A te navigante...
A te navigante che hai deciso di fermarti in quest'isola, do il benvenuto.
Fermati un poco, sosta sulla risacca e fai tuoi, i colori delle parole.
Qui, dove la vita viene pennellata, puoi tornare quando vuoi e se ti va, lascia un commento.
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mercoledì 18 settembre 2013
La strix
Un giorno di giugno, la Sora Cecilia, seduta su una panchina di Piazza Damiano Sauli, di fronte alla sua cara parrocchia S. Francesco Saverio, stava riposando e prendendo un po’ di fresco dopo la messa vespertina.
Le si sedette accanto il Sor Guido, una persona della parrocchia, che aiutava Don Elio, il parroco, nei lavori pratici, pagava le bollette, portava i documenti al Vicariato e tante altre cose in cui il parroco non arrivava, per mancanza di tempo.
Aveva tra le mani il giornale della parrocchia e quello del quartiere.
- Buon giorno Sora Cecì, giornata calda oggi! – Iniziò lui per attaccare discorso.
- Già! Semo solo a giugno e fa più de trenta gradi – Gli rispose Cecilia, facendosi aria con un ventaglio, che aveva portato per ascoltare la messa nella chiesa arroventata, dove si boccheggiava.
Il Sor Guido, cominciò a sfogliare i giornali, quando la sua attenzione fu attirata da un trafiletto sul giornale di quartiere.
- Senta qua, Sora Cecì, questa sì che è bella! – E iniziò a leggere non prima di essersi fatto una sonora risata.
-“Durante gli scavi per la costruzione di un nuovo supermercato in Via Padre Semeria, è stata ritrovata un’antica necropoli romana risalente al I secolo a.C…”.
- E ‘ndo stà, ‘sta notizia sensazzionale? – Lo interruppe Cecilia – Roma è piena de cose antiche, mo’ ce l’avemo pure noi da’ Garbatella, insieme alle catacombe! – Esclamò con voce piena d’orgoglio Cecilia riferendosi alle catacombe di Commodilla.
- Sora Cecilia, ma ho appena iniziato a leggere stia a sentire:
“Vi sono state ritrovate numerose tombe a “cappuccina”, a “cassonetto” o a sarcofago di terracotta, come era uso a quei tempi…”
- E allora? Pure queste so’ cose scontate – Lo interruppe di nuovo Cecilia.
- Sora Cecì, me lo fa finire l’articolo prima di commentare? – La riprese lui un po’ scocciato.
- Va be’ sto zitta…
“Tra queste, una tomba, si presentava diversa dalle altre. Ad una profondità di tre metri e mezzo…”
- Certo è strano…- Interruppe di nuovo Cecilia.
Stavolta Guido la guardò in tralice, in modo molto eloquente e lei fece segno di tenere la bocca serrata.
-“Chiusa in un rivestimento in piombo che non lasciava passare nulla: un vero mistero archeologico, fu rinvenuta la più strana sepoltura mai trovata a Roma…” -
Cecilia fece per riaprire bocca ma Guido la fulminò di nuovo continuando a leggere:
- “Il tetto della tomba era costituito da tegole in terracotta per la copertura a “cappuccina” come quella che fu, la prima tomba di S. Pietro. Il fatto singolare però, era che la tomba, fosse sigillata con estrema cura da una lastra di piombo, talmente ben modellata da chiudere ermeticamente qualunque spazio. All’interno, lo scheletro di una donna di circa 30 o 40 anni, alta un metro e sessanta, vissuta nel secondo secolo d.C. Presso il suo corpo, nessun monile od oggetto personale è singolare il fatto, che non avesse neanche la moneta per pagare l’obolo a Caronte, che veniva messa sempre, in tutte le sepolture. Si è trovato invece un solo vaso, contenente le ceneri di varie sostanze bruciate, messo sotto le gambe della donna.”
- Posso? – Chiese Cecilia che non si teneva più.
- Ora può commentare, che ne pensa Sora Cecì?
- Che questa è una strana notizia, c’aveva raggione, Sor Guido! - Esclamò lei.
- Io penso che questa potrebbe essere stata una strega pre crestiana, insomma antica romana – Concluse lui, con una sonora risata.
- C’è poco da ride? Mo’ lei nun crede alle streghe?
- Tutte le donne sono un po’ streghe, sora Cecì! – Le rispose prendendola in giro.
- Dovrebbe avere la mente più aperta, sor Guido, la realtà a volte è molto diversa da quello che si crede – Finì in modo sibillino Cecilia, parlando in italiano, come faceva quando voleva sottolineare una cosa importante.
Guido non capì a cosa volesse alludere e la salutò, pensando tra sé e sé che Cecilia, a volte era una grande rompiscatole.
Lei s’avvio verso casa, ridacchiando mentre pensava al suo vicino Mario. Lui era un vampiro in carne ed ossa, se così si poteva dire. Se esistevano i vampiri e lei disgraziatamente ne aveva conosciuti altri due, che l’avevano terrorizzata non poco con la scusa di essere demoni, perché non potevano esistere le streghe?
In fondo le streghe erano esseri infernali, donne che si erano date al demonio per acquisire poteri nefasti. C’era persino stata una setta satanica tempo prima alla Garbatella. Uno strano caso ed erano state rubate delle ostie sacre a San Francesco Saverio e spariti numerosi gatti neri. Lei aveva indagato e Mario aveva risolto il caso a modo suo.
Essere amica di un vampiro comportava parecchi problemi. In primo luogo, non ne poteva parlare a nessuno. Poteva contattarlo solo dopo il tramonto. Custodire il suo segreto era molto pesante per lei e la faceva sentire continuamente in conflitto con sé stessa e la sua profonda fede.
Ormai però, si era affezionata al vampiro che a modo suo le voleva bene, per quel briciolo di sentimento che ancora riusciva a provare.
Lei, ormai ottantenne, lo considerava un suo ipotetico nipote, dato che non aveva avuto figli. Lui apparentemente dimostrava circa venticinque anni, in realtà aveva superato due secoli, vissuto durante la Repubblica Romana.
La vita di Cecilia continuò come al solito, messa mattutina, a volte messa vespertina. Quella serale, specialmente durante l’inverno la saltava, così poteva trascorrere qualche ora con Mario a giocare a carte e a parlare del più e del meno. Lo faceva partecipe della vita del lotto e del quartiere durante il giorno, tutto quello che Mario non avrebbe mai potuto apprendere.
Lui le raccontava episodi lontani della sua vita, che per lei, benché apparentemente più anziana, erano storie di un altro mondo, che non esisteva più.
Il ritrovamento del sarcofago fu completamente dimenticato da Cecilia.
Una sera, al tramonto del sole, affacciata al balcone della camera da letto, stava ammirando quei magnifici colori aranciati del sole che cala all’orizzonte, quando vide piombare sull’albero davanti, un uccello di una certa grandezza. All’inizio non comprese, capì quando quello emise il suo caratteristico verso. Era una civetta, una delle pochissime rimaste ancora in città.
L’episodio incuriosì molto Cecilia, perché era la prima volta che una civetta faceva visita al suo lotto da parecchi anni.
Poco dopo pensò che l’episodio fosse degno di essere raccontato a Mario.
- Mariù sei svejo? Chiamò Cecilia da fuori la porta di Mario, continuando a bussare.
Mario, appena uscito dal suo nascondiglio diurno, aprì la porta dopo qualche istante.
- Sora Cecilia, ma che è successo? Stasera la vedo un po’ agitata - Le chiese Mario passando a casa di Cecilia. Lei nell’appartamento di Mario, era entrata una sola volta. con un po’ d’invadenza, quando ancora non conosceva il suo segreto. Ora, visto che lui non l’invitava mai, pensava che ci fossero cose, di là, che era meglio che lei non vedesse. Così non approfondiva mai l’argomento.
- Nun so’ agitata, so’ eccitata. Lo sai che ho visto una civetta sull’albero di fronte? –
- Non mi sembra notizia da farla agitare così – Ribattè Mario.
- Aridaje, nun so’ agitata! Ma lo sai che le civette quasi nun se troveno più a Roma? –
- Sì, lo so, e so anche, che sono animali notturni come me – Rispose Mario, con la sua strana smorfia che voleva essere un sorriso.
- Qui nel lotto nun s’erano più viste da anni.
Mario le raccontò che la civetta aveva assunto nei secoli la simbologia della sapienza, non a caso era uno degli animali prediletti di Atena. Cecilia, lo sapeva già, era stata maestra elementare ma lo lasciò parlare, perché le piaceva quel suo modo antico di raccontare le storie.
Da quella sera, la civetta tutte le sere veniva a posarsi sull’albero di fronte al suo balcone. Emetteva per un po’ il suo verso, poi s’alzava in volo e spariva.
Una sera, Cecilia la vide posarsi sulla ringhiera del suo balcone. Era un bell’esemplare dagli occhi ipnotici, quasi quanto quelli di Mario. Girava la testa su sé stessa a 180 gradi, per guardarsi intorno, poi emetteva il verso e guardava la finestra di Cecilia.
Lei se n’accorse ed aprì i vetri. L’animale la guardava con sguardo fiero e continuava a “cantare”. Cecilia iniziò a parlarle.
- Che c’è? Hai fame? - Le classiche domande che si fanno agli animali randagi anche se si sa che parliamo solo a noi stessi.
Stranamente quella sembrava risponderle col verso. Cecilia si convinse che l’uccello voleva comunicarle qualcosa.
La osservava perplessa e quella spiccò il volo posandosi poco più in là, come volesse aspettarla e farsi seguire.
L’anziana signora, ormai incuriosita, prese il bastone e scese lentamente le scale uscendo in cortile.
La civetta si rialzò in volo e si posò su un alberello piantato sul marciapiede che aveva l’aspetto asfittico, troppo soffocato dalle macchine in sosta. Lì sopra l’uccello si notava, per la sua imponenza e regalità. Cecilia iniziò a seguirlo. Di alberello in alberello, finì per trovarsi davanti ai vecchi bagni pubblici, dove ora c’è il negozio di mobili. Dovette attraversare con non poca fatica, col braccio teso, per indicare ai guidatori di fermarsi, che lei non ce la faceva a correre.
La civetta volò dentro al lotto otto. Cecilia entrò un po’ affannosamente, reggendosi sul bastone. La civetta in un primo tempo, si posò sul cedro del Libano, che stava lì da innumerevoli anni, e sui cui rami, erano nidificate generazioni di civette e passeri.
Cecilia, pensò che forse stava diventando un po’ matta, pensò che l’età le giocava strani scherzi, se le aveva fatto credere che la civetta volesse comunicare con lei.
Mentre era assorta in questi pensieri, la civetta s’alzò di nuovo e andò a posarsi sul davanzale di una finestra al primo piano che s’aprì non appena l’uccello si fu posato.
Cecilia s’avvicinò ed andò sotto la finestra.
In quel momento, rientrava Antonietta, una parrocchiana di S. Francesco Saverio che Cecilia conosceva bene.
- Buona sera, Sora Cecilia, che fa qui? E’ venuta per me?
Cecilia imbarazzata, non sapeva che rispondere e tacque.
- Sora Cecì ma che fa sotto quella finestra? Non sa che lì ci abita una persona molto strana, noi qui del lotto la chiamiamo “la veggente” per prenderla in giro. Dice che vede cose che gli altri non riescono a vedere.
- Che cosa vede? – Chiese Cecilia molto interessata all’argomento.
- Entità, il futuro, ectoplasmi e… cataplasmi - Aggiunse a voce bassa Antonietta soffocando una risata, per non farsi sentire oltre la finestra aperta.
Cecilia era decisa a suonare a quella porta.
Le aprì una donna vestita in modo un po’ singolare. Portava ciabatte di due colori diversi, una bianca ed una nera, un’ampia vestaglia viola la copriva interamente come una palandrana, in testa uno zucchetto di lana bianca e nera da cui fuoriuscivano delle ciocche di capelli decolorati ed aridi.
Cecilia, benché ormai abituata a Mario, che tanto normale non era, restò un po’ interdetta sull’uscio, dopo l’invito che la donna le fece ad entrare.
