A te navigante...

A te navigante che hai deciso di fermarti in quest'isola, do il benvenuto.
Fermati un poco, sosta sulla risacca e fai tuoi, i colori delle parole.
Qui, dove la vita viene pennellata, puoi tornare quando vuoi e se ti va, lascia un commento.

lunedì 25 novembre 2013

lettera 32




Le lettere cadono leggere, accavallandosi le une alle altre, piccole farfalle stanche.
Lievi si posano sul bianco immacolato, riprendono fiato tra interpunzioni e barre di spazio. Ognuna sa cosa rappresenta, ben conscia del suo valore. Ognuna conosce il suo posto e ne prende possesso, da bravo soldato esegue l’ordine.
La macchina da scrivere ne sfornava, a ritmo concitato.
Tic, tic, tic.
Il rumore risuonava nel silenzio immenso della stanza. Rimbombava sulle pareti, scivolava sui pavimenti, rintronava nelle orecchie. Il ticchettio era un ritmo incessante di tamburo ancestrale, pescava melodie dai meandri contorti della mente.
Lontano i suoni ovattati svanivano fermandosi fuori dai vetri delle finestre offuscate.
Lui immerso nel fumo di sigarette a basso costo, col mozzicone ancora in bocca che sputava cenere, batteva e batteva sui tasti.
Tic, tic, tic.
Le mani era sporche dell’inchiostro del nastro, che a volte s’inceppava facendo incastrare i martelletti tra loro. Le lettere non uscivano e la pagina si sporcava. Con stizza, lui, appallottolava il foglio, pieno a metà. Lo gettava nel cestino, colmo di altre sventurate storie abortite. Cercava spasmodicamente i fiammiferi e ipnotizzato dalla fiammella tremolante, prima di scottarsi le dita, accendeva la bionda, così come amava definirla, dal tabacco chiaro e giallastro.
Ricominciava da capo, mettendo un foglio bianco, intonso e immacolato. Di nuovo le lettere si allineavano come tanti soldati sul campo di battaglia delle idee.
Tic, tic, tic.
La pila di fogli accatastati in duplice copia, era diventata una piccola torre, che pendeva da un lato, precariamente ferma prima di crollare in mille fogli sparsi dalle lettere scomposte.
La parola fine era di là da venire, il libro aveva preso forma, ma stentava a raggiungere una conclusione.
Lui, totalmente preso dallo scrivere, aveva un aspetto trasandato, la barba lunga di qualche giorno, gli occhi arrossati dal fumo e dalla luce della piccola lampada a lato. Si era dimenticato di mangiare, ed era dal mattino prima che non toccava cibo, non curandosene, continuava a battere sui tasti.
Non si era neanche rivestito, portava ancora il pigiama da almeno tre giorni, macchiato sul davanti dal caffè, che gli si era rovesciato dopo un colpo di tosse da fumo bulimico.
Tic, tic, tic.
La macchina da scrivere macinava lettere, i giorni avanzavano lenti, lui dimagriva sempre di più, dimenticandosi persino di dormire.
Fu il bianco
Bianco accecante, bianco in cui la parola fine non riusciva ad imprimersi. Il bianco di un foglio completamente intonso. Era diventata una malattia la sua. Il dovere di finirla, la storia e forse la vita, un peso insopportabile da cui, ormai era completamente schiacciato. La figura esile, sporca, dalla voce che ormai non riusciva più ad uscire, fortemente arrochita, concentrava tutta la sua energia nelle dita che improvvisamente si fermarono, inciampando in un verbo, inchiodate da un punto esclamativo.
L’ impotenza lo prese alla gola, lo strangolò lentamente, paralizzandolo nell’atto di muovere le dita.
Una settimana dopo, era ancora fermo, con le mani sulla tastiera, fuori da ogni realtà, diventato parte unica con la sua macchina da scrivere. Fu ricoverato nel reparto psichiatrico dell’ospedale cittadino.
La macchina da scrivere, ormai muta, a poco, a poco si riempì di polvere, che granello dopo granello, aveva sostituito il volteggiare leggiadro delle lettere.
Fu presa, la cara, vecchia lettera 32, portata al banco dei pegni, rimase lì, dimenticata per tanto tempo sul bancone. Era attorniata da miserrimi oggetti, strappati dolorosamente per riempire piatti vuoti.
Un giorno, un anziano signore, aggirandosi tra polverosi scaffali, vide una valigetta verde, spezzata in due da una linea nera, era aperta, e dentro, la vecchia lettera 32, i tasti fermi e inceppati, il nastro disseccato e sterile. Sembrava invitare il vecchio signore, voleva sbarazzarsi dell’aura di maledizione che l’aveva circondata e ricoperta nel trascorrere del tempo. Si sentiva in colpa la vecchia macchina da scrivere, erano suoi i tasti che si erano bloccati e ribellandosi, non si erano più voluti allineare come soldatini obbedienti.
