A te navigante...
A te navigante che hai deciso di fermarti in quest'isola, do il benvenuto.
Fermati un poco, sosta sulla risacca e fai tuoi, i colori delle parole.
Qui, dove la vita viene pennellata, puoi tornare quando vuoi e se ti va, lascia un commento.
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venerdì 19 luglio 2013
Il mistero delle ostie rubate
Questo racconto, fu il secondo in ordine cronologico, scritto sul tema dei Garbahorror e pubblicato su Splinder anni fa. Il primo, tagliato, riscritto in parte e in parte scartato, è stato incluso nei primi capolitoli del libro "Un Garbahorror".
Il mistero delle ostie rubate è ispirato ad un fatto realmente accaduto nel quartiere. Come racconta storie, ne ho imbastita una adatta con spiegazione e finale horror.
Era un’alba grigia e nebbiosa, sulla Garbatella il sole nascosto da una coltre ovattata, stava sorgendo. La saracinesca del bar di via Passino, era stata appena alzata e la macchina del caffè, messa a scaldare.
In un lotto, al quinto piano, una porta si era chiusa da poco. Il suo strano inquilino era appena rientrato, come faceva sempre a quell’ora.
Nell’appartamento di fronte, invece, la Sora Cecilia, si stava preparando il caffè dopo una notte passata insonne per via dell’età.
I suoi 80 anni le pesavano, però da un po’ di tempo, la sua vita era diventata più leggera e interessante, probabilmente per via del suo nuovo amico, di cui ella custodiva gelosamente il segreto inconfessabile che lo riguardava.
La giornata sarebbe stata lunga da riempire, nella sua solitudine, lei ormai aveva trovato le sue piccole attività che le riempivano la vita. La parte più importante sarebbe stata all’imbrunire, quando Mario, avrebbe suonato alla sua porta e come sempre, tra una chiacchiera e una partita a scacchi, avrebbero scambiato opinioni, pettegolezzi e tazze di tè. A dire il vero, il tè lo beveva soltanto Cecilia, lui aveva altri gusti, impossibili per lei da soddisfare.
La sera di un anno addietro, dopo che l’anziana signora s’era rintanata in casa terrorizzata da alcuni amici di lui, Mario, dopo tanto insistere era riuscito a parlarle e le aveva confessato il suo segreto.
Era un vampiro, da lungo tempo. Aveva perso del tutto la sua umanità, gli interessava soltanto nutrirsi. Quale fosse il suo nutrimento, è facile intuirlo: sangue umano. Questo gli comportava non pochi problemi e lui, era costretto a cambiare casa, quartiere e città periodicamente, affinché le strane morti per dissanguamento non finissero per portarlo allo scoperto.
Cacciava con due loschi figuri che non considerava affatto amici, piuttosto compari di “bevute”.
Erano stati loro due, a terrorizzare la povera Cecilia con la scusa del demonio e dell’inferno. Luogo che lei temeva più di tutto, data la sua profonda fede cristiana, la morte era naturale ma la morte eterna, no!
Per Cecilia, accettare lo stato di Mario, non era stato facile. Lei profondamente credente, non poteva sopportare chi toglieva la vita. Preferiva ignorare le uscite di Mario, sapeva però che per lui erano essenziali. Gli voleva bene come ad un nipote, per questo taceva, custodendo il suo segreto, ma la cosa le creava non pochi conflitti.
Quel mattino Cecilia, dopo aver rassettato un po’ la casa, si preparò ed uscì per ascoltare la messa del mattino. A volte ne ascoltava due al giorno, al mattino presto e quella vespertina. Ultimamente, per la presenza di Mario, quest’ultima era stata abbandonata con un po’ di sensi di colpa nei riguardi del Padreterno.
Entrò nella sua parrocchia, S. Francesco Saverio, camminando lentamente, appoggiata al bastone, dirigendosi verso i primi banchi, quelli più vicini all’altare.
Tutta immersa nei suoi pensieri, all’inizio non s’accorse che il parroco, Don Elio, non s’era ancora vestito per la messa e gesticolava parlando concitatamente con Lucia, una delle parrocchiane che a Cecilia andava poco a genio, la considerava una pettegola bigotta.
