L’indomani mattina, molto presto, Loretta venne svegliata dal suono del telefono nella sua stanza d’albergo. Mezza addormentata, rispose con la voce impastata. Era sua sorella Lojza.
- Dormivi? Svegliati, pigrona!
- Lojza, ma sono appena le sei e trenta! – Esclamò Loretta sbadigliando.
- Dai alzati, che abbiamo un appuntamento alle otto e trenta con lo studio notarile. Ti vengo a prendere alle otto. Ci andremo in metropolitana, da noi i mezzi di trasporto funzionano bene. Sarà che abbiamo ereditato l’efficienza austriaca.
- Fammi prendere un caffè. Mi rimetto in sesto. Va bene, alle otto sarò pronta
Arrivarono con un po’ d’anticipo. Nell’uscire dal tunnell della metropolitana Lojza disse:
- Attenta Loretta. Devi imparare che a Praga, le fermate della metropolitana, hanno uscite poste molto lontano le une dalle altre. Se sbagli, cammini tanto per tornare sui tuoi passi.
- A Roma, se sbagli, al massimo fai pochi metri e torni indietro.
- Dovrò venire a visitare Roma, e sarai tu allora, a spiegarmi la tua città.
Uscite dalla stazione della metropolitana, Loretta restò interdetta ad osservare l’architettura dello strano edificio che s’innalzava imponente, davanti ai suoi occhi, poco lontano dalla Moldava, che scorreva impetuoso tra rapide e mulinelli.
Una torre dalla struttura sinuosa, si poggiava all’edificio, come facendosi sorreggere in un volteggio.
Il monumento, costruito negli anni novanta, è intitolato “Giger e Fred”. Si tratta di due figure metaforiche riunite in un abbraccio intenso, un movimento fermato nell’architettura, un omaggio ed una citazione cinematografica ai grandi Ginger Rogers e Fred Astaire. Ha anche una valenza storica e politica è la favola di Ginger e Fred, della liberazione del paese e dell’ “invasione americana”, che ha segnato una svolta nella storia cecoslovacca.
Lojza e Loretta, aspettarono l’ascensore, attorno a loro, numerose persone erano in attesa. Impiegati nelle varie società che risiedevano nello stabile.
Lo studio notarile era situato al quarto piano. L’ascensore si fermò, scesero assieme a due uomini, vestiti di scuro, in giacca e cravatta, con l’espressione indefinita dipinta nel volto, quasi due statue di cera.
Le sorelle Bottieri, suonarono allo studio notarile. Venne ad aprire una ragazza, bionda, leggermente truccata, vestita in uno stile decisamente poco elegante, secondo i canoni di Loretta. Le fece accomodare, parlando in ceco, rispose Lojza che poi tradusse a Loretta. C’era da aspettare qualche minuto.
Lo trascorsero nervosamente, l’una sfogliando distrattamente una rivista, l’altra rosicchiandosi le unghie come al solito, quando era troppo nervosa per stare ferma.
Dall’ufficio del notaio, uscì un giovane, il suo segretario, che s’avvicinò sorridendo alle due ragazze.
- Buon giorno, disse in italiano, potete accomodarvi. Ciao Loretta.
La ragazza, non poteva credere ai suoi occhi. Davanti a lei c’era l’affascinante Roberto, conosciuto in aereo.
- Roberto? Tu lavori qui?
- Sì, Loretta, faccio da interprete ma svolgo anche altre mansioni, questo studio lavora con l’Italia.
Dietro un’enorme scrivania, era seduto un omino, che quasi scompariva nella catasta di carte e libri che aveva davanti. Inforcava gli occhiali, calati sul naso, tipico di chi è affetto da presbiopia. Si rivolse alle ragazze nella sua lingua. Lojza annuì, Roberto aspettò che avesse finito di parlare e tradusse a Loretta.
- Benvenute, nel mio studio. Adesso procederemo all’apertura del testamento di Renato Bottieri, morto il 22 marzo di quest’anno. Davanti a me, qui presenti le due figlie, Lojza, nata a Praga e Loretta, nata a Roma.
Roberto, attese che il notaio iniziasse a leggere, mentre Loretta lo fissava ansiosa di sentire quello che suo padre avesse predisposto per loro.
