A te navigante...

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venerdì 17 maggio 2013

Milord



Non è molto nelle mie corde scrivere fiabe. Ne ho scritte soltanto due. Questa, mi fu ispirata dalla vera storia del micio di Virginia, una mia amica, che si perse tra i binari del treno, tutto il resto è frutto della mia fantasia. La storia è stata scritta nel 2008.


Era un bel mattino d’agosto. Faceva tanto caldo e Milord proprio non ne voleva sapere di stare nel trasportino. 
Ogni tanto lanciava un’occhiata sconsolata alla sua padrona, tenendo basse le orecchie, miagolava debolmente, quel tanto che potesse farla commuovere.
Voleva uscire fuori, correre per i prati, acchiappare farfalle.
Lei però, non lo sentiva neanche, camminava verso l’ambulatorio veterinario. Milord aveva riconosciuto la strada e sempre più spaventato, si rifugiò in fondo al trasportino, continuando a miagolare. Quasi un pianto di bambino cocciuto. Il ricordo dell’ultima puntura era ancora troppo vivo nella sua memoria e poi non gli piaceva essere toccato e rivoltato da quell’essere umano in camice bianco.
Io me ne stavo ad osservare tutta la scena. 
Milord lo conosco da parecchi mesi. Il nostro, è stato un’incontro casuale ma l’inizio di una grande amicizia.
L’avevo conosciuto una mattina fredda di febbraio, quando mi ero fermato per un po’ sul davanzale di una finestra chiusa, in cerca di briciole di pane. Dietro,  il naso incollato al vetro, col fiato caldo che lo faceva appannare, c’era un grosso gatto bianco dal pelo lungo e lucido. Una macchia nera sotto al muso, sul collo. Sembrava un lord, in vestito di gala, con il papillon al collo.
Sarà stato per questo che la sua padrona l’aveva chiamato Milord.
M’ispirò subito fiducia.
Lui mi guardava con occhi verdi spalancati, una fessura scura dove c’era la pupilla. Io cinguettavo indifferente, continuando a saltellare sul davanzale.
Chi l’ha detto che avremmo dovuto essere nemici?
Tutte le mattine, io Billy, passerotto nato in città, in cima al Grande Platano, mi fermavo sul davanzale della finestra all’ottavo piano, dove trovavo Milord. Lui da dietro i vetri miagolava. Una volta, trovai la finestra socchiusa, mi avvicinai con un po’ di diffidenza, un saltello e mi fermai ad osservarlo, pronto a spiccare il volo. Era pur sempre un gatto!
Lui, posando le morbide zampe sul davanzale, allungò il muso verso di me, annusandomi. I suoi baffoni mi facevano il solletico. Poi mi diede una leccatina di benvenuto, io un beccatina sul muso. Le presentazioni erano fatte. 
Ogni mattina, all’alba, stiracchiandomi le ali, intorpidite dal sonno della notte, spiccavo il volo da un ramo del Grande Platano che era la casa dei passeri.
 Volavo al di là della ferrovia, finché non posavo le zampine sul davanzale di Milord.
Lui stava dietro i vetri, aspettandomi e dopo un sonoro sbadiglio, si stiracchiava ed emetteva un miagolio di buon giorno. 
Le nostre conversazioni, si protraevano fin quando, arrivava la padrona con la ciotola dei croccantini.