I due non s’erano accorti della sua presenza e sobbalzarono, quando lei chiese:
- Don Elio, ma stamattina la messa nun la dice? Ch’è successo?
- Una sciagura! – Esclamò il parroco mettendosi le mani nei capelli.
- Un sacrilegio! – aggiunge Lucia con le lacrime agli occhi.
- Sì, ma ch’è successo? – Richiese con apprensione la sora Cecilia.
- Sono sparire tre Ostie! – Gridò tra l’indignato e il preoccupato il parroco.
- So’ sparite l’Ostie? – Ripetè come se invece di gridare Don Elio, l’avesse sussurrato.
- Ma sei diventata sorda? – Le chiese allora Lucia, che non perdeva mai l’occasione per stuzzicarla.
- No, ce sento benissimo, è che me sembrava ‘na cosa così, impossibile… - Lasciò la frase in sospeso, non riuscì a finirla tant’era stata la sorpresa, seguita poi da un’indignazione profonda che si trasformò in rabbia e ancora in paura, tutto nel giro di due o tre secondi.
- La messa del mattino è sospesa oggi. Almeno finchè non capirò come possa essere successo – Disse alla fine Don Elio, precipitandosi in sacrestia come una furia e facendo svolazzare la lunga veste nera.
Cecilia, s’avvio verso l’affresco della Madonna, sul lato destro della chiesa. Il dipinto rappresenta Maria col manto nero, che dall’alto, sovrasta il bombardamento del 19 luglio 1943 a S. Lorenzo. Nell’immagine c’è anche papa Pacelli che l’invoca con le braccia alzate al cielo e prega per le vittime sepolte sotto le macerie.
Non potendo inginocchiarsi per via dell’artrosi, Cecilia restò a contemplare l’immagine, appoggiata al bastone mentre le rivolgeva una preghiera.
- Modaninna mia, fa’ che non succeda nulla, che er diavolo nun ce metta la coda. Perché qui, io ce sento puzza de’ demonio. Aiutece te, Madonnina bella, che stai vicino a Gesù. Amen. – Si fece rapidamente il segno della croce e si diresse in sacrestia per chiedere al Parroco cosa si doveva fare in quei casi.
- Per ora andate a casa, poi vi farò sapere io. – Disse in modo spiccio Don Elio liquidando le due vecchiette.
Cecilia, s’avvio verso la discesa di Via Passino, aveva deciso di fare un po’ di spesa, anche se il frigo era pieno di cibo e lei mangiava poco. Una scusa per fare due passi e passare un po’ di tempo tra gli scaffali del supermercato GS.
Lì incontrò Roberta, una che faceva parte del coro, più giovane di lei di vent’anni. Roberta, come tutte le attiviste della parrocchia, era sempre bene informata sui fatti, le persone e i pettegolezzi dell’ultima ora.
Sembra la speaker di un ipotetico tg parrocchiale e davanti alla platea, con professionalità degna di una vera giornalista, è solita snocciolare, le ultimissime notizie, con compiacimento per averle scovate per prima.
- Buon giorno Sora Cecilia, l’ha saputa la notizia? – Le chiese con un sorriso un po’ troppo allargato per essere spontaneo.
- Quale notizia? – Chiese Cecilia, facendo finta di non sapere nulla. In quell’ ambiente era sempre meglio cadere dalle nuvole che essere accusati di pettegolezzo e maldicenza.
- Ma come, non l’ha saputo? – Tergiversava Roberta, cercando di creare tensione, neanche dovesse davvero aumentare l’audience televisiva.
- Saputo cosa? – Continuava a far finta di nulla Cecilia.
- Una cosa terribile! – esclamò e poi tutto d’un fiato, per non rovinare l’effetto:
- Hanno rubato tre ostie! –
- Davero? Nun lo sapevo, nun me l’ha ancora detto nessuno – Cecilia continuava a fare l’ingenua.
- Don Elio, dice che ci sono di mezzo i satanisti! - Concluse trionfante Roberta.
- Oh, Dio ce ne scampi! – fini coll’esclamare Cecilia, mentre bruscamente salutava Roberta e chiudeva così la spiacevole conversazione.