Uno strano odore di erbe bruciate invadeva tutta la stanza. Cecilia iniziò a tossire, la gola irritata da quelle esalazioni.
- La stavo aspettando, Cecilia – aggiunse la donna.
- Mi conosce? E’ stata per caso Antonietta a parlare di me? – Chiese Cecilia non molto meravigliata di essere stata chiamata per nome.
- Io non parlo con nessuno, neanche con quella sua amica. Di solito non parlo e basta. Mi considerano pazza e svitata, mi chiamano “la Veggente”.
- Come si chiama invece? – Chiese la Sora Cecilia, cercando di rompere il ghiaccio con quella persona che era alquanto enigmatica nel parlare.
- Il mio nome non posso svelarle, Cecilia, perché il solo pronunciarlo, lo farà padroneggiare dai pensieri malvagi di esseri dai grandi poteri. Io per tutti sono e sarò sempre “la Veggente”.
- Scusi, sora Veggente, ma sur citofono e su ‘a porta de’ casa, ma che c’ha scritto? – Chiese Cecilia perplessa per la risposta.
- Nulla, chi mi conosce sa dove trovarmi.
- Sora veggè, fattelo dì, un po’ de raggione ce l’hanno quelli del lotto a consideratte strana! – Concluse Cecilia, che proprio non ce la faceva a stare zitta.
La Veggente, neanche si girò a risponderle, e continuò a mettere erbe secche nel braciare. Ogni pizzico di erbe, il fumo si intensificava.
- A sora Veggè, che d’è tutto sto’ fumo? Me sento mancà er respiro, ma che voi famme soffocà? Io c’ho na’ certa età! – Soggiunse Cecilia dopo l’ennesimo colpo di tosse.
- Bruciare queste erbe è necessario per tenere lontano da questa dimora, l’influsso della creatura malvagia.
- Qualche creatura Veggè? – Chiese Cecilia, che non aveva ancora capito niente.
- Signora Cecilia, è da qualche giorno che ho percepito una strana presenza maligna, ha un forte potere e l’unico modo per tenerla lontano è bruciare queste erbe.
- Sto’ fumo mefitico seconno te, Veggè, allontanerebbe cosa?
- La presenza di una strega!
- Mica starai a parlà per caso de quella notizia che è escita sur giornale? Ah, mo’ me ricordo dell’urna sotto i piedi dello scheletro, dentro c’ereno erbe bruciate! - Esclamò alla fine Cecilia.
- Sì Cecilia, e lei e il suo amico “particolare” mi dovrete aiutare, perché stanno per succedere cose molto brutte.
- A Veggè, mo’ conosci pure Mario? Ma io mica l’ho mai detto a nessuno che è vampiro!
- Cecilia, che Veggente sarei io, se non sapessi tutto quello che succede alla Garbatella? -
Cecilia, la guardò con una espressione di grande meraviglia e si grattò la testa per la confusione che regnava nei suoi pensieri.
- L’ho fatta chiamare dalla mia civetta, alla quale ho dato il nome “Messaggera”, perché mi servo di lei per contattare le persone quando ho bisogno di loro.
- La potevi chiamà sms, è più moderno, no?
- Signora Cecilia, non mi fa ridere.
- E’ che me sto a domanà, perché ‘na civetta, invece der telefono o der cellulare. Io c’ho pure quello. Potevi fa i segnali de fumo, tanto nun te manca, me pare.
La Veggente non fece caso all’ironia ma le spiegò il motivo di quello strano gesto, che nessuno avrebbe compreso nell’era della comunicazione tecnologica.
- Le forze occulte, si sono modernizzate, usano l’energia per rafforzare il loro potere. Non potevo rischiare che attraverso la corrente del telefono o delle onde elettromagnetiche del cellulare, s’insinuassero nella sua mente. Messaggera è protetta da un mio incantesimo, risulta invisibile, per ora, alla potente Strega.
- Perché, dici per ora?
- La Strega sta assorbendo energia dalla natura, se non la fermeremo in tempo, il suo potere sarà troppo anche per me.
- Io però, nun c’ho mica capito un granchè. Te l’hai percepita, hai fatto l’incantesimo, m’hai mannato Messaggera, ma io che devo da fa? Mai visto e conosciuto streghe in vita mia, levate quelle bigotte della parocchia, s’intende, ma quelle mica so’ streghe vere, so’ solo cattive.
- Cecilia, conosco il caso delle ostie scomparse e so delle indagini che hai svolto. Devi tenere aperti gli occhi e le orecchie, io non posso controllare tutto, fare incantesimi e bruciare erbe tutto da sola, ho bisogno del tuo aiuto, tu, hai la mente aperta per via del tuo amico, non mi prendi per pazza, ma vedo già che inizi a comprendere. In seguito ci servirà anche l’aiuto del vampiro –
Finalmente la Veggente le dava del tu, che per lei significava suggellare il patto.
Cecilia accettò, uscì e tornò a casa sua, molto confusa e un po’ preoccupata. La sera raccontò tutto a Mario e il vampiro restò in silenzio, senza mai interromperla, ascoltando attentamente tutta la storia.
- Mariù che ne pensi de’ tutta ‘sta storiaccia?
- E’ una cosa molto seria. Si tratta di una strega pre cristiana, una delle striges romane, non so se nella mia biblioteca ho qualche libro che ci possa aiutare ad approfondire l’argomento. So che quel tipo di streghe facevano sortilegi, si mutavano in corvi, distruggevano i raccolti e uccidevano i bambini per accrescere il loro potere malvagio.
- Ma noi come faremo a fermalla? – Gli chiese Cecilia molto preoccupata dopo le spiegazioni.
- Con il suo fiuto, la mia forza e i poteri della Veggente. Vedrà sora Cecilia che ci riusciremo. Non possiamo far distruggere dalle forze del male questo splendido quartiere.
Passarono i giorni senza che altri episodi degni di nota si verificassero. Cecilia continuava nella sua vita tra casa, parrocchia e Mario, quest’ultimo nelle sue scorribande notturne.
La Veggente non s’era più fatta sentire. Cecilia sperava che la storia della strega in fondo, fosse stata tutta una pazzia di quella donna.
La sora Cecilia, nel lotto era famosa per il pollice verde. Sul suo balcone c’erano tante piante. Pennellate di rosa, rosso e giallo, petali vellutati e delicati di gerani, dalie, tulipani e rose di tutti i tipi. Nel poco spazio che aveva, Cecilia aveva piantato un giardino in fiore. Alcune vicine erano anche invidiose di questa sua qualità, altri si complimentavano e chiedevano consigli e alcuni continuavano a regalarle piantine.
Una sera di domenica, dopo la messa, Cecilia era intenta ad innaffiare le sue piante, che per via del caldo, soffrivano un po’ troppo, c’erano parecchi fiori secchi e qualche foglia ormai da togliere. La sua attenzione fu attirata dal pino nel cortile.
Era un esemplare ormai di quasi un secolo, piantato lì dai primi abitanti del lotto, agli inizi degli anni venti. I suoi rami, ormai, arrivavano fino a toccare i tetti.
Un forte baccano proveniva da quei rami. Cecilia inforcò i suoi occhiali, non vedeva molto bene neanche in lontananza. Vide macchie nere agitarsi tra i rami ed emettere il caratteristico verso dei corvi.
Cecilia, trovò molto strana la presenza non solo di un singolo esemplare ma addirittura di uno stormo intero che improvvisamente al verso di quello che sembrava un leader, s’alzo in volo con un forte frullare d’ali, scendendo in picchiata verso un ragazzino che giocava a pallone con altri compagni.
I ragazzini urlarono spaventati e correndo con tutta l’agilità e la velocità che avevano, riuscirono a riparare in uno dei portoni.
Il leader dello stormo posatosi a terra assieme agli altri, li osservava dall’altra parte del vetro del portone chiuso, per nulla intimorito dal baccano che le persone attirate dalle grida, stavano facendo, per spaventare gli uccellacci.
A notte fonda, una strana coppia fu vista attraversare la strada verso il lotto otto. Cecilia che mai s’era avventurata ad uscire in ore così piccole e con Mario per giunta, aveva deciso che era giunto il momento di fare una riunione a tre.
Verso l’alba quando uscirono dalla Veggente, avevano stabilito la strategia da adottare, dopo un lungo parlare.
Mario le notti successive contattò numerosi vampiri, specialmente quelli che avevano parecchi secoli sulle spalle. Era alla ricerca di un qualche trattato di stregoneria e esorcismi per cercare di capire come fare a combattere la strix, perché a parte qualche piccola delucidazione, la Veggente non era stata in grado di dare dettagli più approfonditi.
Vennero alla fine contattati anche Lestat e Mastro Titta, i compari di Mario, vampiri come lui, quelli che Cecilia odiava e temeva, per scoprire dove la strega si fosse nascosta.
Un mattino dopo il sorgere del sole, la sora Cecilia aprì la finestra del balcone della sua camera da letto e, lanciò un urlo.
La udirono i vicini che a loro volta s’affacciarono per vedere cosa fosse successo.
- Sora Cecì, sta male? Che è successo? – Chiese Carmela, una delle vicine.
- Uno scempio! Una catastrofe! – Rispose lei senza riuscire a spiegarsi, troppo scioccata.
- Dove, cosa? – Le richiese Carmela, alla quale s’era aggiunto il sor Giuseppe, appena uscito dal portone che stava lì a naso in su a cercare di capire.
- Ma nun lo vedete? Guardate il mio povero balcone!
Carmela abbassò lo sguardo e s’accorse in quel momento, che tutte le bellissime piante di Cecilia erano state sradicate, i vasi rovesciati e terra, uno scempio ovunque.
Cecilia s’abbassò reggendosi sulla ringhiera a fatica e raccolse una piuma nera.
La sua espressione cambiò all’istante. Il suo volto divenne di una durezza che era difficile immaginare in una dolce vecchina come lei.
- Questa è guerra! – Esclamò
- A sora Cecì mo’ avete dichiarato guera pure alle cornacchie? – Le chiese ridendo Carmela.
- Nun so cornacchie, so’ corvi ma corvi speciali! – rispose in modo sibilino Cecilia prima di sparire e chiudere la finestra.
I giorni seguenti, tutte le piante dei balconi e del lotto furono distrutte, restò ancora verde soltanto il vecchio pino, usato come base d’attacco dai corvi.
Si fece allora una riunione di condominio, dove fu presa la decisione di chiamare qualche associazione animalista, il comune, la asl, affinché le bestiacce fossero catturate e mandate via.
Cecilia non partecipò, sapeva che ben altra era la guerra da combattere.
Una notte infuocata di metà luglio, a Mario fu consegnato un librone antico e polveroso. Per arrivare a lui era passato di mano in mano vampira.
Il mondo dei vampiri s’era messo in moto. Le striges erano loro antenate ma andavano combattute, ora, erano nemici. Non si poteva tollerare che queste vecchie forze occulte, invadessero di nuovo il mondo, erano troppo potenti e avrebbero annientati la stirpe dei vampiri.
Ci vollero parecchi giorni prima che il nostro amico, scoprisse qualcosa che lo potesse condurre a trovare e sconfiggere la strix.
-Mario, Mariù dai apri! – Chiamava concitata la sora Cecilia, continuando a bussare e suonare al campanello.
Mario aprì la porta e stranamente questa volta la fece entrare.
- Mariù ma quanta polvere c’hai qua dentro? – Chiese Cecilia soffocando un colpo di tosse.
- Sora Cecì, le pulizie non sono una mia priorità e poi mi sembra che abbiamo ben altri problemi.
- Scusame, c’hai raggione. Che hai scoperto su quel libro antico? Ma ce capisci quarcosa? Me pare così difficile da interpretà! – Esclamò Cecilia dopo averne sfogliato alcune pagine.
- Mi stanno aiutando i miei amici vampiri, quelli molto più antichi di me. Questa guerra riguarda anche tutti noi.
- Vabbè annamo ar sodo, che hai scoperto?
- Che le striges e le Lamie erano le streghe del mondo romano. Non morte, come noi vampiri, succhiavano il sangue dei bambini per mantenersi giovani. Seducevano con i loro poteri giovani uomini e ne succhiavano il sangue. Vivevano nei cimiteri.