Il vecchio signore, dopo averla osservata, ci passò un dito sopra, per togliere la patina di polvere, lo alzò sporco osservandolo. Provò a pigiare su un tasto, abbassò quello delle maiuscole, fece scorrere il carrello da sinistra a destra, cambiando interlinea. La macchina funzionava, con un nastro nuovo di zecca era pronta a ricominciare il suo ticchettio.
Il vecchio signore, stette parecchio tempo a patteggiarne il prezzo. Era uomo di mondo, sapeva come funzionano certe trattative. Una vecchia lira alla volta, gliene tolse parecchie, molte di più degli anni che la vecchia macchina da scrivere si portava nei tasti, adducendo che il modello era ormai fuori produzione da molto tempo.
Il venditore del banco dei pegni, pur di togliersi quel rottame di torno, acconsentì all'ultimo prezzo proposto. Una stretta di mano finale e la valigetta fu portata via.
Era contenta la vecchia Olivetti lettera 32, cominciava per lei una nuova vita.
Finì come dono nelle mani di una giovinetta, futura dattilografa, incerta nel battere sui tasti, accavallava lettere e sbagli di battitura.
Ti..c Ti...c Ti..c.
Copiava dai libri, frasi e parole, esercitandosi sulla tastiera “cieca”. Serviva a scrivere velocemente ma lei, di veloce non aveva ancora nessuna tecnica.
Il ticchettio incerto, si fermava zoppicando su una doppia elle, che nella distrazione e nella troppa forza messa nel battere i tasti, era diventata tripla. Una piccola pennellata di correttore bianco e ricominciava da capo.
Ti...c Ti....c Ti....c
Le mani sporche dalla carta carbone, lasciavano impronte ai lati del foglio che sembrava un campo di battaglia, macchie nere su macchie bianche di correttore. In comune con il precedente proprietario, ella aveva il cestino pieno di fogli accartocciati per le errate battiture.
Ogni tanto si alzava, sgranchendo le mani, faceva scricchiolare le dita, con un rumore fastidioso, una falange alla volta. Le intrecciava tra loro girando le mani verso l'esterno e allungava le braccia un po' anchilosate per la mancanza di esperienza. A volte le facevano male i polsi, li teneva irrigiditi sui tasti di posizione: ASDF, JKLM per paura di perderli e sbagliare tutta l'impostazione.
Ti...c Ti...c Ti...c
“Affama la massa” la frase insensata copriva pian piano tutta la riga. A capo, ricominciava finendo la seconda e poi di seguito ogni fine riga, il tin del campanello che annunciava la fine corsa carrello, la leva veniva spinta e la ragazza ricominciava ancora, e ancora.
Tic tic tic.
Il rumore dei tasti era sempre meno incerto, le frasi più lunghe, la velocità aumentava con la scioltezza delle mani.
Il pollice dava gli spazi e un poco di tregua. Una piccola leva a lato, aumentava la resistenza dei tasti alla percussione, per allenarsi arrivò al massimo consentito.
Tic, tic, tic.
Velocissime le dita percuotevano i tasti e il rumore era come una melodia di pianoforte per le orecchie della ragazza che compiaciuta per i suoi sforzi ora sorrideva contenta.
Ripose alla fine la sua Olivetti portatile nella custodia, le sarebbe servita per qualche testo da scrivere, qualche lettera da comporre che sarebbe invariabilmente iniziata con: Gentile Signora/Signore, Spett. Ditta..., con data ed oggetto.
Poi, la vecchia borbottona tacque per sempre. Era stata riposta nello scaffale alto di un vecchio armadio. Ci si dimenticò completamente di lei che soffocava chiusa in quella valigetta. Pensava: “quando sei vecchia non sei più buona a nulla” e tristemente si rassegnò. Era stata sorpassata dalle affascinanti e velocissime macchine da scrivere elettriche, silenziose e molto meno faticose, i cui tasti bastava sfiorare.
La tecnologia spazzò via anche loro, e via via, sostituzione su sostituzione sparì  anche il vecchio mestiere della dattilografa, che aveva ispirato figure cinematografiche e sostentato ragazze di un tempo che fu.
Ora la vecchia Lettera 32 Olivetti, ha ritrovato una nuova collocazione. Un soprammobile un po' retrò, con cui un'antica ragazza ha abbellito un vecchio mobile, posandola come una reliquia su un pizzo macramè. Ogni tanto, abbassa il tasto delle maiuscole, sfiori con l'indice le lettere e come se il tempo si riavvolgesse insieme al rullo, le sembra di tornare ai vecchi esercizi: “Mamma ama la daga”.


