distribuì
nel quartiere,
per cercargli una famiglia, ma poi non si accontetava mai, nessuno
era all'altezza di quel tesorino. Poi il gatto morì, per via di una
malattia genetica, per questo era stato abbandonato. La incontrai
tempo dopo, ignara della tragedia. Singhiozzava e piangeva a dirotto,
non ne prenderò mai più in casa, mi disse, troppo dolore quando li
perdi e mantenne la promessa.
Con
gli anni, ha perso forze, non ce la faceva più ad accudire i suoi
amorini, ma non li ha dimenticati mai.
Nelle
nostre lunghe conversazioni, più che altro parlava lei, io
ascoltavo annuendo al
racconto della sua vita, mai in ordine cronologico, ogni tanto uno
spezzone, un pezzo di grande
puzzle che s'incastrava un
poco alla volta in un quadro
d'insieme sfumato di passioni, di sentimenti mai del tutto spenti. Ho
amato molto, diceva, io
sono una donna passionale, non mi sono mai accontentata, mi hanno
adorata i miei uomini. Poi tornava ai gatti, così, senza un filo
logico e raccontava, raccontava, finendo con la sua solita frase: Ho
ragione Carlé?
Ti
leggeva dentro Maura, come in
un libro dalle
pagine trasparenti, bastava
il primo approccio e già sapeva che persona avesse
davanti. Lo vedi quello? Mi
chiedeva indicandomi qualcuno che passava, gli faceva un sorriso, un
cenno della testa e mi diceva, senza sbavature, che persona fosse.
Anche di me, molto aveva intuito, anche se io non le ho accennato che
pochi episodi, sempre riguardanti i nostri amati felini. Con
la profondità cristallina dei suoi occhi aveva già capito, il
giorno che m'incontrò con il
mio tigrotto.
Pochissimo
tempo fa, poco prima delle feste, sono stata chiamata dal ragazzo del
bar, dove si fermava pomeriggi interi.
Meno male che è
passata, mi ha detto, volevo
che lo sapesse, lei che si fermava sempre con Maura. La signora è
mancata ieri notte.
Ho
avuto un tuffo al cuore, ci sono rimasta malissimo, soprattutto dopo
che mi raccontato la sua morte in solitudine, in strada, all'uscita
dal cinema. Il suo corpo rimasto ore, di notte, sotto la pioggia.
Stavolta la lacrima è uscita a me e non l'ho potuta trattenere.
Aveva
scelto la solitudine, lei che aveva un figlio, una sorella e un
fratello. Io la chiamo solitudine, lei la chiamava libertà.
Ciao,
Signora dei gatti, se potessi ti dedicherei le fusa del mio micione.
Ti mando un bacio lì dove sei. Amo immaginarti felice insieme ai
tanti gatti che hai amato e
che hanno passato il ponte,
come te.
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