Nella tradizione della Roma antica la strix è diretta antenata delle strie italiane e degli strigoi rumeni. Alcune delle Strix erano al servizio di Ecate, dea della notte e della magia, nonché protettrice delle streghe.
- Chissà perché me ricordano qualcuno - Scoppiò a ridere Cecilia
- Siamo discendenti dalle striges ma non abbiamo i loro poteri occulti. Si sono persi nei millenni, perché esse, esistevano anche prima dell’Antica Roma. –
- Insomma so’ vampiri antichi romani! Na’ specie de reperti archeologici.
- La cosa importante è scoprire dove si è nascosta la strix e come sconfiggerla. Questo ancora non l’ho capito.
- Studia Mariù, che de capitoli da legge te ne restano ancora parecchi.
- Penso che l’attacco che i corvi hanno fatto ai ragazzini era per catturarli e berne in seguito il sangue
- E le piante? Quelle povere piantine? Ancora me piagne er core a pensà ai vasetti del balcone mio.
- La distruzione un tempo dei raccolti e ora dei giardini, serve per assorbire energia dalla natura. La strix prima si rafforza, poi succhiando il sangue, passa alla trasformazione umana.
- E’ proprio ‘na brutta storia, concluse Cecilia prima di tornare nel suo appartamento.
Intanto il mondo vampiro s’era messo in moto e partirono le indagini notturne per scoprire dove si nascondesse la strega.
Il tempo passava, Mario usciva ormai solo per brevi periodi la notte, tutto intento a scovare un modo, per combattere la tremenda strega, prima che riuscisse ad incarnarsi.
Era ormai un lotta contro il tempo.
Una di quelle notti passate al lume di candela, perché Mario odiava la corrente elettrica, udì un lieve bussare alla sua porta. Era Mastro Titta che cercava di non attirare l’attenzione e con fare furtivo si introdusse nell’appartamento di Mario.
- Il Decano mi manda a dirti che abbiamo trovato il nascondiglio che cercavi, io e Lestat siamo stati incaricati di farti da spalla. L’ordine è che dovremo essere noi tre a sconfiggerla. E’ troppo pericoloso per tutti i vampiri entrare in azione in massa. Rischiamo di farci scoprire dagli umani.
- Dov’è che si nasconde lo spirito di questa strega?
- Nell’antico cimitero Ostiense. Si è trasferita lì dopo la distruzione e profanazione della sua sepoltura in via Padre Semeria.
- Dobbiamo preparare un piano, domani notte andremo lì.
Mario, Lestat e Mastro Titta passarono il resto della notte in confabuli e bisbigli per non farsi sentire dai vicini, cercando di tirare fuori una strategia da usare. Il Librone fu più volte sfogliato e consultato.
Il giorno seguente, la Sora Cecilia, che nulla sapeva del piano di Mario, uscì come tutte le mattine per recarsi alla messa. Era scoppiato un temporale, uno di quei violenti temporali estivi, pioveva a dirotto e lei s’inzuppò soltanto per fare pochi passi, non aveva voluto aspettare che smettesse.
Stava per uscire dalla Chiesa, quando il parroco, Don Elio, le si avvicinò mentre la salutava da lontano.
-Buon giorno sora Cecilia, la vedo molto turbata in questi ultimi giorni. Se ha bisogno io sono sempre qui. Se vuole confessarsi o soltanto parlare.
- La ringrazio Don Elio, ma per ora non ho nulla da dirle. Sono solo un po’ troppo stanca e dormo pochissimo. Sa l’età e gli acciacchi non m’aiutano.
- Ha provato con qualche erba calmante?
- Eh, Don Elio, le ho provate tutte!
- Provi dal medico, potrebbe aiutarla.
- Proverò, la ringrazio per la disponibilità – Tagliò corto Cecilia che non aveva voglia di conversare, era troppo preoccupata per la storia della strega e in ansia, perché non aveva avuto nessuna notizia da Mario.
Al tramonto l’aria, pulita dal temporale, odorava ancora d’ozono. Faceva molto caldo e l’acqua, evaporata aveva formato una sottile coltre d’afa irrespirabile.
Cecilia fu tentata di bussare a Mario, poi pensò di non distrarlo dai suoi studi e cominciò a fare avanti e indietro dal balcone alla cucina, mentre si preparava qualcosa per la cena.
A notte fonda, i tre vampiri, uscirono furtivamente dal portone, diretti in direzione della Basilica di S. Paolo, dove ancora restavano alcune vestigia dell’antica necropoli.
Il piano prevedeva che Mario si sarebbe fatto vedere, mentre Lestat e Mastro Titta sarebbero rimasti poco lontano e sarebbero intervenuti soltanto in caso di necessità.
Dopo circa mezz’ora che erano lì, in fondo agli scavi, protetti da una tettoia e da una grossa inferriata, cominciò ad apparire una luce tenue che in breve tempo si trasformò nella proiezione di una figura umana femminile. Era eterea, trasparente, sembrava uno spettro ma emanava una forza d’attrazione notevole.
Mario s’avvicinò.
Lei aveva l’aspetto di una giovane donna, più o meno sui trent’anni. Lunghi capelli corvini, inanellati le cadevano dalle spalle. Li teneva acconciati secondo la moda del suo tempo. Un lungo peplo, di una stoffa leggerissima, le copriva appena le forme. Una cintura legata sotto il seno lo metteva in risalto.
Quello che colpiva in tutta la figura era lo sguardo. Seducente e magnetico, che faceva brillare due occhi di un nero acceso.
La carnagione della creatura era pallida e diafana come quella di Mario.
Per qualche minuto i due restarono immobili ad osservarsi. Ognuno dei due studiava l’altro cercando di carpire qualche debolezza da sfruttare.
- Io ti conosco – Disse la strega rompendo il silenzio. - Tu appartiene all’antica stirpe dei succhia sangue. Sei come me.
- Ti sbagli malvagia creatura - Le rispose Mario - Io non uccido mai bambini e mi nutro soltanto quando non posso farne più a meno, non traggo piacere nell’uccidere.
- Sei uno strano vampiro, tu, amico di quella fragile vecchia, stai diventando troppo umano, questo ti distruggerà - Poi la strega rise, di una risata argentina, lieve, impalpabile.
Mario non rispose, le si avvicinò lentamente, guardandola fissa negli occhi. Usava tutta la sua arte di vampiro per assoggettarla.
Lei non staccando lo sguardo dagli occhi di lui, lo avvolse nell’abbraccio etereo di un corpo non incarnato. Magnifica scuoteva la testa, per liberare i riccioli che si erano aggrovigliati.
- Non resistermi, Mario. Io e te potremmo diventare i padroni del mondo – Gli sussurrò nell’orecchio soffiando un alito caldo.
Mario iniziò a vacillare sotto l’attacco della potente forza seduttiva della strega.
- Non combattermi, unisciti a me, amami come solo voi vampiri sapete fare. L’estasi dei nostri corpi in un solo corpo, diventeremo invincibili. Aiutami a tornare in carne ed ossa – Gli parlava sussurrando nell’orecchio.
Mario, stava combattendo una battaglia troppo grande per lui. Diviso tra il desiderio di possedere la creatura e quello d’annientarla.
Nel frattempo Lestat e Mastro Titta, osservavano tutta la scena da lontano, indecisi se intervenire o lasciare agire soltanto il loro compare.
Nel momento in cui Mario stava capitolando, nel tentativo di abbracciare il corpo inesistente della strega, lei guardando alle spalle di lui, vide i due avvicinarsi e malvagiamente sorrise, mentre li fissava intensamente negli occhi.
- Mario! - Chiamò imperiosamente Mastro Titta.
Mario non rispose, ormai completamente soggiogato dal potere della strega.
I due s’allontanarono, avevano capito che era troppo potente, tornarono dal Decano, in attesa di nuove istruzioni.
Mario la seguì, docile, senza più volontà, completamente schiavo del suo potere.
Lei lo condusse nei locali dei vecchi lavatoi del lotto di Cecilia, così avrebbe tenuto d’occhio anche lei. Locali ormai inutilizzati, dove non andava quasi mai nessuno. Vi erano accumulati vecchi mobili e cose ormai da buttare via che alcuni condomini avevano appoggiato lì e s’erano dimenticati di averlo fatto.
Il locale emanava un forte odore di muffa e polvere.
Sempre guardando Mario negli occhi e sussurrandogli parole negli orecchi con voce suadente, la creatura lo portò in un angolo nascosto. Iniziò a pronunciare una formula in lingua antichissima. Una coltre di fuoco verde s’alzo attorno a Mario. Un fuoco che non bruciava nulla ma inceneriva i vampiri in pochi istanti, come la luce del sole.
La strega non voleva ucciderlo, voleva solo tenerlo prigioniero, impedirgli di nutrirsi e assoggettarlo per sempre al suo potere. Gli serviva per catturare qualche neonato e berne il sangue, per potersi reincarnare.
La sera seguente, Cecilia decise di andare da Mario. Erano giorni che non aveva avuto più notizie.
Bussò e suonò invano alla porta dell’amico senza ottenere nessuna risposta.
Cecilia passò la notte in bianco, aveva la sensazione che Mario, non fosse uscito per nutrirsi ma fosse in grande pericolo.
Il segreto di Mario, lei lo aveva gelosamente custodito, spesso però le venivano dei grandi rimorsi verso il Padre Eterno. In fondo Mario, seppur per nutrirsi, uccideva esseri umani. Un peccato mortale. Lei tacendolo, ormai si sentiva colpevole quanto lui. Accostarsi ai sacramenti le era diventato impossibile. Confessare questo suo grande peccato a Don Elio, non era cosa fattibile, perchè era rompere il giuramento che aveva fatto a Mario.
La povera vecchia, non sapeva più cosa fare né dove cercarlo.
Pensò alla Veggente. Il mattino seguente, molto presto, si recò al lotto otto. La civetta era appollaiata sul grande cedro del Libano e sembrava dormire.
Cecilia suonò a quel campanello, dove non c’era nessun nome scritto.
- Cecilia, so cosa è successo! –
- Veggè, so’ disperata! Mariuccio mio non è tornato a casa. Ho il presentimento che gli sia accaduto l’irreparabile - Cecilia si mise a piangere disperatamente.
- Non disperarti Cecilia. Ora calmati e mettiti seduta, lì, davanti a quel catino pieno d’acqua.
- Che ce devi fa’ i fumenti or pediluvio? Chiese Cecilia, tirando su col naso.
- Devo cercare Mario – Rispose la Veggente.
- E lo cerchi ner catino pieno d’acqua? –
- Ho i miei metodi, Cecilia.
- Vabbè, ‘sto zitta e bbona!
La Veggente, accese il braciere e mise le erbe a bruciare. Poi pronunciando parole in latino iniziò a girare lentamente l’acqua nel catino con un bastoncino di mirto.
- Mario appari! Ordinò la Veggente a conclusione del rito.
Lentamente una figura prese forma rispecchiata nell’acqua che vorticava.
- E’ prigioniero da qualche parte. Il fuoco dei vampiri lo circonda e non può muoversi – Aggiunse la Veggente.
- Fa’ un po’ vede’? – Chiese Cecilia accostandosi di più e guardando nell’acqua.
- Quello è er vecchio lavatoio de casa mia! Povero Mariuccio mio, chissà come sarà debole.
- Bisogna trovare il modo di liberarlo. Io vedo le cose ma non so come risolverle – Aggiunse la Veggente quasi scusandosi per la sua incapacità.
- Cecilia, stai attenta, è molto pericoloso.
- Devo parlà cor prete! – Esclamò alla fine Cecilia.
Camminando con una lena che non aveva più da anni, Cecilia arrivò in Parrocchia in pochissimi minuti. La messa del mattino era appena finita. Lei, come una furia si precipitò in sacrestia, dove Don Elio, si stava togliendo i paramenti.
- Cecilia, buon giorno – La salutò don Elio che aveva notato il suo comportamento strano.
- Buon giorno sor Parroco – Disse lei senza chiamarlo per nome.
- Ma che è successo? – Chiese lui cominciando a preoccuparsi.