I beni appartenenti al defunto, furono divisi tra le due figlie, così come la fabbrica di cristalli. La casa andò alla compagna, la madre di Lojza.
Prima di concludere con la lettura del testamento, il notaio, lesse un’ultima clausola, che riguardava in modo particolare Loretta.
- Lei, signorina Loretta Bottieri, per volontà di suo padre, dovrà indagare sul caso della morte di Bianca Zambon, scoprire chi fu il vero colpevole e rivalutare la memoria di suo nonno. In cambio, suo padre le lascia questo anello di smeraldi e diamanti che apparteneva a sua nonna, Loretta.
- Strana conclusione perfettamente in linea col carattere di papà – Osservò Lojza.
Si accomiatarono dal notaio e Roberto le accompagnò all’ascensore. Nel breve tragitto, Loretta, alquanto frastornata da tutte le notizie apprese nelle ultime quarantotto ore, si rivolse a Roberto, con un tono rotto dall’emozione del momento.
- Ho sempre avuto la sensazione di averti già visto. Ora, mentre il notaio leggeva l’ultima clausola, mi sono ricordata. Eri tu, l’uomo che mi consegnò il rullino fotografico alla mostra d’arte, fingendo di averlo raccolto per terra. Eri molto diverso, avevi la barba lunga, ma eri decisamente tu. Perché, non mi ha detto chiaramente chi si celava dietro alle foto?
- Non potevo. Ho eseguito il mio lavoro, è stato tuo padre a disporre così. Riconosco, è un modo stravagante di comportarsi.
- Tipico di papà! - Esclamò ridendo Lojza.
- Quindi, Roberto, tu mi conoscevi già, sapevi chi ero anche quando ci siamo visti sull’aereo?
- Sì, lo ammetto, però è stata una coincidenza, dovevo rientrare a Praga dopo aver sbrigato alcune pratiche in Italia. Non potevo svelarti nulla, ho dovuto reggere il gioco. Però sono stato sincero sul fatto che avrei voluto rivederti. Non ti ho chiamata ancora, perché dovevo aspettare l’apertura del testamento.
Loretta, lo guardò perplessa, più ci pensava e più questa storia sembrava assurda. Tutti quei misteri, suo padre doveva essere stato una persona molto eccentrica.
- Ci rivedremo? – Le chiese Roberto.
- Ci penserò – Rispose Loretta con tono misterioso.
La ragazza, rimase poi in silenzio per tutto il tragitto di ritorno. Nella testa una grande confusione. Gli ultimi avvenimenti, i segreti, la sorella appena conosciuta e quel giovane, Roberto, che se da una parte l’attirava, dall’altra la lasciava sconcertata. Erano troppe le domande ancora senza una risposta.
Che persona era suo padre? La domanda, quella più importante, le si era conficcata, come un cuneo nella mente. La storia dell’indagine da eseguire aveva solleticato la sua curiosità ma nello stesso tempo non capiva il perché di quello strano comportamento del padre.-
- Loretta a cosa stai pensando? – Chiese alla fine Lojza, che la stava osservando da un po’.
- Molte cose, tra le quali mi domando che tipo fosse papà.
- Loretta, papà era un uomo meraviglioso. Leggi le lettere che ti ha scritto in tutti questi anni, i suoi diari.
- Non capisco perché non mi ha chiesto di persona di svolgere l’indagine. Non capisco perché, tutti questi misteri, perché l’anello come ricompensa? A me non importa nulla, se andrò avanti in questa storia, lo farò soltanto perché è il mio mestiere e qualcosa di molto forte, mi spinge ad andare avanti.
- Loretta, io so come ragionava papà. Sapeva del tuo forte rancore verso di lui. Se ti avesse chiesto direttamente di svolgere l’indagine, tu, in tutta sincerità, lo avresti accontentato?
Loretta ci pensò su qualche istante, poi le rispose:
- Probabilmente l’avrei trattato male. Hai ragione, non aveva altro modo che solleticare la mia curiosità giornalistica.
- Io ti aiuterò in questa indagine, era anche mio nonno, Francesco.
