A te navigante...

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venerdì 22 febbraio 2013

All'ombra dei cipressi e dentro l'urne...




Interrompo momentaneamente la pubblicazione del racconto a puntate per pubblicare questo vecchio scritto, attuale in questo momento rovente di chiusura campagna elettorale.
Domenica prossima siamo chiamati alle urne in un momento difficile. 
Questo post fu scritto e pubblicato su Splinder il 3 marzo 2010. Tutto è cambiato ma nulla è cambiato. Siamo di nuovo in procinto di votare. La posta in gioco stavolta è molto più alta. Ci giochiamo il destino del nostro Paese e un possibile fallimento o meglio default, parola molto abusata negli ultimi tempi, usata come merce ricattatoria da alcuni canditati e respinta come favola da altri. Comunque sia,  a noi toccherà "l'ardua sentenza".

Tra poco si vota. Perché le urne, citate, sono quelle elettorali.
Sono cittadina italiana, consapevole del peso del voto. Sono stata educata all’importanza del mettere una piccola croce sulla scheda.
Un mio dovere, un grande peso sulle spalle, enorme responsabilità nelle mani di una sola persona.
Un mio diritto, perché un solo voto, può avere un grande peso. Come nel film Swing vote, dove un uomo qualunque, senza ideali e che non ha mai votato, decide col suo solo voto, le sorti delle presidenziali americane. Situazione paradossale ma su cui riflettere.
Rifletto così da giorni.
Ripasso mentalmente, le liste da votare. Mi ripasso la scena, come un regista che sta studiando i movimenti e le luci giuste, prima del ciak.
La scheda elettorale: ce l’ho!
La carta d’identità: ce l’ho!
L’idea sul voto: mi manca!
Sembra uno scambio di figurine dei tempi d’infanzia, quando con pacchi da scambiare, si passavano ore, tra un ce l’ho e un mi manca. Ora i pacchetti in mano, sono di pubblicità elettorali, tolte dalla cassetta postale ormai satura, prese al volo in strada, per non star lì a dir di no e far capire l’eventuale nostro pensiero politico. Evitiamo commenti dei passanti, evitiamo interminabili discussioni che in questi giorni si aprono in ogni circostanza.
In fila al supermercato, dal medico, in farmacia, tutti stanno animatamente a discutere di politica.
Tutti dicono male di uno degli schieramenti a seconda del punto di vista.
Si dice e si sparla male. Una cosa che fa fortemente riflettere. C’è un nemico da combattere, da una parte o dall’altra? Si deve votare perché altrimenti vince il “nemico”?
Nemico di chi? Nemico perché? Domande alle quali noi italiani ci stiamo disabituando a rispondere.
Per tutti è così e basta. Perché hanno rubato, perché sono comunisti oppure fascisti, perché sono xenofobi, perché ce l’hanno col Papa o perché amano il Papa. Nemici tutti, italiani gli uni contro gli altri.
Non votare, tanto sono tutti uguali, ti dice qualcuno, perché dovremmo andare a perdere tempo?
Devi votare per forza, non devi far passare quegli altri. Turati naso, bocca, orecchie, sorvola su quello che non ti piace ma vota: Tizio! Non vorrai mica far vincere Caio! Quello ci manda in rovina.
Poi arriva il sostenitore di Caio e fa lo stesso identico discorso ma al contrario.
Una babele di vedute. Un caos infinito di parole, slogan, minacce e chiacchiere e tante promesse.
Nella mente dell’ipotetico regista che è in me, si ripresenta la scena. Io avanzo lentamente, nella fila. Mi viene in mente che forse, stavolta, la fila me la scordo, dovrò andare già pronta e non avere l’ultimo momento di riflessione finale.
La tessera elettorale nella destra o meglio nella sinistra? Ora,  a forza di star a sentire tutti, m’è anche venuto il dubbio con quale mano porgerò la tessera elettorale.
Arrivo lentamente, come in quei film in cui la camminata dell’Eroe, viene sottolineata dalla ripresa al rallentatore. Sono l’eroina d’Italia, quella che andando a votare, si presuma sappia il fatto suo dovere, eroica per aver comunque fatto una scelta.
Entro in cabina, con l’arma in mano:  la matita che non si cancella. La scheda davanti, osservo i simboli. Li percorro tutti, ad uno ad uno, come fa l’insegnante prima d’interrogare.
Oggi interrogo… Chissà se quello che sto per votare, sarà preparato. Rifletto che ormai, in quest’Italia fortemente lacerata, di ciuchi alla Collodi, ce ne sono tanti. Sarà un ciuco anche quello! Sono sicurissima. La matita esita. La guardo nella vana speranza sia spuntata. Sarebbe una scusa puerile ma la prenderei come il segno del destino. Non è spuntata. Le matite sono sempre tutte rigorosamente controllate prima.
Chiudo la scheda, seguendo scrupolosamente le piegature originali. Esco dalla cabina e riconsegno la matita. Sono davanti all’urna, la famigerata urna, imbuco e scappo.
Poi penso, parafrasando il Foscolo: “dentro l’urne… E’ forse il sonno della morte men duro?”
Povera Italia nostra!

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