Verso le otto di sera, dopo cena, Cecilia andò a suonare a casa di Mario. Aveva bisogno di raccontare tutto al suo amico. Sapeva che lui, per il suo essere vampiro, era più dalla parte del “nemico”, però era tanto un caro ragazzo e magari a parlargli le sarebbe venuta fuori qualche idea.
- Mariù te va de venì de là a fa’ du’ chiacchiere? – Gli chiese dopo che lui aveva socchiuso la porta per vedere chi fosse. Lui andò, lei raccontò l’accaduto e insieme fecero tante di quelle supposizioni che si fece mezzanotte. A quel punto, Mario, salutò e uscì per le sue scorribande notturne. Avevano deciso che lui, che girava molto di notte e frequentava certi ambienti, avrebbe indagato e fatto domande per saperne di più sull’accaduto.
Erano passate ormai un paio di settimane e per il quartiere cominciarono a vedersi sui muri dei palazzi, nei lotti e sulle vetrine dei negozi, appelli a chi avesse visto quel tale o tal altro gattino. Erano tutti neri come la pece, tutti scomparsi, forse smarriti. Seguivano le date, diverse e i numeri di telefono per rintracciare i proprietari.
La sora Cecilia, all’inizio non ci fece molto caso. Fu un bel mattino soleggiato, quando andando ad ascoltare la messa, trovò Lucia in lacrime, che stava raccontando a Don Elio la sparizione del suo amato gatto. Un persiano, dal folto pelo, lucido e nero e dai grandi occhi di giada.
Cecilia, rammentava di averlo visto una volta che era andata a trovare Lucia da parte del parroco. Le aveva dovuto portare la stola e le tovaglie dell’altare da lavare, incombenza a cui, Lucia, si dedicava volentieri. Quella volta era un po’ indisposta e toccò a Cecilia recapitargliele.
Il gattone alla vista di Cecilia le si era avvicinato e le si strusciava sulle gambe facendo le fusa. L’amica della sua padrona, gli era simpatica.
- Vedrai che tornerà – Le disse per consolarla Cecilia – Sarà innamorato – finì la frase per sdrammatizzare.
Lucia la fulminò con lo sguardo.
- Ma che fuga d’amore e fuga d’amore!
- Io credo che gli è successo qualcosa, magari è andato sotto una macchina o peggio –
Lucia ricominciò a singhiozzare e Don Elio impotente davanti a quelle lacrime di sincero dolore, non poté far altro che porgerle il fazzoletto.
Cecilia, uscita dalla chiesa, s’avviò verso i giardini pubblici di via Persico. Era una bella giornata e pensava di passare una mezz’ora seduta alla panchina a gustarsi i giochi dei bambini piccoli, non ancora in età da asilo, accompagnati dalle nonne o dalle tate.
Aveva appena varcato gli archi che da Piazza Sauli portano verso via Magnaghi, quando notò, attaccato alla vetrina della pasticceria che sta lì a fianco, un cartello che indicava lo smarrimento di un gatto nero. Nella sua mente i due gatti si sovrapposero, poi ricordò di aver visto altri appelli. Uno nella scala C del suo lotto, uno sul muro della Villetta e un altro al supermercato Todis, tutti di gatti neri.
Fu allora che le rivennero in mente le ostie rubate. Don Elio, da allora, portava il calice con le ostie consacrate in camera sua e le chiudeva a chiave. Dopo i primi concitati giorni di supposizioni, e indagini, ormai si erano rassegnati a non aver avuto notizie. Neanche Mario era riuscito a venirne a capo. La cosa era passata in secondo piano e come tutte le notizie non più fresche di giornata, ormai nessuno ne parlava più.
Le venne in mente un collegamento. Se le ostie le avevano rubate i satanisti, ipotesi più che probabile, magari anche i gatti li avevano rapiti loro. Per farci cosa?
A questo Cecilia non sapeva rispondere, nel candore della sua anima nulla sapeva di demoni e diavoli, se non le preghiere per tenerli lontani.
Decise di parlarne a Mario, non appena lui si fosse “svegliato” .
- Mariù, ma è proprio ‘na cosa strana! Ma che ce faranno co’ tutti ‘sti gatti? – Chiese Cecilia, dopo che ne avevano parlato un bel po’ insieme e lei gli aveva spiegato la sua intuizione.
