Una tavola lunga e grande da apparecchiare. Eccola la bella tovaglia rossa di cotone con intarsi in pizzo color crema, odorava di sapone e di bucato. Mia nonna metteva sempre saponette alla lavanda nei cassetti, per profumare la biancheria. Ancora oggi, dopo tanti anni che lei non c’è più, l’odore di saponetta persiste nel cassettone.
La vigilia di Natale, come sempre, era un evento per radunare tutta la famiglia: i cinque figli ed i 10 nipoti. Si apparecchiava la tavola, mentre nell’aria si annusava l’infinità di profumi che provenivano dalla cucina.
C’erano le immancabili frittelle miste di broccoli e carciofi, tipiche della tradizione romana, i filetti di baccalà e il baccalà in umido, che mai doveva mancare.
Io guardavo nonna Anna con curiosità, che tutti però chiamavamo Nannina, un nome ormai in disuso, che fa venire alla mente le vecchie popolane di una Roma ormai sparita.
La vedevo intenta ai fornelli, mentre l’olio nella padella sfrigolava, pronto ad accogliere le prime frittelle da dorare.
Mi accoccolavo sulla sedia all’angolo, avrò avuto nove o dieci anni, quella sedia che lei , nella sua minuscola cucina, aveva posto tra il tavolo e la credenza. Mentre era tutta affaccendata, le facevo domande,
Era bello ascoltare le sue storie e mentre raccontava, cercavo di immaginare l’epoca lontana, quando sua madre era una ragazza, quando non c’era l’elettricità, i lampioni stradali erano a gas e venivano spenti dai lampionai.
Sua madre Maria Luisa, chiamata da tutti per generazioni Gigia, era originaria di Ancona.
Apparteneva ad una famiglia borghese di fine ottocento, suo padre possedeva alcuni pescherecci.
Si era sposata giovane, ed aveva un figlio di pochi mesi, era molto felice. Purtroppo il fato era in agguato, e come nei romanzi d’appendice dell’ottocento, una grande disgrazia la fece restare sola.
Mentre continuava il suo racconto, la nonna sbucciava le patate che avrebbero completato la preparazione del baccalà all’anconetana, poggiando una patata pulita nel recipiente, nonna Nannina continuava nel racconto.
Cercando di dimenticare il suo grande dolore, nonna Gigia, raccolse alcune sue cose e partì per Roma, qui incontrò il mio bisnonno: Costantino soprannominato nonno Cappellone, perché presidente della società dei “Cappelloni” una specie di consorzio di vetturini di cui ovviamente faceva parte. Gigia si risposò, ma non riusciva a dimenticare la sua Ancona, così ad una figlia dette il nome di Deira.
Finito di sbucciare le patate, nonna iniziava a sbucciare la cipolla, sfilava il sedano, raschiava la carota, poi tritava tutti gli odori aggiungendo alla fine uno spicchio d’aglio, che sarebbero stati la base del suo baccalà.
Prendeva un tegame di coccio marrone, mi chiedeva di passarle la bottiglia dell’olio, raccomandandomi di non farla cadere, che erano disgrazie a non finire. Queste sue numerosi superstizioni, ci facevano sempre sorridere.
Mentre preparava il soffritto, la incitavo a continuare la sua storia. Nonno Cappellone, guidava una carrozza a cavalli, si era ai primi del novecento, era povero, come la maggior parte dei romani dell’epoca, così aveva acquistato un cavallo da un circo: Forbicione, cavallo molto affezionato al suo padrone, ma con un piccolo difetto, appena sentiva una musica, si metteva a ballare con tutta la carrozza, creando non pochi problemi al mio bisnonno, che ormai troppo affezionato, non riuscì più a sbarazzarsene.
Il bisnonno lavorava di notte, perché il letto era uno solo, e tutta la famiglia ci dormiva dentro, chi “da capo” chi “da piedi” come diceva la nonna, litigandosi le coperte. Al mattino, quando suo padre rientrava, prendeva il loro posto, e guai a fare il più piccolo rumore.
Nel frattempo il soffritto era bello dorato, nonna adagiava i pezzi di baccalà ammollati e tagliati a quadrati di circa 5 cm per lato, lasciati una notte a bagno nel latte.
Li faceva cuocere a fuoco dolce per una decina di minuti.
Mentre il baccalà cuoceva, continuavo a tempestarla di domande, sulla sua infanzia.