- E’ vero, nonno Cecco, come lo chiamavo io da piccola.
Le due sorelle, ridendo, si incamminarono verso il Ponte Carlo.
Capitolo 12
“Cara Loretta, sei ancora troppo piccola per poter leggere questa lettera. Spero che un giorno tu possa capire il mio gesto…”
Iniziava così, la prima lettera che suo padre le aveva scritto, poco dopo la sua definitiva partenza per Praga.
Loretta la lesse, avidamente, invasa dalla sete inestinguibile di conoscere questa figura, così importante per lei.
Renato, le spiegava che sua madre, era sempre stata, una persona immatura, che non pensava ad altro che a sé stessa. Lui, aveva capito che non poteva continuare a far parte della vita di lei. Era stato un vigliacco? Questa era la cosa che lo tormentava, il fatto che non aveva avuto il coraggio di affrontare sua moglie. Silenziosamente se n’era andato, pensando che lei, l’avrebbe notato appena.
“Tu, mia cara figlia, sei e resterai sempre, la cosa più bella che ho fatto nella mia vita, io ti voglio e ti vorrò sempre bene. Tuo padre”
Finiva così la prima lettera.
Le altre erano tutte impilate, una sull’altra, chiuse nelle buste, tornate indietro al mittente, intatte.
Sua madre, le rispediva a lui, senza aprirle e senza farle leggere a lei. Voleva che Loretta, odiasse quell’uomo, così come l’odiava lei. Aveva voluto punirlo, nel modo più crudele, privandolo dell’affetto della figlia.
Leggendole una dopo l’altra, Loretta scopriva un uomo pieno d’affetto e di rimorsi nel suoi confronti.
“Cara Loretta, so che non leggerai mai questa mia lettera, io però, sento il bisogno di parlare con te, di chiederti perdono, un perdono che anelo da una vita. Ti amo profondamente ma so che tu non contraccambi questo mio sentimento paterno. Non te ne faccio una colpa, anche questo rientra tra gli innumerevoli rimorsi che mi porto dentro. Sappi che io ti sarò sempre vicino, col pensiero, ti seguo da lontano ma so tutto di te. Spero vivamente che tu possa un giorno, coronare il tuo sogno più recondito. Negli ultimi tempi, non sono stato bene. Potremmo mai ritrovarci? E’ un mio grande desiderio ma forse, resterà soltanto un sogno. Ti voglio bene, non dimenticarlo mai. Con immenso affetto, tuo padre.”
Queste le ultime parole scritte da Renato. Sentiva di non aver più tempo, era un testamento spirituale con il quale chiedeva perdono a sua figlia.
Loretta la rilesse più volte, con gli occhi pieni di lacrime. Un profondo affetto riaffiorò in lei. Un affetto che aveva rinchiuso e tenuto stretto, un affetto volutamente ignorato per tutti quegli anni, che ora dirompeva fuori di lei. La figlia aveva ritrovato il padre, ma non poteva più abbracciarlo e questo la faceva stare male. Ora, era lei che sentiva il peso dei rimorsi. Avrebbe portato a termine l’indagine, impegnandosi come non aveva mai fatto, lo doveva a suo padre. Una figlia e un padre, che avevano profondamente sofferto per anni soltanto adesso erano vicini.
- Lojza, ho letto le lettere di papà. Ho deciso che impegnerò tutte le mie forze e la mia competenza per risolvere questo caso. Ho bisogno di alcune carte di papà, possiamo vederci stasera?
Loretta, aveva chiamato immediatamente sua sorella.
- Ma certo, cara, cosa ti serve?
- In primo luogo, i diari di papà, poi qualsiasi suo scritto o documento, possa servirci per il caso.
- Alle otto va bene?
- Benissimo sorella.
Le due s’incontrarono nel vecchio quartiere di Mala Strana e andarono in un famosa birreria, situata proprio a fianco del Mulino, che dice la leggenda sia del diavolo in persona.
- Questi sono i diari, io li ho letti, c’è scritta tutta la storia di nonno Francesco – Lojza li consegnò a Loretta, non senza una serie di raccomandazioni sul tenerle bene, sul fatto che per loro erano il più importante ricordo del padre.