Una volta me ne offrì uno, provai ad assaggiarlo ma proprio non riuscivo a mandarlo giù. Povero Milord, deve esserci rimasto troppo male. Saltò giù dalla scrivania posta sotto la finestra, con eleganza, la coda ritta, il portamento fiero e sparì. 
All’alba di una tiepida mattina, posai un bel bruco cicciotto sul davanzale. Volevo festeggiare con lui, l’anniversario della prima volta che avevo spiccato il volo dal nido.
Con chi se non con il mio migliore amico? 
Milord s’avvicinò annusando il bruco, aveva, a dire il vero, un’aria più curiosa che affamata.
L’osservò con la coda ritta qualche secondo, alzò una zampina e lo fece saltare in aria, svelto con la rapidità del felino, ci giocò un poco, poi si stancò subito e lo spinse col muso verso di me. 
I nostri incontri durarono fino a quella rovente mattinata d’agosto.
Fu un preciso istante, quello che cambiò la vita di Milord.
Un grosso camion, sbucò all’improvviso dalla curva, la padrona fece un salto indietro e improvvisamente il trasportino s’aprì. 
Milord, senza pensarci due volte, annusando la libertà nell’aria, saltò giù e corse così tanto, da sparire.
Mi alzai in volo, cercando di raggiungerlo, ma lui era stato più veloce di tutti. 
Milord: gridava disperatamente la sua padrona. Per tanti giorni, di Milord non si seppe più nulla.
Ero tanto triste: avevo perso il mio migliore amico.I miei amici passerotti, a cui non era mai piaciuta l’amicizia tra un uccello e un gatto - s’era mai sentita una storia simile? - Mormoravano che fosse morto, schiacciato sotto una macchina o sbranato da un cagnaccio feroce. Lo dicevano con un certo compiacimento, per farmi soffrire, contenti di essersi sbarazzati di un loro odiato nemico.
Continuavo a posarmi sul suo davanzale. Spiavo l’interno di casa, carpendo ogni suono che usciva da quella finestra. 
Una mattina di fine agosto, erano passati ormai quasi venti giorni dalla sua scomparsa, udii un flebile miagolio. Proveniva della ferrovia che costeggiava il grande palazzo.
Sembrava proprio la sua voce. Volai laggiù, guardando dall’alto, lo stavo cercando disperatamente.
Lo chiamai, sperando che riconoscesse il mio cinguettio.
Una testolina grigia e sporca, col pelo tutto arruffato e appiccicoso, sbucò da sotto una traversina.
Stentai a riconoscere il mio amico Milord. Del lord non aveva più nulla, smunto, smagrito e terrorizzato.
I treni passavano numerosi. Per lui erano come animali predatori, nemici da cui fuggire, molto peggio del feroce mastino che abitava al piano di sotto e abbaiava così forte, tanto da spaventarlo, quando sentiva il campanello suonare. 
 Allora Milord, così mi aveva raccontato, correva sotto al letto e non voleva più uscire. Quel mostro d’acciaio, che faceva un rumore d’inferno, ritmando la sua venuta e fischiando così forte da farti diventare sordo, era molto peggio, sì!
Soltanto che adesso Milord, non era nella sua casa e il letto-rifugio non c’era.
Il mio amico, aveva trovato un buco, sotto una traversina un po’ spaccata. Era lì che correva quando sentiva vibrare il terreno e fischiare nell’aria.
Lui gatto di casa, coccolato e nutrito, non aveva mai cacciato e non sapeva neanche come procacciarsi il cibo e per il terrore, non riusciva ad uscire dal suo nascondiglio.
Così dopo avermi avvistato, allo sferragliare dell’ennesimo treno, sparì di nuovo.
Doveva aver passato dei giorni terribili. Dopo alcuni minuti di silenzio, lo riudii di nuovo. Risposi e lui mi riapparve qualche metro più in là, sbucando da sotto i binari.
Camminava spaventato, guardandosi attorno con aria circospetta, si fermava ogni pochi secondi ad annusare l’aria, a captare ogni più piccolo rumore. Sembrava un gatto randagio, affamato e diffidente. Fece un salto, quando udì di nuovo il treno sferragliare, nascondendosi ancora una volta, sotto le traversine, ed emise un lungo miagolio di disperazione.
Ero molto preoccupato per lui, non poteva a lungo continuare così. Come potevo aiutarlo? 
Provai  a portargli qualche briciola di pane, che avevo trovato sotto una panchina, rubandola a quegli stupidi dei piccioni. Ci cascano sempre!
Milord l’annusò e rassegnato tornò nel suo buco. Cosa mangia un gatto a parte i croccantini?
I passeri! Avrebbero risposto i miei simili. Non potevo certo offrirmi io per cena,  anche se era il mio migliore amico.
Volai sul Grande Platano. Volevo parlarne a Frullo e Briciola, forse, avrei potuto scoprire cosa mangiava un gatto. Loro stavano sempre lì a spettegolare e cip, cip, cip, sapevano tutto di tutti.
