Botero - pic nic |
Questo scritto fu uno sfogo di anni fa, un'auto psicanalisi, poi ho scoperto la scrittura e il web che pur nei suoi grandi limiti, mi ha aperto orizzonti e punti di vista diversi. Un lungo percorso in cui ho tirato fuori molto di quello che avevo sommerso. Non mi sento più in quel modo orrendo, so quanto valgo e che soprattutto valgo, mi voglio bene e anche se qualche chilo di troppo è restato, il cibo non è più il mio mondo. Ho voluto pubblicare questo scritto per aiutare chi avesse problemi analoghi, io ho trovato da sola la mia strada ma a volte bisogna avere il coraggio di farsi aiutare.
Sono vicina con il pensiero a chi attraversa una strada di sofferenza, come è toccato a me, incompresa e derisa, considerata da tutti, medici compresi, una golosa senza controllo.
Botero |
L’odore del cioccolato mi arriva alle narici. Il mio olfatto non mi lascia tregua, devo seguire la scia odorosa. E’ lì, riposto in un contenitore della credenza, ce l’ho messo io, avrei voluto dimenticarlo, cancellare quel piccolo gesto dalla mia memoria, non è mai possibile farlo. I miei occhi hanno registrato, il mio cervello rimanda ad intermittenza l’immagine, devo andare a prenderne un pezzetto, devo metterlo in bocca, altrimenti non avrò tregua. Il cioccolato diventerà il mio pensiero principale, non riuscirò più a pensare a nulla, quel pezzo di cioccolato sarà sempre più grande davanti ai miei occhi.
Impongo alla mia mano di fermarsi, rimprovero mentalmente il mio autocontrollo effimero, non devo, non posso. Nulla, non c’è nulla che possa fermare la mano che è già partita. Stacco un piccolo pezzo, sperando di tacitare il mio senso di colpa, lo metto in bocca. Le sensazioni gustative, passano dallo sciogliersi del cioccolato, al dolce dello zucchero ed infine all’amaro del fondente che resta persistentemente in bocca. Una calma, una pace scende finalmente su di me, tutti i problemi, i disagi sono scomparsi, resta soltanto la gratificazione per quel gesto. La sensazione positiva, di contentezza, di gratificazione, purtroppo, comincia a sparire e rapidamente si trasforma in senso di colpa, sono già tanto grassa, valeva la pena per pochi istanti di felicità? No non valeva la pena, ma non posso farci nulla, è come il giocatore d’azzardo che cerca di rifarsi della perdita, sa che perderà di nuovo, ma non riesce a smettere di riprovare. E’ come il drogato che cerca la sua dose di paradiso artificiale, non riesce a smettere di farlo. Tra le tante dipendenze, almeno quella del cibo, ti uccide molto più lentamente.
Come sia cominciata per me non so, da piccola mi raccontano che avevo un pessimo rapporto con il cibo, non volevo mangiare e vomitavo subito dopo lunghe sedute, con cucchiai di minestrina davanti, che mi venivano porti con aria supplicante.
Ho sempre odiato il mio aspetto.
Un giorno, chissà quando, chissà perché, deve essere scattato qualcosa nel mio cervello, che ha associato i miei disagi, il mio sentirmi inadeguata, stupida e poco accettata dal prossimo, con il cibo.
Devo aver scoperto che quando mi sembrava di toccare il fondo, mettere qualcosa in bocca, specialmente se dolce, suscitava in me, sentimenti di coccole.
Ho cominciato a coccolarmi da sola. L’inappetenza dei miei primi anni d’infanzia, si è trasformata in appetito e poi in fame. Ho iniziato a prendere peso, nel periodo della pre adolescenza, sono cominciati i problemi con il cibo almeno in modo consapevole.
Sono una buongustaia, mi piace sentire le sfumature e le differenze di sapori, non amo i piatti banali e fatti di corsa. Anche la preparazione più semplice, deve avere un piccolo tocco curato, fosse una spezia o dell’olio aromatizzato. Probabilmente il mio amore per la cucina è concatenato a tutto questo. Mi piace mangiare e mi piace superare me stessa nelle preparazioni, non mi contento facilmente e sono molto esigente sul cibo, con gli altri ma soprattutto con me stessa.