- Lei s’è offerto di aiutarmi. Mi serve il suo aiuto! – Esclamò Cecilia che non riusciva neanche ad articolare le frasi per la troppa agitazione.
- Si calmi Cecilia, sono qui, mi dica.
- Me devo confessà!
- E che ha fatto per piombare qui in questo modo? – Chiese don Elio.
- E’ ‘na storia lunga e complicata, don Elio, annamo ar confessionale.
Lui le mise una mano sulla spalla, in modo paterno e protettivo, mentre l’accompagnava in chiesa verso il confessionale.
Cecilia iniziò tutto dal principio. Gli raccontò del trasloco, dei due loschi figuri, gli spiegò finalmente perché era sparita dalla parrocchia per giorni. Gli confessò di sapere chi fosse stato a sconfiggere la setta satanica. Gli racconto tutto, di lei e di Mario e soprattutto di “cosa” fosse Mario.
Alla fine arrivò alla strega, alla Veggente e gli chiese aiuto per liberare il suo amico vampiro.
Don Elio ascoltava con attenzione, non la interruppe mai ma il cambiamento delle sue espressioni, man mano che la storia procedeva, facevano capire che idea si stava formando nella sua mente.
- Cecilia, io ti assolvo…- E pronunciò la formula di rito.
- Grazie! Grazie sor Parrocco, m’ha levato un peso enorme dall’anima. Ora però me deve trovà un esorcista, quarche prete amico suo che sa come liberà Mariuccio mio –
Don Elio la guardava scuotendo leggermente la testa.
- Cecilia, quanto tempo è che non va dal medico? –
- Mo’ che c’entra er dottore?
- Ce l’ha un parente, un nipote, una sorella?
- Nun c’ho più nessuno, Don Elio, ma che c’entra co’ ‘sta storia?-
- Pensavo che forse non dovrebbe più vivere così in solitudine…-
- Don Elio, mo’ comincio a capì dove vo’ annà a parà.
- Non s’offenda sora Cecilia, sa gli anni ci sono, ha pensato ad andare in qualche casa di riposo? Ce n’è una delle suorine della carità, immersa nella campagna. Le potrebbe fare bene un cambiamento.
- Ho capito, sor Parroco, mo’ ce penzo e poi je farò sapè –
- Brava Cecilia, vedrà che starà bene in compagnia.
Cecilia uscì dalla parrocchia, arrabbiata con sé stessa per non aver capito che piega avrebbe preso, una confessione di quel tipo. Aveva ragione la Veggente sul fatto delle menti aperte. Don Elio ce l’aveva serrata a doppia mandata.
Tornò a casa in preda alla disperazione. Rimuginò, pensò, analizzò su ogni particolare di quella storia, sulle sue conoscenze ma non riusciva a venirne capo.
Il mattino seguente, il pino era di nuovo pieno di corvi. I bambini non scendevano più in cortile a giocare. Il verso delle bestiacce disturbava tutto il lotto. Era state contattate tutte le autorità possibili per mandarli via o catturarli, invano. Il corvo capo della stormo, la strix, la osservava in ogni sua mossa. Cecilia sapeva di dover stare molto attenta.
Poi il Corvo, spiccò il volo ed andò a posarsi sul davanzale della finestra di fronte. Lì viveva una giovane coppia che aveva avuto un figlio da appena due mesi.
Cecilia urlò, cercando di avvertire, non aveva la forza e l’agilità per arrivare in tempo.
- Anna, chiudi la finestra! Anna, dove sei? Chiudi la finestra! – Continuava a gridare con tutto il fiato in corpo.
- Sora Cecì, ma che v’è preso? – Rispose finalmente Anna affacciandosi.
Vide il corvo e cercò di scacciarlo. La strix la osservava senza muoversi di un millimetro.
- Brutta bestiaccia - urlò Anna cercando di chiudere l’imposta.
La Strix s’alzo in volo e con lei tutto lo stormo, che virò in direzione di quella finestra.
Cecilia assisteva alla scena impietrita.
Il sor Giuseppe, che era maresciallo dei carabinieri e stava rientrando in quel preciso istante, prese la pistola dalla fondina e sparò un colpo in aria. Gli uccelli si dispersero e scomparvero, almeno per il momento.
- Bisogna risolverla questa storia dei corvi – Gridò verso Cecilia, che era affacciata al balcone.
- Già, bisogna risolverla! - ripeté lei, tra sé e sé.
Si era fatta ormai notte. Cecilia decise di uscire e tornare dalla Veggente, era rimasta soltanto lei che poteva aiutarla a trovare una soluzione per Mario.
Uscita dal portone, si trovò davanti Lestat e Mastro Titta. Fece un salto indietro e cercò di tornare sui suoi passi.
- Non vogliamo farle del male. Siamo qui per cercare il suo aiuto. Dobbiamo liberare Mario, prima che diventi veramente così debole, da non poter più reagire.
Cecilia li guardava ancora incredula e piuttosto sospettosa.
- Signora, il Decano ha chiesto il suo aiuto –
- Mo’ chi è ‘sto Decano?
- E’ il vampiro più anziano, ha circa duemila anni. Colui che ci guida, che ha più esperienza di tutti noi.+ò
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Un giorno di giugno, la Sora Cecilia, seduta su una panchina di Piazza Damiano Sauli, di fronte alla sua cara parrocchia S. Francesco Saverio, stava riposando e prendendo un po’ di fresco dopo la messa vespertina.
Le si sedette accanto il Sor Guido, una persona della parrocchia, che aiutava Don Elio, il parroco, nei lavori pratici, pagava le bollette, portava i documenti al Vicariato e tante altre cose in cui il parroco non arrivava, per mancanza di tempo.
Aveva tra le mani il giornale della parrocchia e quello del quartiere.
- Buon giorno Sora Cecì, giornata calda oggi! – Iniziò lui per attaccare discorso.
- Già! Semo solo a giugno e fa più de trenta gradi – Gli rispose Cecilia, facendosi aria con un ventaglio, che aveva portato per ascoltare la messa nella chiesa arroventata, dove si boccheggiava.
Il Sor Guido, cominciò a sfogliare i giornali, quando la sua attenzione fu attirata da un trafiletto sul giornale di quartiere.
- Senta qua, Sora Cecì, questa sì che è bella! – E iniziò a leggere non prima di essersi fatto una sonora risata.
-“Durante gli scavi per la costruzione di un nuovo supermercato in Via Padre Semeria, è stata ritrovata un’antica necropoli romana risalente al I secolo a.C…”.
- E ‘ndo stà, ‘sta notizia sensazzionale? – Lo interruppe Cecilia – Roma è piena de cose antiche, mo’ ce l’avemo pure noi da’ Garbatella, insieme alle catacombe! – Esclamò con voce piena d’orgoglio Cecilia riferendosi alle catacombe di Commodilla.
- Sora Cecilia, ma ho appena iniziato a leggere stia a sentire:
“Vi sono state ritrovate numerose tombe a “cappuccina”, a “cassonetto” o a sarcofago di terracotta, come era uso a quei tempi…”
- E allora? Pure queste so’ cose scontate – Lo interruppe di nuovo Cecilia.
- Sora Cecì, me lo fa finire l’articolo prima di commentare? – La riprese lui un po’ scocciato.
- Va be’ sto zitta…
“Tra queste, una tomba, si presentava diversa dalle altre. Ad una profondità di tre metri e mezzo…”
- Certo è strano…- Interruppe di nuovo Cecilia.
Stavolta Guido la guardò in tralice, in modo molto eloquente e lei fece segno di tenere la bocca serrata.
-“Chiusa in un rivestimento in piombo che non lasciava passare nulla: un vero mistero archeologico, fu rinvenuta la più strana sepoltura mai trovata a Roma…” -
Cecilia fece per riaprire bocca ma Guido la fulminò di nuovo continuando a leggere:
- “Il tetto della tomba era costituito da tegole in terracotta per la copertura a “cappuccina” come quella che fu, la prima tomba di S. Pietro. Il fatto singolare però, era che la tomba, fosse sigillata con estrema cura da una lastra di piombo, talmente ben modellata da chiudere ermeticamente qualunque spazio. All’interno, lo scheletro di una donna di circa 30 o 40 anni, alta un metro e sessanta, vissuta nel secondo secolo d.C. Presso il suo corpo, nessun monile od oggetto personale è singolare il fatto, che non avesse neanche la moneta per pagare l’obolo a Caronte, che veniva messa sempre, in tutte le sepolture. Si è trovato invece un solo vaso, contenente le ceneri di varie sostanze bruciate, messo sotto le gambe della donna.”
- Posso? – Chiese Cecilia che non si teneva più.
- Ora può commentare, che ne pensa Sora Cecì?
- Che questa è una strana notizia, c’aveva raggione, Sor Guido! - Esclamò lei.
- Io penso che questa potrebbe essere stata una strega pre crestiana, insomma antica romana – Concluse lui, con una sonora risata.
- C’è poco da ride? Mo’ lei nun crede alle streghe?
- Tutte le donne sono un po’ streghe, sora Cecì! – Le rispose prendendola in giro.
- Dovrebbe avere la mente più aperta, sor Guido, la realtà a volte è molto diversa da quello che si crede – Finì in modo sibillino Cecilia, parlando in italiano, come faceva quando voleva sottolineare una cosa importante.
Guido non capì a cosa volesse alludere e la salutò, pensando tra sé e sé che Cecilia, a volte era una grande rompiscatole.
Lei s’avvio verso casa, ridacchiando mentre pensava al suo vicino Mario. Lui era un vampiro in carne ed ossa, se così si poteva dire. Se esistevano i vampiri e lei disgraziatamente ne aveva conosciuti altri due, che l’avevano terrorizzata non poco con la scusa di essere demoni, perché non potevano esistere le streghe?
In fondo le streghe erano esseri infernali, donne che si erano date al demonio per acquisire poteri nefasti. C’era persino stata una setta satanica tempo prima alla Garbatella. Uno strano caso ed erano state rubate delle ostie sacre a San Francesco Saverio e spariti numerosi gatti neri. Lei aveva indagato e Mario aveva risolto il caso a modo suo.
Essere amica di un vampiro comportava parecchi problemi. In primo luogo, non ne poteva parlare a nessuno. Poteva contattarlo solo dopo il tramonto. Custodire il suo segreto era molto pesante per lei e la faceva sentire continuamente in conflitto con sé stessa e la sua profonda fede.
Ormai però, si era affezionata al vampiro che a modo suo le voleva bene, per quel briciolo di sentimento che ancora riusciva a provare.
Lei, ormai ottantenne, lo considerava un suo ipotetico nipote, dato che non aveva avuto figli. Lui apparentemente dimostrava circa venticinque anni, in realtà aveva superato due secoli, vissuto durante la Repubblica Romana.
La vita di Cecilia continuò come al solito, messa mattutina, a volte messa vespertina. Quella serale, specialmente durante l’inverno la saltava, così poteva trascorrere qualche ora con Mario a giocare a carte e a parlare del più e del meno. Lo faceva partecipe della vita del lotto e del quartiere durante il giorno, tutto quello che Mario non avrebbe mai potuto apprendere.
Lui le raccontava episodi lontani della sua vita, che per lei, benché apparentemente più anziana, erano storie di un altro mondo, che non esisteva più.
Il ritrovamento del sarcofago fu completamente dimenticato da Cecilia.
Una sera, al tramonto del sole, affacciata al balcone della camera da letto, stava ammirando quei magnifici colori aranciati del sole che cala all’orizzonte, quando vide piombare sull’albero davanti, un uccello di una certa grandezza. All’inizio non comprese, capì quando quello emise il suo caratteristico verso. Era una civetta, una delle pochissime rimaste ancora in città.
L’episodio incuriosì molto Cecilia, perché era la prima volta che una civetta faceva visita al suo lotto da parecchi anni.
Poco dopo pensò che l’episodio fosse degno di essere raccontato a Mario.
- Mariù sei svejo? Chiamò Cecilia da fuori la porta di Mario, continuando a bussare.
Mario, appena uscito dal suo nascondiglio diurno, aprì la porta dopo qualche istante.