4 commenti:

  1. Quante volte ho digitato pensieri sulla vecchia Olivetti, quante volte le mie dita si sono incastrate nei tasti, quante volte ho aggiustato il nastro incastrato! Ora tutto ciò non esiste più e digito su di una tastiera senza fatica e cancello gli errori senza la gommina, con un semplice clic, posiziono le parole corrette senza difficoltà nel punto giusto!!!!!!!!!!!!!!! Un saluto affettuoso
    M.G.

    RispondiElimina
  2. Ciao Picetto, è vero, un gran da fare nei tempi andati. Oggi è tutto più rapido e pratico, però un po' di nostalgia ti resta

    RispondiElimina
  3. Ciao Carla, ti scrivo solo ora, dopo quasi 3 anni, perché ho scoperto solo ora il tuo racconto appassionato e volevo farti i miei complimenti.
    Io non ho avuto le esperienze vostre sulle macchine da scrivere, quando ho finito le scuole io era la metà degli anni '80 e cominciavano ad esserci i primi computer che prendevano il posto delle macchine da scrivere e se avevi fortuna potevi ancora trovarne qualcuna elettrica.
    Ora dopo tanti anni, complice anche un mio amico, sono diventato possessore di 2 Olivetti, una è una Lettera 22 e l'altra è una Lettera 32, quello che mi piace delle macchine meccaniche è la fisicità del gesto, il ticchettio quasi ipnotico, la possibilità di usarle anche senza corrente e la facilità di ripararle.
    Sia chiaro non rinnego i computer e tutte le meraviglie che hanno portato con se, dico solo che dovremmo ogni tanto rimettere mano alle vecchie tastiere manuali, provare l'ebrezza di una volta e staccare la spina, potrebbe essere perfino terapeutico contro lo stress quotidiano secondo me.
    Grazie ancora per il bel racconto.
    Alessandro Ruoso

    RispondiElimina
  4. Una macchina mitica e divertente da usare... quando la utilizzi sei obbligato a concentrarti su un solo compito: SCRIVERE, senza essere distratto da dispositivi multitasking! Io mi diverto tantissimo con la mia Lettera 35! Fanne buon uso!

    RispondiElimina