Quando mi trovo davanti un dolce, nella mia mente scattano tanti pensieri, lotte interiori titaniche, lasciare o prendere, assaggiare, mangiare, assaggiare di nuovo, mettere in bocca, deglutire mandar giù, o lasciar perdere, ignorare, non guardare, non vedere, non dare importanza. Solitamente il gusto e la gratificazione prevalgono sempre molto più del pensare ad un mio eventuale dimagrimento.
Con il passare degli anni, sono iniziati i provvedimenti contro la ciccia. I miei primi beveroni sostitutivi del pasto, ho iniziato a prenderli molto presto, quando avevo circa 18 o 19 anni. Non sapevo allora che invece di far perdere peso a me, ingrassavano le tasche di chi li produceva. Perdevo faticosamente qualche etto, magari un chilo o due, ma in capo a breve tempo li riprendevo con gli interessi.
Si passò così al secondo rimedio: bagni con preparati alle alghe, che “sciolgono” i grassi, lungo tempo immersa nel caldo brodo, neanche fossi un pezzo di lesso. Si passava poi a creme anticellulite da spalmare sui punti “critici”, ma quali erano i più critici, quando il mio corpo invece di un punto, era tondo come una pallina da ping pong? Atto finale, avvolgermi in coperte di lana, perché il calore aumentava l’effetto delle alghe. Certo in pieno agosto, l’effetto avrebbe dovuto essere superbo, sudore a rivoli che colava, illudendomi che nelle gocce rotolanti, fosse sciolto anche del grasso superfluo.
La prova bilancia era ed è sempre stata la più critica. La guardo, ne osservo il quadrante numerato, quasi fosse una cosa viva ed ostile. Se la distraggo magari può essere più clemente con me. E’ ovvio naturalmente, che non è mai successo che l’ago o il display si impietosiscano per il mio sguardo supplichevole, dopo il primo tentennamento iniziale, in cui c’è una certa esitazione ed un oscillamento, sparano la loro sentenza, come palla di cannone contro di me.
In quei momenti, la prima reazione sarebbe scagliare “il mostro” il più lontano possibile. Penso, rifletto, faccio mille proponimenti, tutti buoni in teoria, tutti appuntati nel cervello.
Visto che poco ho ottenuto, è meglio che elimini….. Cosa devo eliminare? Teoricamente so benissimo cosa, in pratica è tutta un’altra musica.
Mi guardo allo specchio e mi faccio schifo, come al solito, da sempre. Penso che se mi incontrassi per strada, da persona estranea direi cose orrende sul mio aspetto, le stesse che immagino, pensino realmente tutti quelli che mi guardano.
No non posso, non ce la faccio a guardarmi, a che serve sacrificarsi così, sto troppo male, sono stupida… nessuno mi stima… nessuno mi cerca… tutti mi deridono… Voglio coccole, voglio qualcosa che mi consoli, che mi faccia sentire bene, qualcosa che mi faccia apparire il mondo meno orrendo, apro lo sportello e cerco…. Apro bocca e mangio… Ricomincio da capo, ora come farò? Perché non mi sono fermata, perché non continuo nella dieta?
Da sola non posso… Non ci riesco… Quando arrivo a farmi veramente schifo, i vestiti non mi entrano più come prima, allora è il momento di trovare la forza interiore. Se fossi un cavaliere jedi forse seguirei gli insegnamenti del mio maestro, “segui la forza…” ma io non lo sono. Così forse è meglio che segua qualche dietologo. Non sono mai riuscita a finire una dieta, fino al raggiungimento del così detto peso forma.
Dopo innumerevoli anni, ho imparato un po’ l’autocontrollo, ma odio le diete insipide. Così ho cercato di inventarmi ricette saporite, di applicare il mio amore per la cucina con la necessità della riduzione di calorie. Non mi dà molta soddisfazione però.
Il fare una dieta, contare tutte le calorie, controllare la bilancia, mi causa enorme ansia. Temo la prova bilancia, come se dovessi affrontare la prova più difficile della mia vita. Sono arrivata a bere tisane diuretiche, a mangiare poche foglie d’insalata, a pensare di non mettere troppa zavorra nel vestirmi, un paio di scarpe più leggere al posto di altre, tutto per vedere quel benedetto ago scendere di qualche segnetto, tutto per non sentirmi ancora più umiliata nei confronti di chi controlla, purtroppo però è l’atteggiamento più infantile che possa adottare, l’umiliazione la dovrei provare soltanto nei miei confronti.
Ho scelto non casualmente le immagini di opere di Botero, che per me, incarna perfettamente il problema corpo/cibo
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