- Sora Cecilia, ma che è successo? Stasera la vedo un po’ agitata - Le chiese Mario passando a casa di Cecilia. Lei nell’appartamento di Mario, era entrata una sola volta. con un po’ d’invadenza, quando ancora non conosceva il suo segreto. Ora, visto che lui non l’invitava mai, pensava che ci fossero cose, di là, che era meglio che lei non vedesse. Così non approfondiva mai l’argomento.
- Nun so’ agitata, so’ eccitata. Lo sai che ho visto una civetta sull’albero di fronte? –
- Non mi sembra notizia da farla agitare così – Ribattè Mario.
- Aridaje, nun so’ agitata! Ma lo sai che le civette quasi nun se troveno più a Roma? –
- Sì, lo so, e so anche, che sono animali notturni come me – Rispose Mario, con la sua strana smorfia che voleva essere un sorriso.
- Qui nel lotto nun s’erano più viste da anni.
Mario le raccontò che la civetta aveva assunto nei secoli la simbologia della sapienza, non a caso era uno degli animali prediletti di Atena. Cecilia, lo sapeva già, era stata maestra elementare ma lo lasciò parlare, perché le piaceva quel suo modo antico di raccontare le storie.
Da quella sera, la civetta tutte le sere veniva a posarsi sull’albero di fronte al suo balcone. Emetteva per un po’ il suo verso, poi s’alzava in volo e spariva.
Una sera, Cecilia la vide posarsi sulla ringhiera del suo balcone. Era un bell’esemplare dagli occhi ipnotici, quasi quanto quelli di Mario. Girava la testa su sé stessa a 180 gradi, per guardarsi intorno, poi emetteva il verso e guardava la finestra di Cecilia.
Lei se n’accorse ed aprì i vetri. L’animale la guardava con sguardo fiero e continuava a “cantare”. Cecilia iniziò a parlarle.
- Che c’è? Hai fame? - Le classiche domande che si fanno agli animali randagi anche se si sa che parliamo solo a noi stessi.
Stranamente quella sembrava risponderle col verso. Cecilia si convinse che l’uccello voleva comunicarle qualcosa.
La osservava perplessa e quella spiccò il volo posandosi poco più in là, come volesse aspettarla e farsi seguire.
L’anziana signora, ormai incuriosita, prese il bastone e scese lentamente le scale uscendo in cortile.
La civetta si rialzò in volo e si posò su un alberello piantato sul marciapiede che aveva l’aspetto asfittico, troppo soffocato dalle macchine in sosta. Lì sopra l’uccello si notava, per la sua imponenza e regalità. Cecilia iniziò a seguirlo. Di alberello in alberello, finì per trovarsi davanti ai vecchi bagni pubblici, dove ora c’è il negozio di mobili. Dovette attraversare con non poca fatica, col braccio teso, per indicare ai guidatori di fermarsi, che lei non ce la faceva a correre.
La civetta volò dentro al lotto otto. Cecilia entrò un po’ affannosamente, reggendosi sul bastone. La civetta in un primo tempo, si posò sul cedro del Libano, che stava lì da innumerevoli anni, e sui cui rami, erano nidificate generazioni di civette e passeri.
Cecilia, pensò che forse stava diventando un po’ matta, pensò che l’età le giocava strani scherzi, se le aveva fatto credere che la civetta volesse comunicare con lei.
Mentre era assorta in questi pensieri, la civetta s’alzò di nuovo e andò a posarsi sul davanzale di una finestra al primo piano che s’aprì non appena l’uccello si fu posato.
Cecilia s’avvicinò ed andò sotto la finestra.
In quel momento, rientrava Antonietta, una parrocchiana di S. Francesco Saverio che Cecilia conosceva bene.
- Buona sera, Sora Cecilia, che fa qui? E’ venuta per me?
Cecilia imbarazzata, non sapeva che rispondere e tacque.
- Sora Cecì ma che fa sotto quella finestra? Non sa che lì ci abita una persona molto strana, noi qui del lotto la chiamiamo “la veggente” per prenderla in giro. Dice che vede cose che gli altri non riescono a vedere.
- Che cosa vede? – Chiese Cecilia molto interessata all’argomento.
- Entità, il futuro, ectoplasmi e… cataplasmi - Aggiunse a voce bassa Antonietta soffocando una risata, per non farsi sentire oltre la finestra aperta.
Cecilia era decisa a suonare a quella porta.
Le aprì una donna vestita in modo un po’ singolare. Portava ciabatte di due colori diversi, una bianca ed una nera, un’ampia vestaglia viola la copriva interamente come una palandrana, in testa uno zucchetto di lana bianca e nera da cui fuoriuscivano delle ciocche di capelli decolorati ed aridi.
Cecilia, benché ormai abituata a Mario, che tanto normale non era, restò un po’ interdetta sull’uscio, dopo l’invito che la donna le fece ad entrare.
Uno strano odore di erbe bruciate invadeva tutta la stanza. Cecilia iniziò a tossire, la gola irritata da quelle esalazioni.
- La stavo aspettando, Cecilia – aggiunse la donna.
- Mi conosce? E’ stata per caso Antonietta a parlare di me? – Chiese Cecilia non molto meravigliata di essere stata chiamata per nome.
- Io non parlo con nessuno, neanche con quella sua amica. Di solito non parlo e basta. Mi considerano pazza e svitata, mi chiamano “la Veggente”.
- Come si chiama invece? – Chiese la Sora Cecilia, cercando di rompere il ghiaccio con quella persona che era alquanto enigmatica nel parlare.
- Il mio nome non posso svelarle, Cecilia, perché il solo pronunciarlo, lo farà padroneggiare dai pensieri malvagi di esseri dai grandi poteri. Io per tutti sono e sarò sempre “la Veggente”.
- Scusi, sora Veggente, ma sur citofono e su ‘a porta de’ casa, ma che c’ha scritto? – Chiese Cecilia perplessa per la risposta.
- Nulla, chi mi conosce sa dove trovarmi.
- Sora veggè, fattelo dì, un po’ de raggione ce l’hanno quelli del lotto a consideratte strana! – Concluse Cecilia, che proprio non ce la faceva a stare zitta.
La Veggente, neanche si girò a risponderle, e continuò a mettere erbe secche nel braciare. Ogni pizzico di erbe, il fumo si intensificava.
- A sora Veggè, che d’è tutto sto’ fumo? Me sento mancà er respiro, ma che voi famme soffocà? Io c’ho na’ certa età! – Soggiunse Cecilia dopo l’ennesimo colpo di tosse.
- Bruciare queste erbe è necessario per tenere lontano da questa dimora, l’influsso della creatura malvagia.
- Qualche creatura Veggè? – Chiese Cecilia, che non aveva ancora capito niente.
- Signora Cecilia, è da qualche giorno che ho percepito una strana presenza maligna, ha un forte potere e l’unico modo per tenerla lontano è bruciare queste erbe.
- Sto’ fumo mefitico seconno te, Veggè, allontanerebbe cosa?
- La presenza di una strega!
- Mica starai a parlà per caso de quella notizia che è escita sur giornale? Ah, mo’ me ricordo dell’urna sotto i piedi dello scheletro, dentro c’ereno erbe bruciate! - Esclamò alla fine Cecilia.
- Sì Cecilia, e lei e il suo amico “particolare” mi dovrete aiutare, perché stanno per succedere cose molto brutte.
- A Veggè, mo’ conosci pure Mario? Ma io mica l’ho mai detto a nessuno che è vampiro!
- Cecilia, che Veggente sarei io, se non sapessi tutto quello che succede alla Garbatella? -
Cecilia, la guardò con una espressione di grande meraviglia e si grattò la testa per la confusione che regnava nei suoi pensieri.
- L’ho fatta chiamare dalla mia civetta, alla quale ho dato il nome “Messaggera”, perché mi servo di lei per contattare le persone quando ho bisogno di loro.
- La potevi chiamà sms, è più moderno, no?
- Signora Cecilia, non mi fa ridere.
- E’ che me sto a domanà, perché ‘na civetta, invece der telefono o der cellulare. Io c’ho pure quello. Potevi fa i segnali de fumo, tanto nun te manca, me pare.
La Veggente non fece caso all’ironia ma le spiegò il motivo di quello strano gesto, che nessuno avrebbe compreso nell’era della comunicazione tecnologica.
- Le forze occulte, si sono modernizzate, usano l’energia per rafforzare il loro potere. Non potevo rischiare che attraverso la corrente del telefono o delle onde elettromagnetiche del cellulare, s’insinuassero nella sua mente. Messaggera è protetta da un mio incantesimo, risulta invisibile, per ora, alla potente Strega.
- Perché, dici per ora?
- La Strega sta assorbendo energia dalla natura, se non la fermeremo in tempo, il suo potere sarà troppo anche per me.
- Io però, nun c’ho mica capito un granchè. Te l’hai percepita, hai fatto l’incantesimo, m’hai mannato Messaggera, ma io che devo da fa? Mai visto e conosciuto streghe in vita mia, levate quelle bigotte della parocchia, s’intende, ma quelle mica so’ streghe vere, so’ solo cattive.
- Cecilia, conosco il caso delle ostie scomparse e so delle indagini che hai svolto. Devi tenere aperti gli occhi e le orecchie, io non posso controllare tutto, fare incantesimi e bruciare erbe tutto da sola, ho bisogno del tuo aiuto, tu, hai la mente aperta per via del tuo amico, non mi prendi per pazza, ma vedo già che inizi a comprendere. In seguito ci servirà anche l’aiuto del vampiro –
Finalmente la Veggente le dava del tu, che per lei significava suggellare il patto.
Cecilia accettò, uscì e tornò a casa sua, molto confusa e un po’ preoccupata. La sera raccontò tutto a Mario e il vampiro restò in silenzio, senza mai interromperla, ascoltando attentamente tutta la storia.
- Mariù che ne pensi de’ tutta ‘sta storiaccia?
- E’ una cosa molto seria. Si tratta di una strega pre cristiana, una delle striges romane, non so se nella mia biblioteca ho qualche libro che ci possa aiutare ad approfondire l’argomento. So che quel tipo di streghe facevano sortilegi, si mutavano in corvi, distruggevano i raccolti e uccidevano i bambini per accrescere il loro potere malvagio.
- Ma noi come faremo a fermalla? – Gli chiese Cecilia molto preoccupata dopo le spiegazioni.
- Con il suo fiuto, la mia forza e i poteri della Veggente. Vedrà sora Cecilia che ci riusciremo. Non possiamo far distruggere dalle forze del male questo splendido quartiere.
Passarono i giorni senza che altri episodi degni di nota si verificassero. Cecilia continuava nella sua vita tra casa, parrocchia e Mario, quest’ultimo nelle sue scorribande notturne.
La Veggente non s’era più fatta sentire. Cecilia sperava che la storia della strega in fondo, fosse stata tutta una pazzia di quella donna.
La sora Cecilia, nel lotto era famosa per il pollice verde. Sul suo balcone c’erano tante piante. Pennellate di rosa, rosso e giallo, petali vellutati e delicati di gerani, dalie, tulipani e rose di tutti i tipi. Nel poco spazio che aveva, Cecilia aveva piantato un giardino in fiore. Alcune vicine erano anche invidiose di questa sua qualità, altri si complimentavano e chiedevano consigli e alcuni continuavano a regalarle piantine.
Una sera di domenica, dopo la messa, Cecilia era intenta ad innaffiare le sue piante, che per via del caldo, soffrivano un po’ troppo, c’erano parecchi fiori secchi e qualche foglia ormai da togliere. La sua attenzione fu attirata dal pino nel cortile.
Era un esemplare ormai di quasi un secolo, piantato lì dai primi abitanti del lotto, agli inizi degli anni venti. I suoi rami, ormai, arrivavano fino a toccare i tetti.
Un forte baccano proveniva da quei rami. Cecilia inforcò i suoi occhiali, non vedeva molto bene neanche in lontananza. Vide macchie nere agitarsi tra i rami ed emettere il caratteristico verso dei corvi.
Cecilia, trovò molto strana la presenza non solo di un singolo esemplare ma addirittura di uno stormo intero che improvvisamente al verso di quello che sembrava un leader, s’alzo in volo con un forte frullare d’ali, scendendo in picchiata verso un ragazzino che giocava a pallone con altri compagni.