- Il gatto è simbolo esoterico antico, rappresenta la forza del male. Nel passato li possedevano le streghe, e con esse venivano bruciati al rogo – Rispose Mario.
- Nun ciavevo mica pensato! E’ vero pure l’antichi eggizzi lo veneraveno – Aggiunse Cecilia, che in passato era stata maestra elementare e una certa cultura la possedeva. Aveva però il vezzo di parlare in dialetto, per “nun fa’ dimenticà ‘sto ber dialetto”, ripeteva sempre.
I due parlottarono per tutta la serata e si decise che la Sora Cecilia, avrebbe indagato sulla sparizione dei gatti di giorno e Mario, avrebbe fatto domande di notte, magari andando in qualche ambiente giusto, dove si parlava di satanismo. Tanto lui era un vampiro, quindi già morto, non rischiava mica la vita.
La mattina dopo, di buona lena, la Sora Cecilia s’era alzata e preparata. Felice di avere un incarico così importante che le avrebbe impegnato un bel po’ della mattinata. Per prima cosa decise di andare a cercare la “gattara” del quartiere. A Roma le “gattare” sono numerose, sono quelle che si occupano dei randagi, li rifocillano. La gattara ama travestirsi da gattara, anche quando la natura del suo rapporto con gli animali non richiederebbe troppa trascuratezza, anche quando le sue condizioni economiche sono più che ottime. Ha orari da ferroviere, altrimenti i gatti che l’aspettano morirebbero di fame. Sono considerate benevolmente dagli animalisti ma dal popolo, piuttosto matte.
La gattara della Garbatella non faceva eccezione.
Cecilia sapeva dove si radunavano i gatti e a che ora. La gattara, vestita con soprabito spiegazzato e stivaloni di gomma, s’avvicinava portando due borse piene di cibo per gatti. Al suo arrivo fu tutto un miagolìo multicolore. C’erano gatti bianchi, pezzati, tigrati e rossi, pochi i gatti neri.
Cecilia s’avvicinò e portando anche lei del cibo per i mici, per accattivarsi la gattara che era anche piuttosto scorbutica, le fece alcune domande.
- Buon giorno. Belle bestiole eh?
La gattara le lanciò uno sguardo di sbieco e continuò a mettere il cibo nei piattini di plastica.
- Ha sentito per caso della sparizione dei gatti neri?
La gattara a questo punto non si tenne. Cecilia aveva centrato l’argomento.
- Delinquenti, assassini! – Disse la gattara – Non hanno un briciolo d’umanità, povere bestiole. Ma che male fanno?
- Sa quanti ne sono spariti per caso? – le chiese la Sora Cecilia.
- Ce ne sono sette che non ho più visto. Ad uno ad uno spariscono. Ora ne sono rimasti questi tre. Stasera me li porto a casa altrimenti ammazzano anche loro – Rispose la gattara.
- Li ammazzano? E’ sicura? – chiese allora Cecilia.
- E che ci fanno allora? – Rispose scorbutica quella e poi non parlò più.
La Sora Cecilia s’allontanò camminando lentamente col suo bastone. Pian piano andò a contare tutti gli annunci di smarrimento per il quartiere. Al trentesimo dovette fermarsi e sedersi su una di quelle panchine messe recentemente agli enormi angoli dei marciapiedi. Una di quelle che si trovava di fronte alla farmacia di via Caffaro.
Era stremata, non aveva però nessuna voglia di tornarsene a casa ma voleva finire il suo lavoro.
Una questione di “tigna” come diceva lei.
Alla fine s’era fatta l’ora di pranzo e di gatti scomparsi ne aveva contati in tutto 66.
Alla fine della giornata, come di consueto Cecilia suonò a Mario.
Mario aprì. Si trovò davanti la Sora Cecilia talmente eccitata che neanche riusciva a finire le frasi.
- Andiamo da lei - suggerì Mario.
- Non è casa accogliente per una signora, questa – Aggiunse dopo essersi guardato intorno e aver notato la coltre di polvere che ricopriva i mobili antichi e la libreria piena dei suoi vetusti diari scritti nell’interminabile tempo della sua lunghissima non vita.
- 66! – Esclamò a voce alta Cecilia con un so che d’orgoglio nella voce.