Nonna Gigia, che un tempo era stata maestra d’asilo, e che aveva vissuto nel lusso, si era ritrovata a doversi rimboccare le maniche, era stata costretta ad aiutare suo marito, lavando la biancheria dei ricchi. All’epoca il bucato si faceva con la cenere, facendolo bollire in pentoloni enormi, aggiungendoci dell’alloro per profumare, il sapone come lo conosciamo noi non esisteva, l’olio di gomito era il vero sbiancante.
Forse la mania di mia nonna di profumare la biancheria, ha avuto origine da sua madre.
Intanto nonna tornava al tegame, passati i dieci minuti, prendeva il vino bianco, da un fiasco di vetro verde con la paglia sotto, anche questo è un oggetto ormai estinto, chiuso ormai nel cassetto dei ricordi.
Versava mezzo bicchiere di vino e lasciava evaporare, dopodiché aggiungeva dell’acqua tiepida a coprire il baccalà aspettando che pian piano evaporasse . Impaziente di arrivare alla fine della storia continuavo a punzecchiarla, chiedendo insistentemente quando sarebbe arrivato il baccalà. Nonna Nannina non si scomponeva riprendendo il racconto da dove l’aveva interrotto. Lei aveva frequentato la scuola fino alla seconda elementare, perché come diceva sempre sua madre, bastava saper scrivere il proprio nome e saper fare le operazioni aritmetiche. A sette anni iniziò a lavorare in una stireria, stirava decine e decine di colletti di camicie inamidati, dovevano essere perfetti, naturalmente il ferro era a carbone.
Tanto per arrotondare, l’altra mezza giornata la passava a portare in braccio un neonato, figlio di persone benestanti, perché a quel tempo non usavano carrozzine, ed era considerato disdicevole per una madre ricca, portare in braccio il proprio figlio. Mia nonna era piccola e mingherlina, l’alimentazione era carente, faticava non poco a tenere le braccia ben tese per sostenere il neonato, senza sgualcire il porte enfant di raso celeste.
Intanto l’acqua nel tegame era evaporata quasi del tutto, nonna Nannina, prendeva i pomodori pelati che nel frattempo aveva provveduto a tagliare a filetti e li aggiungeva al baccalà. A questo punto aggiungeva anche le patate tagliate a spicchi, un pizzico di sale, stando molto attenta, perché con il baccalà e il sale c’è poco da scherzare.
Durante la sua infanzia nonna ha svolto molti lavori, a servizio da una vecchia bisbetica signora che finite le faccende, per non farle perdere tempo, le faceva lucidare le posate d’argento con la sabbia, o pulire per l’inverno un sacco di lenticchia di montagna, quella piccolissima. Poi aveva lavorato per poco tempo alla Cereria in via della Lungara, dove si facevano candele, si alzava che era ancora notte fonda, insieme a sua madre e sua sorella Emilia, mi raccontava che per il sonno, camminava ad occhi chiusi facendosi trascinare per la strada.
Nella sua infanzia c’erano anche momenti gioiosi, allora i bambini si contentavano di pochissimo. Lei abitava vicino alla Scala Santa a S. Giovanni, e dalla finestra vedeva l’orto dei frati. A volte nei prati che un tempo circondavano la zona, lei e le sorelle raccoglievano la misticanza, l’insieme di erbe da condire con olio ed aceto da mangiare in insalata. Non avendo né l’uno, né l’altro, avevano escogitato un metodo per farsi dare almeno l’aceto dai frati.
Deira che era la più intraprendente, bussava e chiedeva una boccetta d’aceto, perché sua sorella Anna era svenuta. Il frate portinaio, ormai aveva capito tutto, ma fingendo di preoccuparsi, le portava l’aceto e a volte le regalava anche qualche pezzo di pane.
Intanto il baccalà con le patate in umido era ormai pronto. Nonna lo disponeva delicatamente nel piatto di portata cospargendolo di prezzemolo tritato fine. Il campanello suonava, erano i miei zii ed i miei cugini che arrivavano alla spicciolata.
“Nonna ma il baccalà allora?” Chiedevo alla fine io. Nonna arrivò alla conclusione. Sua madre, non avendo tanti mezzi a disposizione, aveva promosso il baccalà all’anconetana, il piatto dei poveri di un secolo fa, a importante pietanza della vigilia di Natale.
La tradizione ancora continua oggi in noi nipoti.
Bellissimi ricordi, profumi e colori presenti nella nostra memoria che speriamo di trasmettere ai nostri figli. Buon anno Kamo a te e fam, un abbraccio, Adriana
RispondiEliminaBuon anno anche a te e grazie della visita
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