I ragazzini urlarono spaventati e correndo con tutta l’agilità e la velocità che avevano, riuscirono a riparare in uno dei portoni.
Il leader dello stormo posatosi a terra assieme agli altri, li osservava dall’altra parte del vetro del portone chiuso, per nulla intimorito dal baccano che le persone attirate dalle grida, stavano facendo, per spaventare gli uccellacci.
A notte fonda, una strana coppia fu vista attraversare la strada verso il lotto otto. Cecilia che mai s’era avventurata ad uscire in ore così piccole e con Mario per giunta, aveva deciso che era giunto il momento di fare una riunione a tre.
Verso l’alba quando uscirono dalla Veggente, avevano stabilito la strategia da adottare, dopo un lungo parlare.
Mario le notti successive contattò numerosi vampiri, specialmente quelli che avevano parecchi secoli sulle spalle. Era alla ricerca di un qualche trattato di stregoneria e esorcismi per cercare di capire come fare a combattere la strix, perché a parte qualche piccola delucidazione, la Veggente non era stata in grado di dare dettagli più approfonditi.
Vennero alla fine contattati anche Lestat e Mastro Titta, i compari di Mario, vampiri come lui, quelli che Cecilia odiava e temeva, per scoprire dove la strega si fosse nascosta.
Un mattino dopo il sorgere del sole, la sora Cecilia aprì la finestra del balcone della sua camera da letto e, lanciò un urlo.
La udirono i vicini che a loro volta s’affacciarono per vedere cosa fosse successo.
- Sora Cecì, sta male? Che è successo? – Chiese Carmela, una delle vicine.
- Uno scempio! Una catastrofe! – Rispose lei senza riuscire a spiegarsi, troppo scioccata.
- Dove, cosa? – Le richiese Carmela, alla quale s’era aggiunto il sor Giuseppe, appena uscito dal portone che stava lì a naso in su a cercare di capire.
- Ma nun lo vedete? Guardate il mio povero balcone!
Carmela abbassò lo sguardo e s’accorse in quel momento, che tutte le bellissime piante di Cecilia erano state sradicate, i vasi rovesciati e terra, uno scempio ovunque.
Cecilia s’abbassò reggendosi sulla ringhiera a fatica e raccolse una piuma nera.
La sua espressione cambiò all’istante. Il suo volto divenne di una durezza che era difficile immaginare in una dolce vecchina come lei.
- Questa è guerra! – Esclamò
- A sora Cecì mo’ avete dichiarato guera pure alle cornacchie? – Le chiese ridendo Carmela.
- Nun so cornacchie, so’ corvi ma corvi speciali! – rispose in modo sibilino Cecilia prima di sparire e chiudere la finestra.
I giorni seguenti, tutte le piante dei balconi e del lotto furono distrutte, restò ancora verde soltanto il vecchio pino, usato come base d’attacco dai corvi.
Si fece allora una riunione di condominio, dove fu presa la decisione di chiamare qualche associazione animalista, il comune, la asl, affinché le bestiacce fossero catturate e mandate via.
Cecilia non partecipò, sapeva che ben altra era la guerra da combattere.
Una notte infuocata di metà luglio, a Mario fu consegnato un librone antico e polveroso. Per arrivare a lui era passato di mano in mano vampira.
Il mondo dei vampiri s’era messo in moto. Le striges erano loro antenate ma andavano combattute, ora, erano nemici. Non si poteva tollerare che queste vecchie forze occulte, invadessero di nuovo il mondo, erano troppo potenti e avrebbero annientati la stirpe dei vampiri.
Ci vollero parecchi giorni prima che il nostro amico, scoprisse qualcosa che lo potesse condurre a trovare e sconfiggere la strix.
-Mario, Mariù dai apri! – Chiamava concitata la sora Cecilia, continuando a bussare e suonare al campanello.
Mario aprì la porta e stranamente questa volta la fece entrare.
- Mariù ma quanta polvere c’hai qua dentro? – Chiese Cecilia soffocando un colpo di tosse.
- Sora Cecì, le pulizie non sono una mia priorità e poi mi sembra che abbiamo ben altri problemi.
- Scusame, c’hai raggione. Che hai scoperto su quel libro antico? Ma ce capisci quarcosa? Me pare così difficile da interpretà! – Esclamò Cecilia dopo averne sfogliato alcune pagine.
- Mi stanno aiutando i miei amici vampiri, quelli molto più antichi di me. Questa guerra riguarda anche tutti noi.
- Vabbè annamo ar sodo, che hai scoperto?
- Che le striges e le Lamie erano le streghe del mondo romano. Non morte, come noi vampiri, succhiavano il sangue dei bambini per mantenersi giovani. Seducevano con i loro poteri giovani uomini e ne succhiavano il sangue. Vivevano nei cimiteri.
Nella tradizione della Roma antica la strix è diretta antenata delle strie italiane e degli strigoi rumeni. Alcune delle Strix erano al servizio di Ecate, dea della notte e della magia, nonché protettrice delle streghe.
- Chissà perché me ricordano qualcuno - Scoppiò a ridere Cecilia
- Siamo discendenti dalle striges ma non abbiamo i loro poteri occulti. Si sono persi nei millenni, perché esse, esistevano anche prima dell’Antica Roma. –
- Insomma so’ vampiri antichi romani! Na’ specie de reperti archeologici.
- La cosa importante è scoprire dove si è nascosta la strix e come sconfiggerla. Questo ancora non l’ho capito.
- Studia Mariù, che de capitoli da legge te ne restano ancora parecchi.
- Penso che l’attacco che i corvi hanno fatto ai ragazzini era per catturarli e berne in seguito il sangue
- E le piante? Quelle povere piantine? Ancora me piagne er core a pensà ai vasetti del balcone mio.
- La distruzione un tempo dei raccolti e ora dei giardini, serve per assorbire energia dalla natura. La strix prima si rafforza, poi succhiando il sangue, passa alla trasformazione umana.
- E’ proprio ‘na brutta storia, concluse Cecilia prima di tornare nel suo appartamento.
Intanto il mondo vampiro s’era messo in moto e partirono le indagini notturne per scoprire dove si nascondesse la strega.
Il tempo passava, Mario usciva ormai solo per brevi periodi la notte, tutto intento a scovare un modo, per combattere la tremenda strega, prima che riuscisse ad incarnarsi.
Era ormai un lotta contro il tempo.
Una di quelle notti passate al lume di candela, perché Mario odiava la corrente elettrica, udì un lieve bussare alla sua porta. Era Mastro Titta che cercava di non attirare l’attenzione e con fare furtivo si introdusse nell’appartamento di Mario.
- Il Decano mi manda a dirti che abbiamo trovato il nascondiglio che cercavi, io e Lestat siamo stati incaricati di farti da spalla. L’ordine è che dovremo essere noi tre a sconfiggerla. E’ troppo pericoloso per tutti i vampiri entrare in azione in massa. Rischiamo di farci scoprire dagli umani.
- Dov’è che si nasconde lo spirito di questa strega?
- Nell’antico cimitero Ostiense. Si è trasferita lì dopo la distruzione e profanazione della sua sepoltura in via Padre Semeria.
- Dobbiamo preparare un piano, domani notte andremo lì.
Mario, Lestat e Mastro Titta passarono il resto della notte in confabuli e bisbigli per non farsi sentire dai vicini, cercando di tirare fuori una strategia da usare. Il Librone fu più volte sfogliato e consultato.
Il giorno seguente, la Sora Cecilia, che nulla sapeva del piano di Mario, uscì come tutte le mattine per recarsi alla messa. Era scoppiato un temporale, uno di quei violenti temporali estivi, pioveva a dirotto e lei s’inzuppò soltanto per fare pochi passi, non aveva voluto aspettare che smettesse.
Stava per uscire dalla Chiesa, quando il parroco, Don Elio, le si avvicinò mentre la salutava da lontano.
-Buon giorno sora Cecilia, la vedo molto turbata in questi ultimi giorni. Se ha bisogno io sono sempre qui. Se vuole confessarsi o soltanto parlare.
- La ringrazio Don Elio, ma per ora non ho nulla da dirle. Sono solo un po’ troppo stanca e dormo pochissimo. Sa l’età e gli acciacchi non m’aiutano.
- Ha provato con qualche erba calmante?
- Eh, Don Elio, le ho provate tutte!
- Provi dal medico, potrebbe aiutarla.
- Proverò, la ringrazio per la disponibilità – Tagliò corto Cecilia che non aveva voglia di conversare, era troppo preoccupata per la storia della strega e in ansia, perché non aveva avuto nessuna notizia da Mario.
Al tramonto l’aria, pulita dal temporale, odorava ancora d’ozono. Faceva molto caldo e l’acqua, evaporata aveva formato una sottile coltre d’afa irrespirabile.
Cecilia fu tentata di bussare a Mario, poi pensò di non distrarlo dai suoi studi e cominciò a fare avanti e indietro dal balcone alla cucina, mentre si preparava qualcosa per la cena.
A notte fonda, i tre vampiri, uscirono furtivamente dal portone, diretti in direzione della Basilica di S. Paolo, dove ancora restavano alcune vestigia dell’antica necropoli.
Il piano prevedeva che Mario si sarebbe fatto vedere, mentre Lestat e Mastro Titta sarebbero rimasti poco lontano e sarebbero intervenuti soltanto in caso di necessità.
Dopo circa mezz’ora che erano lì, in fondo agli scavi, protetti da una tettoia e da una grossa inferriata, cominciò ad apparire una luce tenue che in breve tempo si trasformò nella proiezione di una figura umana femminile. Era eterea, trasparente, sembrava uno spettro ma emanava una forza d’attrazione notevole.
Mario s’avvicinò.
Lei aveva l’aspetto di una giovane donna, più o meno sui trent’anni. Lunghi capelli corvini, inanellati le cadevano dalle spalle. Li teneva acconciati secondo la moda del suo tempo. Un lungo peplo, di una stoffa leggerissima, le copriva appena le forme. Una cintura legata sotto il seno lo metteva in risalto.
Quello che colpiva in tutta la figura era lo sguardo. Seducente e magnetico, che faceva brillare due occhi di un nero acceso.
La carnagione della creatura era pallida e diafana come quella di Mario.
Per qualche minuto i due restarono immobili ad osservarsi. Ognuno dei due studiava l’altro cercando di carpire qualche debolezza da sfruttare.
- Io ti conosco – Disse la strega rompendo il silenzio. - Tu appartiene all’antica stirpe dei succhia sangue. Sei come me.
- Ti sbagli malvagia creatura - Le rispose Mario - Io non uccido mai bambini e mi nutro soltanto quando non posso farne più a meno, non traggo piacere nell’uccidere.
- Sei uno strano vampiro, tu, amico di quella fragile vecchia, stai diventando troppo umano, questo ti distruggerà - Poi la strega rise, di una risata argentina, lieve, impalpabile.
Mario non rispose, le si avvicinò lentamente, guardandola fissa negli occhi. Usava tutta la sua arte di vampiro per assoggettarla.
Lei non staccando lo sguardo dagli occhi di lui, lo avvolse nell’abbraccio etereo di un corpo non incarnato. Magnifica scuoteva la testa, per liberare i riccioli che si erano aggrovigliati.
- Non resistermi, Mario. Io e te potremmo diventare i padroni del mondo – Gli sussurrò nell’orecchio soffiando un alito caldo.
Mario iniziò a vacillare sotto l’attacco della potente forza seduttiva della strega.
- Non combattermi, unisciti a me, amami come solo voi vampiri sapete fare. L’estasi dei nostri corpi in un solo corpo, diventeremo invincibili. Aiutami a tornare in carne ed ossa – Gli parlava sussurrando nell’orecchio.
Mario, stava combattendo una battaglia troppo grande per lui. Diviso tra il desiderio di possedere la creatura e quello d’annientarla.
Nel frattempo Lestat e Mastro Titta, osservavano tutta la scena da lontano, indecisi se intervenire o lasciare agire soltanto il loro compare.