- 66 cosa?– Chiese Mario guardandola perplesso.
- Er nummero de li gatti spariti da’ Garbatella.
Mario rimase in silenzio, con l’aria assente e concentrata.
- Mariù, ma m’hai sentita? Ho detto 66!
- Ho sentito, stavo pensando che non è cosa casuale. Che il 666 è un numero che si riferisce alla Bestia, Satana insomma.
- Ecco, ce lo sapevo io che c’entraveno i satanisti!
- Però perché 66 soltanto? – Domandò Cecilia
- Il numero 6 è messo in relazione con i nemici di Dio, ci sono poi infinite spiegazioni ma il tutto si riconduce all’Apocalisse di Giovanni. Non è proprio detto che si riferisca al demonio in senso stretto, può anche voler indicare un uomo malvagio che è vicino a Satana.
- Mariù, scuseme, ma te che sei vampiro, come fai a sapè tutte ‘ste cose?
Mario che non rideva mai, incapace ancora di provare emozioni di dolore o gioia o ilarità, accennò appena ad una smorfia della bocca che voleva somigliare ad un sorriso.
- Sora Cecilia, Sora Cecilia! Ma s’è dimenticata quanti anni ho sulle spalle? Ne ho viste e sentite di cose nei secoli che neanche lei può immaginare.
- E ciai raggione pure te! – Concluse lei facendosi una risata.
Parlarono ancora per un bel po’ di satanisti, messe nere, streghe, Apocalisse… Decisero alla fine che Mario, che conosceva un negozio d’esoterismo in un quartiere vicino, avrebbe provato a sondare il terreno in quell’ambiente.
Il negozio, si trovava in una viuzza stretta e quasi al buio. Durante il giorno vendeva amuleti, carte, filtri d’amore, pozioni haitiane, bagni schiuma per propiziarsi, amore, denaro o salute. Tutte cose che svuotavano le tasche degli allocchi che vi si recavano.
A serranda calata, verso mezzanotte però, cominciava uno strano andirivieni di loschi figuri.
Mario quella notte decise di andare lì anche lui. Il suo aspetto macilento e pallidissimo, ben si confaceva all’atmosfera di quel posto.
Stette nascosto nell’ombra, specialità dei vampiri quella di rendersi invisibili. Notò che ad orari diversi, alla spicciola o soli, al massimo in coppia, persone dal fare circospetto, bussavano alla serranda del negozio, non prima di essersi guardati intorno per accertarsi che nessuno li seguisse.
Dall’interno, prima di aprire, veniva fatta loro una domanda alla quale dovevano rispondere con una frase. Dopo, la serranda veniva aperta per metà e loro mostrare un anello particolare che indossavano all’anulare.
Con l’udito finissimo del vampiro, Mario, riuscì a capire bene la risposta da dare, gli mancava però l’anello che gli avrebbe permesso di entrare.
Appostato nell’ombra, vi restò fin circa le tre di notte. Alla spicciola, com’erano entrati, i loschi figuri uscivano ad uno ad uno, in tempi diversi.
Quando uscì l’ultimo, prima che il proprietario chiudesse la serranda e uscisse anche lui, Mario iniziò a seguirlo.
Questi, dirigendosi verso una macchina parcheggiata non molto lontano, s’accinse ad aprire la portiera.
Mario, gli fu alle spalle. Quella sera non aveva ancora provveduto alla sua alimentazione. Solitamente aspettava di non poterne fare proprio a meno, prima di cadere stremato e non potersi più rialzare. Odiava uccidere ma quella sera, non sentì proprio nessun rimorso nell’affondare i denti nel collo dell’individuo. Dopo, quando tutto fu finito, prima di sparire, Mario gli tolse l’anello dal mignolo.
Rientrò all’alba come al solito e Cecilia, rimasta sveglia per l’eccitazione dell’indagine segreta, lo sentì aprire la porta. Frenò l’impulso di andare subito a suonare. Sapeva che Mario, a quell’ora doveva per forza “dormire”. S’alzò anche lei, accese il televisore e su un canale locale, si mise a guardare una negromante che leggeva le carte su commissione e dopo un lauto compenso.
La notte dopo, Mario tornò al negozio esoterico. S’appostò per tempo nel suo angolo nascosto e attese. Alla solita ora arrivarono i loschi figuri.