- Sarà mia estrema premura custodirli in questo momento. Devo studiarli bene, analizzare le sue parole, ci possono essere indizi importanti.
- Questi, Loretta, sono invece i ritagli dei vecchi articoli di giornale relativi al caso di Bianca Zambon. Papà li ha conservati tutti, credo che abbia tentato anche lui di venire a capo di questa brutta storia.
- Un’ultima cosa, Lojza. Conosci un buon fotografo? Ci servirà per documentare eventuali prove. Vorrei scriverci un articolo e mi serviranno delle foto professionali.
- Cosa ci sto a fare qui io? – Rispose ridendo Lojza – Sono una dilettante ma me la cavo bene.
Loretta annuì e accettò l’offerta. Le venne di fare il paragone tra lo sfigato Gregorio e sua sorella.
Nella redazione di S. Lorenzo intanto, il lavoro continuava come al solito. Livia momentaneamente aveva preso anche la rubrica di Loretta, che ignara, non pensava a quello che avrebbe ritrovato al suo ritorno. Livia la stava subdolamente silurando alle spalle, cercando di apparire talmente indispensabile agli occhi di Lucio, da poter fare a meno di Loretta. Almeno questo era quello che sperava. Non nominava mai la rivale davanti al capo, però faceva in modo di fargli continuamente notare le sue ultime assenze, la sciatteria che secondo lei, Loretta aveva nel redigere gli articoli, specialmente gli ultimi, come quello sulla famosa mostra al Vittoriano.
Lucio, per il momento non le badava, la considerava un fastidio da dover sopportare, Livia, in fondo era brava nel suo lavoro. Loretta però, aveva quel qualcosa in più, che ancora ignara non aveva tirato fuori.
Lucio si chiedeva cosa le fosse successo ultimamente, cos’era che l’aveva così turbata. Nonostante misteri e i silenzi di lei, lui aveva capito che sotto a quel comportamento, più strambo del solito, doveva esserci qualcosa di veramente importante. Aspettava il suo ritorno e sperava che nel frattempo, la ragazza non facesse uno dei suoi soliti colpi di testa.
Capitolo 13
Loretta, sfogliava i diari di suo padre, cercando qualcosa che potesse aiutarla. Erano scritti in una grafia minuta e quasi incomprensibile, la stessa delle lettere, segno di un carattere introverso.
Alcune pagine erano riempite da ritagli di giornale incollati. Articoli del vecchio caso di suo nonno, che Renato aveva scovato e conservati.
La notizia del ritrovamento del cadavere della Zambon, fece molto scalpore nella stampa del tempo. Uscirono decine e decine d’articoli. Loretta stava leggendo quello che riportava il Messaggero. Un ritaglio ingiallito, la stampa con caratteri antiquati. La foto sbiadita, nella quale appariva il cadavere di Bianca dalla posizione scomposta.
“Alle cinque di questa mattina, è stato ritrovato il corpo di Bianca Zambon, che presenta varie ferite di arma da taglio. Ad un primo esame ne risultano cinque, di cui una mortale al cuore. La vittima sembra si sia difesa, le mani risultano ferite. Il corpo è stato ritrovato dal portiere dell’albergo, che richiamato dai vicini di stanza della vittima, attirati dalle grida della donna, ha aperto la porta col passepartout. La Zambon era completamente immersa in un lago di sangue….”
Un omicidio cruento, un delitto passionale, come lo definirono i giornalisti. Loretta ne fu sconvolta. Facendo un passo indietro nel tempo, Loretta attraverso gli scritti di suo padre, apprese la storia della relazione tra Francesco e Bianca.
La fortuna della famiglia Bottieri, risaliva agli inizi del XIX secolo. Il secolo delle trasformazioni e della nascita delle industrie. Fu proprio un loro avo, Luigi Bottieri, che fondò la società a metà ottocento.
Francesco la ereditò agli inizi del nuovo secolo. Le industrie di cristalleria si moltiplicavano a Murano e in Europa, i Bottieri ne divennero gli importatori e esportatori più importanti di quel periodo.