Nel momento in cui Mario stava capitolando, nel tentativo di abbracciare il corpo inesistente della strega, lei guardando alle spalle di lui, vide i due avvicinarsi e malvagiamente sorrise, mentre li fissava intensamente negli occhi.
- Mario! - Chiamò imperiosamente Mastro Titta.
Mario non rispose, ormai completamente soggiogato dal potere della strega.
I due s’allontanarono, avevano capito che era troppo potente, tornarono dal Decano, in attesa di nuove istruzioni.
Mario la seguì, docile, senza più volontà, completamente schiavo del suo potere.
Lei lo condusse nei locali dei vecchi lavatoi del lotto di Cecilia, così avrebbe tenuto d’occhio anche lei. Locali ormai inutilizzati, dove non andava quasi mai nessuno. Vi erano accumulati vecchi mobili e cose ormai da buttare via che alcuni condomini avevano appoggiato lì e s’erano dimenticati di averlo fatto.
Il locale emanava un forte odore di muffa e polvere.
Sempre guardando Mario negli occhi e sussurrandogli parole negli orecchi con voce suadente, la creatura lo portò in un angolo nascosto. Iniziò a pronunciare una formula in lingua antichissima. Una coltre di fuoco verde s’alzo attorno a Mario. Un fuoco che non bruciava nulla ma inceneriva i vampiri in pochi istanti, come la luce del sole.
La strega non voleva ucciderlo, voleva solo tenerlo prigioniero, impedirgli di nutrirsi e assoggettarlo per sempre al suo potere. Gli serviva per catturare qualche neonato e berne il sangue, per potersi reincarnare.
La sera seguente, Cecilia decise di andare da Mario. Erano giorni che non aveva avuto più notizie.
Bussò e suonò invano alla porta dell’amico senza ottenere nessuna risposta.
Cecilia passò la notte in bianco, aveva la sensazione che Mario, non fosse uscito per nutrirsi ma fosse in grande pericolo.
Il segreto di Mario, lei lo aveva gelosamente custodito, spesso però le venivano dei grandi rimorsi verso il Padre Eterno. In fondo Mario, seppur per nutrirsi, uccideva esseri umani. Un peccato mortale. Lei tacendolo, ormai si sentiva colpevole quanto lui. Accostarsi ai sacramenti le era diventato impossibile. Confessare questo suo grande peccato a Don Elio, non era cosa fattibile, perchè era rompere il giuramento che aveva fatto a Mario.
La povera vecchia, non sapeva più cosa fare né dove cercarlo.
Pensò alla Veggente. Il mattino seguente, molto presto, si recò al lotto otto. La civetta era appollaiata sul grande cedro del Libano e sembrava dormire.
Cecilia suonò a quel campanello, dove non c’era nessun nome scritto.
- Cecilia, so cosa è successo! –
- Veggè, so’ disperata! Mariuccio mio non è tornato a casa. Ho il presentimento che gli sia accaduto l’irreparabile - Cecilia si mise a piangere disperatamente.
- Non disperarti Cecilia. Ora calmati e mettiti seduta, lì, davanti a quel catino pieno d’acqua.
- Che ce devi fa’ i fumenti or pediluvio? Chiese Cecilia, tirando su col naso.
- Devo cercare Mario – Rispose la Veggente.
- E lo cerchi ner catino pieno d’acqua? –
- Ho i miei metodi, Cecilia.
- Vabbè, ‘sto zitta e bbona!
La Veggente, accese il braciere e mise le erbe a bruciare. Poi pronunciando parole in latino iniziò a girare lentamente l’acqua nel catino con un bastoncino di mirto.
- Mario appari! Ordinò la Veggente a conclusione del rito.
Lentamente una figura prese forma rispecchiata nell’acqua che vorticava.
- E’ prigioniero da qualche parte. Il fuoco dei vampiri lo circonda e non può muoversi – Aggiunse la Veggente.
- Fa’ un po’ vede’? – Chiese Cecilia accostandosi di più e guardando nell’acqua.
- Quello è er vecchio lavatoio de casa mia! Povero Mariuccio mio, chissà come sarà debole.
- Bisogna trovare il modo di liberarlo. Io vedo le cose ma non so come risolverle – Aggiunse la Veggente quasi scusandosi per la sua incapacità.
- Cecilia, stai attenta, è molto pericoloso.
- Devo parlà cor prete! – Esclamò alla fine Cecilia.
Camminando con una lena che non aveva più da anni, Cecilia arrivò in Parrocchia in pochissimi minuti. La messa del mattino era appena finita. Lei, come una furia si precipitò in sacrestia, dove Don Elio, si stava togliendo i paramenti.
- Cecilia, buon giorno – La salutò don Elio che aveva notato il suo comportamento strano.
- Buon giorno sor Parroco – Disse lei senza chiamarlo per nome.
- Ma che è successo? – Chiese lui cominciando a preoccuparsi.
- Lei s’è offerto di aiutarmi. Mi serve il suo aiuto! – Esclamò Cecilia che non riusciva neanche ad articolare le frasi per la troppa agitazione.
- Si calmi Cecilia, sono qui, mi dica.
- Me devo confessà!
- E che ha fatto per piombare qui in questo modo? – Chiese don Elio.
- E’ ‘na storia lunga e complicata, don Elio, annamo ar confessionale.
Lui le mise una mano sulla spalla, in modo paterno e protettivo, mentre l’accompagnava in chiesa verso il confessionale.
Cecilia iniziò tutto dal principio. Gli raccontò del trasloco, dei due loschi figuri, gli spiegò finalmente perché era sparita dalla parrocchia per giorni. Gli confessò di sapere chi fosse stato a sconfiggere la setta satanica. Gli racconto tutto, di lei e di Mario e soprattutto di “cosa” fosse Mario.
Alla fine arrivò alla strega, alla Veggente e gli chiese aiuto per liberare il suo amico vampiro.
Don Elio ascoltava con attenzione, non la interruppe mai ma il cambiamento delle sue espressioni, man mano che la storia procedeva, facevano capire che idea si stava formando nella sua mente.
- Cecilia, io ti assolvo…- E pronunciò la formula di rito.
- Grazie! Grazie sor Parrocco, m’ha levato un peso enorme dall’anima. Ora però me deve trovà un esorcista, quarche prete amico suo che sa come liberà Mariuccio mio –
Don Elio la guardava scuotendo leggermente la testa.
- Cecilia, quanto tempo è che non va dal medico? –
- Mo’ che c’entra er dottore?
- Ce l’ha un parente, un nipote, una sorella?
- Nun c’ho più nessuno, Don Elio, ma che c’entra co’ ‘sta storia?-
- Pensavo che forse non dovrebbe più vivere così in solitudine…-
- Don Elio, mo’ comincio a capì dove vo’ annà a parà.
- Non s’offenda sora Cecilia, sa gli anni ci sono, ha pensato ad andare in qualche casa di riposo? Ce n’è una delle suorine della carità, immersa nella campagna. Le potrebbe fare bene un cambiamento.
- Ho capito, sor Parroco, mo’ ce penzo e poi je farò sapè –
- Brava Cecilia, vedrà che starà bene in compagnia.
Cecilia uscì dalla parrocchia, arrabbiata con sé stessa per non aver capito che piega avrebbe preso, una confessione di quel tipo. Aveva ragione la Veggente sul fatto delle menti aperte. Don Elio ce l’aveva serrata a doppia mandata.
Tornò a casa in preda alla disperazione. Rimuginò, pensò, analizzò su ogni particolare di quella storia, sulle sue conoscenze ma non riusciva a venirne capo.
Il mattino seguente, il pino era di nuovo pieno di corvi. I bambini non scendevano più in cortile a giocare. Il verso delle bestiacce disturbava tutto il lotto. Era state contattate tutte le autorità possibili per mandarli via o catturarli, invano. Il corvo capo della stormo, la strix, la osservava in ogni sua mossa. Cecilia sapeva di dover stare molto attenta.
Poi il Corvo, spiccò il volo ed andò a posarsi sul davanzale della finestra di fronte. Lì viveva una giovane coppia che aveva avuto un figlio da appena due mesi.
Cecilia urlò, cercando di avvertire, non aveva la forza e l’agilità per arrivare in tempo.
- Anna, chiudi la finestra! Anna, dove sei? Chiudi la finestra! – Continuava a gridare con tutto il fiato in corpo.
- Sora Cecì, ma che v’è preso? – Rispose finalmente Anna affacciandosi.
Vide il corvo e cercò di scacciarlo. La strix la osservava senza muoversi di un millimetro.
- Brutta bestiaccia - urlò Anna cercando di chiudere l’imposta.
La Strix s’alzo in volo e con lei tutto lo stormo, che virò in direzione di quella finestra.
Cecilia assisteva alla scena impietrita.
Il sor Giuseppe, che era maresciallo dei carabinieri e stava rientrando in quel preciso istante, prese la pistola dalla fondina e sparò un colpo in aria. Gli uccelli si dispersero e scomparvero, almeno per il momento.
- Bisogna risolverla questa storia dei corvi – Gridò verso Cecilia, che era affacciata al balcone.
- Già, bisogna risolverla! - ripeté lei, tra sé e sé.
Si era fatta ormai notte. Cecilia decise di uscire e tornare dalla Veggente, era rimasta soltanto lei che poteva aiutarla a trovare una soluzione per Mario.
Uscita dal portone, si trovò davanti Lestat e Mastro Titta. Fece un salto indietro e cercò di tornare sui suoi passi.
- Non vogliamo farle del male. Siamo qui per cercare il suo aiuto. Dobbiamo liberare Mario, prima che diventi veramente così debole, da non poter più reagire.
Cecilia li guardava ancora incredula e piuttosto sospettosa.
- Signora, il Decano ha chiesto il suo aiuto –
- Mo’ chi è ‘sto Decano?
- E’ il vampiro più anziano, ha circa duemila anni. Colui che ci guida, che ha più esperienza di tutti noi.
. Mo’ li vampiri, co’ tutta la potenza che c’hanno, cercheno l’aiuto mio? De ‘na povera vecchia? –
- Lei si sottovaluta! – Esclamò Lestat.
- Ma che sottovaluto! Voi sète un esercito de’ vampiri e io so sola. Me pare che nun c’è paragone – Concluse lei irritata.
- Noi non possiamo intervenire in massa, è troppo pericoloso, gli umani ci scoprirebbero.
- E io che posso fa da sola?
- Noi due, la dobbiamo aiutare, abbiamo l’ordine del Decano
- Si ma come?
- E’ questo il punto. La soluzione deve trovarla lei.
- Ecco, semo punto e a capo! – Concluse Cecilia.
Dopo averci pensato un po’, Cecilia decise di portare i due vampiri dalla Veggente non prima però di aver preso il Librone dall’appartamento di Mario. La porta gliela aprì Lestat.
- Questo è uno degli Enchiridion, i grimorii della magia bianca – Disse la Veggente non appena prese il Librone in mano.
- Pensavo fossero stati tutti bruciati dall’Inquisizione nei secoli scorsi.
- E’ di proprietà del Decano, lui l’ha nascosto in una libreria segreta, dove custodisce tutti i libri che la Chiesa ha messo all’indice nel tempo – Spiegò Mastro Titta.
- Dobbiamo cercare bene la formula. Per fortuna che di Magia Bianca ne so abbastanza, la troverò molto prima di quanto avreste potuto fare voi.
La Veggente sfogliava le pagine di pergamena del vecchio libro, con rispetto, per non causare danni in un tomo così prezioso.
-Credo che ci siamo! – Esclamò alla fine.
Cecilia e i due Vampiri stavano lì impietriti, ascoltando attentamente le parole della Veggente.
Lei, prese vari pezzi carta e vi copiò sopra le parole per allontanare la creatura malvagia e quindi neutralizzare il fuoco magico. Ne diede uno ciascuno e si raccomandò di seguire attentamente le sue istruzioni.
Cecilia doveva prendere una rete, nel caso quasi certo che la strega, apparisse sotto forma di corvo.
I due vampiri dovevano tirarla sull’Uccellaccio e nel frattempo tutti insieme pronunciare le Parole.