Una delle caratteristiche dei vampiri è quella di suggestionare la mente altrui. Far vedere agli umani, quello che non esiste, una realtà alterata.
Mario, attinse a questa sua facoltà per poter entrare nel negozio, prendendo nella mente di tutti i presenti, l’aspetto dell’uomo di cui si era nutrito. In realtà il suo aspetto era sempre lo stesso ma gli altri lo percepirono come voleva apparire. Perciò la sua entrata e la sua presenza non destarono nessun sospetto.
La riunione iniziò dopo un’invocazione iniziale al principe degli Inferi.
Per varie notti, Mario partecipò agli incontri, dove si parlava di come accrescere la propria ricchezza e il proprio successo in un ambiente saturo di mefitiche esalazioni di candele scadenti. In tutti quegli incontri però, non venne fatta parola dei gatti, delle ostie o di eventuali messe nere.
Cecilia scalpitava e ogni sera andava da Mario a chiedere delucidazioni. Lui le riassumeva il succo di quegli incontri. Cecilia intanto continuava a chiedere dei gatti le cui sparizioni, erano cessate dopo la sessantaseiesima bestiola scomparsa.
Finalmente una notte, dopo più di due settimane d’incontri clandestini, Mario seppe dove venivano celebrate le messe nere.
L’appuntamento fu dato alle tre di notte a Via Giovannipoli davanti ad uno dei complessi che delimitano il giardino delle catacombe di Commodilla.
Sotto ad una cantina del palazzo, era stato scavato un tunnel che andava a collegarsi con un cunicolo della catacomba.
Il proprietario, era all’estero da anni e aveva dato l’incarico ad un cugino, che poi era uno degli adepti, di sorvegliargli la casa ed era del tutto ignaro delle attività segrete del congiunto. Questi aveva deciso di fare quell’entrata clandestina, non poteva certo chiedere i permessi a sovrintendenze e Vaticano per far aprire la catacomba ad uso di messe nere.
Lungo il tragitto erano state poste delle candele nere, all’entrata della catacomba, per terra, tracciati strani segni esoterici.
Camminavano in fila indiana, ognuno indossava un mantello nero con il cappuccio che copriva il volto. Ognuno aveva in mano una candela.
Giunti davanti all’affresco che raffigura la Madonna in trono col Bambino in braccio, ai cui lati si trovano S. Adautto, S. Felice e Commodilla, era stato allestito un altare per messa nera.
Attorno le pareti erano state oltraggiate da scritte fatte col sangue di qualche animale, che Mario sospettò essere di gatto e bruciature.
Un crocifisso era stato piantato in terra capovolto e un altare allestito con tovaglia nera.
Gli adepti si radunarono in cerchio, in mano una candela di cera d’api dipinta di nero, e attorno all’altare davanti uno specchio antico, lucidato ad argento, cominciarono a pronunciare preghiere al demonio in una strana lingua. La preghiera, scoprì Mario, non era altro che l’Ave Maria letta al contrario in latino.
Il testo venne letto da destra verso sinistra, che richiama l'aramaico, e dal basso verso l'alto, che richiama, secondo i canoni clericali, l'ascesa del maligno su Dio e venne recitata più e più volte, ogni volta alzando il tono della voce.
A Mario sembrava una rappresentazione teatrale ma resse bene la parte.
Quella sera però dei gatti e delle ostie non si seppe nulla.
Il rito prevedeva varie messe, la prima con l’invocazione al diavolo, poi il sacrificio di animale e alla fine atti orrendi a sfondo sessuale, compiuti sulle ostie consacrate.
Questo Mario l’aveva appreso durante tutte quelle riunioni ma nel riferirle a Cecilia aveva omesso le parti più cruente. Gli spiaceva che la vecchietta ne potesse essere fortemente turbata.
La seconda notte, fu portato uno dei gatti rapiti. I miagolii di disperazione erano amplificati dalle pareti strette della catacomba.
Quel miagolio disperato, provocò nella mente di Mario un balzo nel passato. Attualmente lui si nutriva anche di sangue animale, ma ora, una piccolissima parte d’umano riaffiorò in lui.
