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mercoledì 31 ottobre 2012

Nel buio della notte




Johann Heinrich Fussli - L'incubo



Un buio fitto ricopre ogni cosa nella stanza, una coltre di piombo impenetrabile. Un silenzio profondo, rotto soltanto dal respiro regolare. Aria che entra, ossigena cellule ed esce cadenzata.
Il corpo immobile, disteso nel letto, sembra dormire, sa di non essere solo.
Una presenza ignota è in agguato. Non riesce a vederla ma la percepisce perfettamente. Il non poterla vedere, la rende ancora più terrificante, incarna ogni sua paura. Il volto di un mostro, celato nel nero della notte.
La presenza è lì, ferma, in un angolo della stanza, dietro lo stipite della porta. Il corpo non riesce a muoversi in balia del terrore che lo attanaglia. Se finge di dormire, lo lascerà in pace. Vorrebbe muovere un braccio, afferrare l'interruttore della lampada sul comodino ma il braccio è così pesante nonostante il grande sforzo, non si è mosso di un millimetro.
Si concentra, cerca di scendere dal letto ma il suo corpo è immobile, chiuso nel sudario di un lenzuolo zuppo di sudore. Gli occhi ora sono sbarrati, cercano nel buio. Il buio è fitto, troppo, non lascia trapelare il suo segreto.
La presenza, si muove. Nessun rumore, ma il corpo immobile, sa perfettamente che sta avanzando.
Il suo respiro si è fatto spasmodico, sta entrando in iperventilazione. Il petto è oppresso, l'aria sembra non entrare a sufficienza nei polmoni.
Urla, nessuno l'ascolta, è come se la sua fosse una voce afona, l'urlo, a lui sembra uscito potente dalle labbra ma è solo un flebile lamento nell'oscurità.
La presenza avanza, lentamente, conscia del suo potere nei confronti della vittima.
Questa, cerca di rotolare dall'altra parte del letto, ogni singolo muscolo, è pietra. Resta perfettamente immobile, fingendo di dormire. Ormai ha capito che l'espediente non lo fermerà.
Il silenzio è profondo, la presenza non emette suono, striscia rasentando i muri, come un ratto famelico.
Lentamente il lenzuolo si scosta. Il corpo immobile, trema, ma resta fermo. Lo sente strisciare sotto le coperte, sente il suo peso appiattire il materasso, grida con quando fiato ha in gola. Chiede aiuto. La presenza gli sfiora una gamba.
E' un grido infinito quello che gli esce dalle labbra, passa tutte le barriere, gli rientra nelle orecchie, penetra nel cervello.
Lo scuote, gli fa recuperare movimento, salta, ogni salto è privo di gravità, lo innalza al di sopra del buio. Apre la finestra, si getta nel vuoto. Vola. Si libra nell'aria come un aquilone dal filo mozzato. La città dall'alto è una ragnatela di luci. Da lassù respira aria fresca. Il suo corpo è leggero, come gabbiano, ha la vista di un falco e vede ogni particolare. C'è laggiù la sua finestra aperta, una bocca vuota e nera, un occhio orbo e innocuo. Sa che non rientrerà e non si meraviglia di volare, per lui è naturale, come respirare.
Il potente rumore dell'acqua che scorre lo distrae dal volo. Egli esita, teme l'acqua e ne cerca la fonte.
L'acqua è limacciosa, spumeggia e vortica con impeto, cerca d'inghiottirlo. Non può scendere ma è stanco di volare. Sotto di lui s'appropria di ogni anfratto e lui scende, lentamente, un aquilone inzuppato e pesante.
In lontananza suona una sirena. E' un flebile aiuto soffocato dalla furia dell'acqua. S'avvicina, è sempre più forte, lo segue. Ora il suono è così forte da non riuscire a sopportarlo.
Si siede, completamente inzuppato, mentre cerca disperatamente aria. Si guarda intorno, è nel suo letto e la sveglia accanto, segna le cinque e tredici continuando a trillare.
Un incubo è stato un maledetto incubo, la porta è aperta e incornicia il buio. Lo stipite è lì che aspetta.

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