A notte fonda, uscirono tutti, anche la Veggente che non lasciava mai il suo appartamento, per recarsi nei vecchi lavatoi del lotto di Cecilia.
Arrivati davanti alla porta, s’accorsero che era chiusa da un grosso lucchetto.
Lestat e Mastro Titta, senza troppo sforzo, usando la loro abilità nell’aprire e scassinare serrature, aprirono la porta.
La scena che si presentò ai loro occhi fu tale che Cecilia, scoppiò in un pianto dirotto.
Mario, abbandonato per terra, completamente inerte, aveva gli occhi sbarrati su quel fuoco. I suoi abiti bruciacchiati, lasciavano intravedere parte del suo corpo coperto da ustioni. Aveva lottato e tentato di liberarsi, invano. C’era urgente bisogno di sangue per farlo rigenerare, ma prima occorreva neutralizzare il fuoco.
- Vecchia, smettila! – Esclamò Lestat in tono cattivo, rivolto a Cecilia.
Il vampiro, alla vista di Mario ridotto in quelle condizioni, stava perdendo il controllo, impotente davanti alle verdi fiamme. Il pianto di Cecilia lo irritava non poco.
Mastro Titta sfoderò il canini per la rabbia che lo stava assalendo.
Soltanto la Veggente era rimasta fredda e controllata.
- Non scordatevi il nostro piano. Riprendete tutti il controllo di voi stessi – Pregò rivolta ai tre.
Cecilia s’asciugò lo lacrime col dorso della mano e tirò fuori la rete dalla borsa. In una mano reggeva la rete, nell’altra il foglietto con la formula.
Gli altri due si tennero pronti. La strega non si fece attendere. Apparve dapprima un lieve bagliore, poi, come era successo nell’antica necropoli, la proiezione del suo corpo.
S’avvicinò ai due vampiri, cercando di attrarli a sé, così come aveva fatto con Mario.
Lestat e Mastro Titta, guardarono la Veggente e quella attaccò a recitare la formula:
“Repello te, spritus nequam; tibi denuntio
per Deum verum, ut exeas ac discedas ab
hoc loco, neque huc unquam redeas; tibi
impero in nomine Illus qui te superavit
ac devicit in patibulo crucis, cujus virtute
in aeternum revinctus fuisti et allegatus.
Tibi praecipio ne unquam deinceps omnes
habitantes in hoc habitaculo perturbes,
in nomine Dei. Amen. Visita quaesumus
Domine,habitationem istam, et omens
insidias inimici ab ea longe repelle;
Angeli tui sancti habitent in ea, qui nos
in pace custodiant et benedictio tua sit
super nos semped.”
All’unisono con lei, anche Cecilia e i due Vampiri iniziarono a recitare. Per Lestat e Mastro Titta fu molto doloroso fisicamente, ogni parola era un tormento e faceva loro sfuggire un lamento. La formula era contro tutte le creature malvagie e loro erano annoverate tra queste. Il fatto che stessero agendo per il bene, non li annientò ma la sofferenza fu grande, anche per Mario, già profondamente provato.
Alle prime parole della formula, come la Veggente aveva previsto, la Strix si trasformò in Corvo e cercò di attaccarla agli occhi.
I vampiri, rapidissimi anche se molto sofferenti, le tirarono addosso la rete che era stata impregnata nel fumo delle erbe bruciate: mirra, gelsomino, angelica, cannella, alloro e artemisia: le erbe della purificazione, quelle che si trovavano inizialmente nella tomba e che la Veggente aveva continuato a bruciare nel suo braciere.
Il Corvo lanciò un grido disperato, tentando di liberarsi col becco dalla rete.
Lestat e Mastro Titta, la gettano nel fuoco magico al quale la Veggente aggiunse le erbe.
S’alzò una fiammata fino al soffitto ma stranamente non lasciò traccia. La Strega bruciando, prese per un attimo forma umana, poi tornò corvo. Lei vampiro primordiale, fu vittima del suo stesso incantesimo. Non ne restò che un mucchietto di cenere e soltanto quando l’ultima piuma fu incenerita, il fuoco cessò.
Mario fu soccorso e Cecilia, vedendolo in quello stato gli offri il suo sangue. Lui non voleva toccarla, continuava ad allontanarla da sé, ma la vecchia sora Cecilia fu irremovibile. Gli offrì il suo polso e lui bevve qualche goccia di quel sangue, tanto da potersi alzare e tornare a casa sua. Per il resto avrebbero provveduto i suoi compari. Su questo però, era meglio che Cecilia non approfondisse troppo
Il grande gesto d’amore di Cecilia, mescolando il suo sangue con quello del Vampiro, li legò indissolubilmente.
Notti dopo, tre loschi figuri, furtivamente scavarono una buca profonda, in un non precisato luogo della Garbatella. Dentro vi posero un’urna che conteneva le ceneri della Strix. La Veggente l’aveva sigillata con piombo fuso, mescolando alle ceneri, quelle delle erbe bruciate mentre pronunciava un’antica formula, che avrebbe dovuto tenere imprigionato, lo spirito malvagio per sempre.
. Mo’ li vampiri, co’ tutta la potenza che c’hanno, cercheno l’aiuto mio? De ‘na povera vecchia? –
- Lei si sottovaluta! – Esclamò Lestat.
- Ma che sottovaluto! Voi sète un esercito de’ vampiri e io so sola. Me pare che nun c’è paragone – Concluse lei irritata.
- Noi non possiamo intervenire in massa, è troppo pericoloso, gli umani ci scoprirebbero.
- E io che posso fa da sola?
- Noi due, la dobbiamo aiutare, abbiamo l’ordine del Decano
- Si ma come?
- E’ questo il punto. La soluzione deve trovarla lei.
- Ecco, semo punto e a capo! – Concluse Cecilia.
Dopo averci pensato un po’, Cecilia decise di portare i due vampiri dalla Veggente non prima però di aver preso il Librone dall’appartamento di Mario. La porta gliela aprì Lestat.
- Questo è uno degli Enchiridion, i grimorii della magia bianca – Disse la Veggente non appena prese il Librone in mano.
- Pensavo fossero stati tutti bruciati dall’Inquisizione nei secoli scorsi.
- E’ di proprietà del Decano, lui l’ha nascosto in una libreria segreta, dove custodisce tutti i libri che la Chiesa ha messo all’indice nel tempo – Spiegò Mastro Titta.
- Dobbiamo cercare bene la formula. Per fortuna che di Magia Bianca ne so abbastanza, la troverò molto prima di quanto avreste potuto fare voi.
La Veggente sfogliava le pagine di pergamena del vecchio libro, con rispetto, per non causare danni in un tomo così prezioso.
-Credo che ci siamo! – Esclamò alla fine.
Cecilia e i due Vampiri stavano lì impietriti, ascoltando attentamente le parole della Veggente.
Lei, prese vari pezzi carta e vi copiò sopra le parole per allontanare la creatura malvagia e quindi neutralizzare il fuoco magico. Ne diede uno ciascuno e si raccomandò di seguire attentamente le sue istruzioni.
Cecilia doveva prendere una rete, nel caso quasi certo che la strega, apparisse sotto forma di corvo.
I due vampiri dovevano tirarla sull’Uccellaccio e nel frattempo tutti insieme pronunciare le Parole.
A notte fonda, uscirono tutti, anche la Veggente che non lasciava mai il suo appartamento, per recarsi nei vecchi lavatoi del lotto di Cecilia.
Arrivati davanti alla porta, s’accorsero che era chiusa da un grosso lucchetto.
Lestat e Mastro Titta, senza troppo sforzo, usando la loro abilità nell’aprire e scassinare serrature, aprirono la porta.
La scena che si presentò ai loro occhi fu tale che Cecilia, scoppiò in un pianto dirotto.
Mario, abbandonato per terra, completamente inerte, aveva gli occhi sbarrati su quel fuoco. I suoi abiti bruciacchiati, lasciavano intravedere parte del suo corpo coperto da ustioni. Aveva lottato e tentato di liberarsi, invano. C’era urgente bisogno di sangue per farlo rigenerare, ma prima occorreva neutralizzare il fuoco.
- Vecchia, smettila! – Esclamò Lestat in tono cattivo, rivolto a Cecilia.
Il vampiro, alla vista di Mario ridotto in quelle condizioni, stava perdendo il controllo, impotente davanti alle verdi fiamme. Il pianto di Cecilia lo irritava non poco.
Mastro Titta sfoderò il canini per la rabbia che lo stava assalendo.
Soltanto la Veggente era rimasta fredda e controllata.
- Non scordatevi il nostro piano. Riprendete tutti il controllo di voi stessi – Pregò rivolta ai tre.
Cecilia s’asciugò lo lacrime col dorso della mano e tirò fuori la rete dalla borsa. In una mano reggeva la rete, nell’altra il foglietto con la formula.
Gli altri due si tennero pronti. La strega non si fece attendere. Apparve dapprima un lieve bagliore, poi, come era successo nell’antica necropoli, la proiezione del suo corpo.
S’avvicinò ai due vampiri, cercando di attrarli a sé, così come aveva fatto con Mario.
Lestat e Mastro Titta, guardarono la Veggente e quella attaccò a recitare la formula:
“Repello te, spritus nequam; tibi denuntio
per Deum verum, ut exeas ac discedas ab
hoc loco, neque huc unquam redeas; tibi
impero in nomine Illus qui te superavit
ac devicit in patibulo crucis, cujus virtute
in aeternum revinctus fuisti et allegatus.
Tibi praecipio ne unquam deinceps omnes
habitantes in hoc habitaculo perturbes,
in nomine Dei. Amen. Visita quaesumus
Domine,habitationem istam, et omens
insidias inimici ab ea longe repelle;
Angeli tui sancti habitent in ea, qui nos
in pace custodiant et benedictio tua sit
super nos semped.”
All’unisono con lei, anche Cecilia e i due Vampiri iniziarono a recitare. Per Lestat e Mastro Titta fu molto doloroso fisicamente, ogni parola era un tormento e faceva loro sfuggire un lamento. La formula era contro tutte le creature malvagie e loro erano annoverate tra queste. Il fatto che stessero agendo per il bene, non li annientò ma la sofferenza fu grande, anche per Mario, già profondamente provato.
Alle prime parole della formula, come la Veggente aveva previsto, la Strix si trasformò in Corvo e cercò di attaccarla agli occhi.
I vampiri, rapidissimi anche se molto sofferenti, le tirarono addosso la rete che era stata impregnata nel fumo delle erbe bruciate: mirra, gelsomino, angelica, cannella, alloro e artemisia: le erbe della purificazione, quelle che si trovavano inizialmente nella tomba e che la Veggente aveva continuato a bruciare nel suo braciere.
Il Corvo lanciò un grido disperato, tentando di liberarsi col becco dalla rete.
Lestat e Mastro Titta, la gettano nel fuoco magico al quale la Veggente aggiunse le erbe.
S’alzò una fiammata fino al soffitto ma stranamente non lasciò traccia. La Strega bruciando, prese per un attimo forma umana, poi tornò corvo. Lei vampiro primordiale, fu vittima del suo stesso incantesimo. Non ne restò che un mucchietto di cenere e soltanto quando l’ultima piuma fu incenerita, il fuoco cessò.
Mario fu soccorso e Cecilia, vedendolo in quello stato gli offri il suo sangue. Lui non voleva toccarla, continuava ad allontanarla da sé, ma la vecchia sora Cecilia fu irremovibile. Gli offrì il suo polso e lui bevve qualche goccia di quel sangue, tanto da potersi alzare e tornare a casa sua. Per il resto avrebbero provveduto i suoi compari. Su questo però, era meglio che Cecilia non approfondisse troppo
Il grande gesto d’amore di Cecilia, mescolando il suo sangue con quello del Vampiro, li legò indissolubilmente.
Notti dopo, tre loschi figuri, furtivamente scavarono una buca profonda, in un non precisato luogo della Garbatella. Dentro vi posero un’urna che conteneva le ceneri della Strix. La Veggente l’aveva sigillata con piombo fuso, mescolando alle ceneri, quelle delle erbe bruciate mentre pronunciava un’antica formula, che avrebbe dovuto tenere imprigionato, lo spirito malvagio per sempre.
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