Frullo mi disse che i gatti, oltre a noi passeri, mangiavano anche i piccioni e quelli a volte erano tanto stupidi da farsi prendere. Impossibile portargli un piccione per cena! Scartata anche l’ipotesi dei topi. Ce n’erano così tanti lungo i binari! Se non li aveva catturati lui, che era un gatto, come potevo pensarci io, che ero un passero?
Briciola a questo punto ebbe l’idea geniale. Aveva sentito dire, da suo cugino Pettirosso, che abitava nell’olmo accanto al mercato, che i gatti mangiano il pesce. L’aveva scoperto osservandoli rovistare nei rifiuti.
Andai sull’Olmo. 
Di pescare nei rifiuti neanche a parlarne. Invece del pesce quei gattoni avrebbero pappato me. Milord è un gatto speciale, non sono mica tutti come lui!
Pensai che un passero non viene notato subito. Sono piccolo e veloce. Rapido, volai giù dall’Olmo e afferrai al volo un’acciuga, prima che il venditore se ne potesse accorgere. Era il solo pesce che potessi trasportare. Lo posai giù, vicino alla tana improvvisata di Milord. Ero stremato ma felice. Lui uscì svelto, si leccò i baffoni, fece un flebile miagolio di ringraziamento e sparì di nuovo.
L’acciuga non bastava. Milord era ormai denutrito. Dovevo fare in modo di avvertire la sua padrona.
L’idea era ottima, il problema era come realizzarla. Tornai sul Grande Platano.
Frullo e Briciola stavano spettegolando animatamente della compagna di un nostro amico, che aveva fatto un nido troppo piccolo, e ci aveva messo dentro troppi pochi stecchi.
Interruppi la loro animata conversazione. Chiesi aiuto e qualche idea illuminante. Mi mandarono a parlare con pinky il canarino fuggito dalla gabietta rimasta aperta per sbaglio. Pinky era stato accolto dalla comunità e viveva anche lui sul Grande Platano. Era il solo, che conoscesse bene gli umani.
Mi disse di trovare qualcosa che appartenesse a Milord e fare in modo, d’attirare l’attenzione della sua padrona.
Bella impresa! Pensai io. 
Tornai giù sui binari. Chiamai Milord e aspettai che si decidesse a mettere il muso fuori.
Dopo qualche minuto, accertatosi che non c’erano treni in transito, si fece vedere. 
Fu molto faticoso staccare il campanellino col suo nome sopra. Lavorai col becco e mi fece anche male. Milord stava lì passivo, non faceva nulla per aiutarmi. Troppo stremato dalla fame.
Dopo aver perso qualche piuma, finalmente riuscii a portare a termine l’impresa.
La finestra era aperta per il caldo. M’introdussi dentro la stanza, vincendo la paura ancestrale che abbiamo per gli umani.
Portavo nel becco il campanellino. Lei si spaventò un po’, vedendo un passero svolazzare nella stanza. Cercava di scacciarmi. 
Poi udì il suono. Io deposi il campanello sulla scrivania e mi misi ad aspettare sul davanzale.
Lei l’osservò e capì.
Mi fece entrare in una scatola. Mi portò giù e dopo averla aperta, mi seguì con lo sguardo volare verso le traversine.
Dovetti tornare indietro due volte, gli umani sono così lenti!
Lei corse giù, verso la scarpata, lo chiamò per nome. 
Lui rispose con un flebile miagolio da sotto i binari ma non uscì fuori.
Per altri tre giorni, lei cercò di farlo uscire, lui la chiamava disperato ma non osava mettere fuori il muso.
Alla fine, divenne una randagia anche lei.
Trascorreva tutto il giorno tra i binari, cercando disperatamente di salvare il suo Milord. 
Al termine della settimana, quando ormai Milord era giunto allo stremo delle sue forze, le venne l’idea di attirarlo col cibo. Stupida umana, avrebbe dovuto pensarci subito!
Prese un pollo arrostito, di cui lui era ghiotto e con tutto l’incarto, lo pose nel posto dove lui era nascosto.
Milord, che non mangiava ormai da quasi un mese, mise finalmente fuori il musetto sporco e smunto, dagli occhi un po’ spenti. Lei rapida, lo afferrò. Lui lottò per un breve periodo, poi s’abbandonò inerte, senza più forze, non aveva neanche riconosciuta la sua padrona.
Una volta a casa, fu ripulito, rifocillato e curato. Si era preso la polmonite e ci volle più di un mese per rimetterlo in sesto ma le cure, il cibo e tanto amore, fecero rifiorire il Milord che conoscevo io. 
Di quella brutta esperienza, gli resta una cicatrice sull’orecchio destro.
      

I nostri incontri mattinieri, sono ripresi e ora, alla combriccola, si sono aggiunti Briciola e Frullo. Prima mi prendevano per matto. Vedrai che prima o poi sarai un boccone per lui, continuavano a ripetermi.
Un mattino, ormai coinvolti dalla storia e curiosi della nostra amicizia, mi seguirono sul davanzale.
Il gattone, li ha accolti con coda ritta, in segno di rispetto. Ora, Briciola, Frullo e Milord sono amici. Lui, quando ci vede, fa le fusa tutto contento.



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