Si trovò di nuovo nella sua casa natale, seduto in poltrona davanti al caminetto con un libro in mano e Riffy, il gatto di famiglia, accoccolato sulle sue ginocchia. Lo carezzava distrattamente con una mano mentre con l’altra reggeva il libro, Riffy faceva le fusa.
Ricordò di quando entrando in casa, il gattone lo accoglieva miagolando con la coda ritta, di come gli si strusciava sulle gambe per la contentezza, di quando gli aveva fatto trovare sulla soglia di casa un passero ucciso da lui, come dono ma anche per istruirlo come un cucciolo sul modo di cacciare.
Erano più di duecento anni che il ricordo di quel gatto era rimasto sepolto nella sua mente. Vedere quel gatto disperato gliel’aveva fatto rammentare. Riffy era la bestiola che lui amava di più, in vita.
Mario avrebbe voluto intervenire per salvarlo ma dovette attendere.
Il gatto fu adagiato sull’altare. Il sacerdote satanista prese un coltello e tagliò la gola della povera bestiola. Poi la versò in un calice e al quale si abbeverarono tutti i presenti.
Mario avrebbe voluto rifiutare quel sangue. Gli veniva in mente Riffy e poi pensò a Cecilia e alla sua indagine, al fatto di come fosse addolorata per i gatti scomparsi e per le ostie sacre.
Allontanare quel calice, significava destare sospetti ma soprattutto lui, era un vampiro. L’odore del sangue lo trasformava e la sete di sangue diveniva sempre più forte. Accostò le labbra e i suoi occhi divennero tutti neri. Si stava trasformando. Dovette fare uno sforzo enorme per controllarsi e non farsi scoprire.
Tornò anche la sera dopo. Voleva salvare le ostie ma la scena che gli si parò davanti fu ben più orrenda del gatto sgozzato.
Una ragazza, una delle adepte, si era offerta per il sacrificio. Le era stato fatta bere una pozione d’erbe drogata, per tenerla comunque buona, nel caso ci ripensasse.
Le preghiere, cambiarono, sempre più incomprensibili. L’aria divenne irrespirabile tra il puzzo delle candele e quello di uno strano incensiere dove bruciava chissà che.
La ragazza fu fatta stendere sull’altare. Le furono legate mani e piedi ai quattro lati. Poi, un uomo, incappucciato di nero, altro quasi due metri, tutto muscoli, s’avvicino lentamente. Mario capì.
Dentro al vampiro scattò qualcosa, l’odio per quegli orrendi crimini, la rabbia per i gatti uccisi e soprattutto il dolore di Cecilia per tutto quello che per lei rappresentava l’opposto delle sue convinzioni.
Mario iniziò a sentire l’odore del sangue e il rumore che faceva scorrendo nelle vene. Vedeva le giugulari battere, sentiva che il suo istinto di predatore stava per scattare. Gli occhi divennero tutti neri, le pupille enormi. Lanciò quasi un ruggito e s’avventò così rapido su ognuno dei presenti.
Non ci volle molto perché la scena di mattanza finisse. Lasciò la ragazza viva. Forse in lui era restato un barlume di pietà, per quella che voleva immolarsi come vittima. Lei, stordita dalla droga, non capì molto di quello che vide. Lui la slegò mentre questa sveniva, poi rapidamente uscì lasciando lì i corpi dissanguati.
Il mattino dopo, la Sora Cecilia, che ancora non sapeva nulla, accese il notiziario alla radio, come faceva tutte le mattine mentre si gustava il caffè bollente.
Per poco non si strozzò quando lo speaker lesse la seguente notizia:
- Nel popolare quartiere della Garbatella, la notte scorsa c’è stata una strage. I cadaveri di circa una decina di persone, sono state rinvenute nelle Catacombe di Commodilla, dal custode. Probabilmente era in atto una messa nera e si ipotizza che la strage rientri nel rituale. La cosa strana è che i cadaveri erano completamente dissanguati e nessuna traccia di sangue è stata ritrovata intorno. La scientifica è al lavoro.
Sembra che una persona sia stata ritrovata ancora viva, una ragazza, in stato confusionale, ancora sotto gli effetti di una droga. Interrogata dagli inquirenti ha biascicato una sola parola: vampiri!
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