Francesco, fu obbligato a sposare Loretta Schiavon, il cui padre possedeva un’importante fabbrica che produceva cristalli a Murano. L’unione dei due capitali e delle due società, aveva come fine il rafforzamento delle attività di entrambi.
Francesco e Loretta, non si erano mai amati, ma avevano accettato il patto per il bene delle due famiglie. Essi davano, a chi li guardava dall’esterno, la sensazione di una coppia felice. Col tempo il recitare questo ruolo, divenne sempre più pesante. Tra i due si era creato un muro solido e invalicabile. Dormivano in camere separate, ai lati opposti della casa, si scambiano soltanto parole di circostanza nei loro brevi incontri quotidiani, durante i pasti in comune.
Renato era il loro unico figlio, avuto in tarda età, in un momento di debolezza d’entrambi.
Francesco conobbe Bianca Zambon, durante uno dei suoi viaggi di lavoro a Venezia. Viaggi che dopo aver conosciuto Bianca, divennero sempre più numerosi con soggiorni lunghi. Era il suo modo di distaccarsi da quel matrimonio soffocante.
Bianca faceva parte della società benestante veneziana. La incontrò ad una cena di lavoro. Lei, bellissima, dai capelli biondo ramato, raccolti in un morbido chignon in cima alla nuca. Indossava un abito di seta verde, lungo, secondo la moda d’inizio secolo. Spuntavano degli stivaletti neri di capretto.
La risata argentina della ragazza, attirò subito l’attenzione di Francesco. Bianca era stata invitata da un conoscente del nonno di Loretta, al quale si diceva fosse fidanzata.
Si piacquero subito e lei, iniziò a incontrarlo clandestinamente, divenendo la sua amante.
La moglie Loretta, sospettava ma taceva, per non far scoppiare uno scandalo.
Se qualcuno accennava alle lunghe e prolungate assenze del marito, lei, stizzita li zittiva sottolineando che erano gli affari a portarlo lontano.
Passarono un paio d’anni. Francesco cominciò a sentire strane voci sulla reputazione di Bianca. Si diceva che fosse l’amante di numerosi politici e industriali dell’epoca, dai quali si faceva mantenere.
All’inizio, rifiutò soltanto il pensiero. Non voleva ascoltare le cattive lingue. Il tarlo della gelosia, però, s’insinuò in lui.
La fece pedinare e scoprì che le voci, purtroppo erano fondate. Lui, era soltanto uno dei suoi numerosi amanti.
Pazzo di gelosia, le faceva scenate tremende. Lei cercava di negare, lo circuiva col suo fascino e lui non riusciva a lasciarla.
Chiedeva il suo perdono, Francesco, le regalava ogni sorta di gioiello per farsi perdonare e lei, fingendo sdegno li accettava con cupidigia.
Andarono avanti così, fino alla notte del delitto.
Quella sera i due, si erano fatti portare la cena in camera, nell’albergo dove lui ormai, aveva un appartamento sempre a sua disposizione.
Non si seppe mai, quale fu la causa del litigio. Improvvisamente nelle stanze vicino, udirono le urla altissime di lui, suppellettili gettati a terra. Lei che gridava per difendersi, poi un silenzio irreale.
Chiamarono il portiere d’albergo e il resto fu su tutti i giornali.
Francesco, fu accusato e processato. Era stato l’unico ad essere visto assieme a lei, c’erano numerosi testimoni. Lui negò sempre, disse di essersene andato via, sbattendo la porta e lei era ancora viva. Non fu creduto, le prove e le testimonianze era tutte a suo sfavore.
Poco prima della sentenza, non si sa come fosse riuscito a procurarsi una pistola, si sparò un colpo alla tempia.
Per Renato furono anni difficilissimi, molto giovane, dovette prendere in mano l’azienda di famiglia e sentirsi per anni addosso, l’infamia di avere un padre omicida.
Per anni il solo suo cruccio, fu non riuscire a scoprire la verità, perché fermamente convinto dell’innocenza del padre.
Loretta se ne stava pensierosa, si domandava chi potesse essere entrato dopo suo nonno nell’appartamento di Bianca. Domanda che per ora non aveva risposta.
[Continua]
Prima parte
Seconda parte
Quarta parte
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