Nel Paese di Nassenza avevano da poco eletto il Presidente. C'era stata una battaglia politica piuttosto cruenta tra lui e i suoi antagonisti. In giro ancora si potevano leggere i cartelloni incollati alle pareti scrostate dei palazzi, sui pali della luce arrugginiti o nei vicoli pieni di spazzatura.
Ognuno gridava a gran voce che se fosse stato eletto lui, tutto sarebbe tornato a brillare, una mano di vernice avrebbe cancellato incurie e nefandezze passate. Votate me, gridava l'uno, cercando di affossare l'avversario con colpi bassi e voce grossa.
In tutto quel guazzabuglio di parole gridate e promesse sparate, la gente non seppe più raccapezzarsi.
Si leggevano gli slogan, si studiavano i programmi ora dell'uno, ora dell'altro e come in una grande competizione sportiva, ognuno si era schierò come meglio gli pareva.
Pian piano però, tutti passarono dalla sua parte. Lui sapeva parlare meglio, lui prometteva quello che tutti avrebbero voluto chiedere al nuovo Presidente. E aveva vinto.
Alla cerimonia d'insediamento sfoggiava una giacca nera che lo faceva somigliare ad un grande corvo con gli occhiali. Il sorriso stampato fu il suo tratto caratteristico, sembrava che di denti ne avesse il doppio rispetto ad un normale essere umano. La gente applaudì fino a spellarsi le mani e tutti gridavano “Signor Presidente!”.
Passò del tempo ma nulla cambiò nel Paese di Nassenza. La gente ricominciò a lamentarsi che nessuna cosa andava per il suo verso ed era tutta colpa del Presidente bugiardo e corrotto che tanto aveva promesso ma nulla faceva.
Qualcuno iniziò persino a fare qualche conto ma i conti non tornavano mai. Mandatelo a casa! Gridava la gente, è peggio degli altri che l'hanno preceduto. Noi paghiamo le tasse. Non proprio tutti a dire il vero ma anche coloro che non l'avevano mai fatto, illusero di averlo fatto e accampavano più diritti di tutti. La gente ormai stufa scese in piazza, cominciando ad inveire contro l'ormai odiato Presidente. Lui cercò di sedare gli animi, dati alla mano. Ma i dati nulla significavano per la gente. Allora si riunì in consiglio con tutti i Senatori, cosa poteva fare per tornare nelle simpatie di tutti? Vai a casa, gli suggerì qualcuno in opposizione, lascia governare noi, ma lui fece orecchie da mercante. Il mercanteggiare gli riusciva molto bene e promettendo a destra e a manca li mise tutti d'accordo. “Governo da solo e vi farò tutti ricchi!” i Senatori, era inteso.
Venne divulgato un proclama, da oggi il Presidente dovrà essere chiamato sua Eccellenza il Grande Dittatore di Nassenza.
La gente rimase perplessa ma poi ragionandoci su, si disse che uno era meglio di tanti, che la colpa per le sue mancanze era dei Senatori e che ora finalmente si ragionava. Ci voleva la mano forte, carota e bastone per piegare i riottosi e ora il Paese, finalmente, sarebbe andato a gonfie vele. I conti sarebbero stati sanati e anche chi non aveva mai pagato tasse sarebbe stato costretto a sputarle fino all'ultimo centesimo. Donne, uomini e bambini applaudirono fino a spellarsi le mani gridando “Viva sua Eccellenza il Grande Dittatore di Nassenza”.
Il Grande Dittatore non più Presidente, non aveva scordato che la causa dei malumori passati era tutta nei conti che non tornavano. Visto che ormai le decisione le prendeva da solo, tra gli inchini degli ex Senatori, decise così, su due piedi, mentre era intento a farsi la barba. Oggi abolirò la matematica! Così da un momento all'altro la grande scienza dei numeri fu messa fuori legge come una delinquente.
La milizia armata, da lui istituita un mattino in cui le idee gli venivano particolarmente prolifiche, irruppe dentro le aule e gli insegnanti furono arrestati su due piedi.
Qualcuno, ben informato, quel giorno non si presentò in classe con la scusa del naso colante. Si teneva ben nascosto, aiutato dai colleghi di lettere ma sarebbe durata poco, perché era stato affisso un bando, fuori delle scuole, che chiunque avesse aiutato i matematici, fossero anche fisici o chimici o chiunque addetto ai conteggi, tavole periodiche o numeri primi sarebbe stato arrestato a sua volta. Non si conoscevano ancora i termini della pena ma si mormorava che fosse molto severa e che qualcuno rischiava persino la morte.
Gli arrestati furono allineati tutti nel corridoio, derisi e insultati davanti ai loro studenti che felici per il provvedimento se la ridevano a crepapelle additando ora l'uno, ora l'altro, in particolare colui che si stava orinando addosso per la paura.
Studenti dovete denunciarli, che nessuno si nasconda in altre discipline di studio, li scoveremo tutti.
Poi li portarono via, in fila indiana e ammanettati.
Di proclama in proclama i divieti si moltiplicarono, o meglio sarebbe dire, visto che il termine era diventato fuori legge si accavallarono.
Dapprima la gente restò indifferente, anzi ne fu contenta. Meglio così, si dissero tra loro. Quelli che non pagavano le tasse ne gioirono, ora non si potevano più conteggiare. Le merci vennero barattate, perché il denaro ora non aveva più ragione d'essere, non si poteva conteggiare. Un maglione di lana, valeva quanto due guanti e cinque paia di mutande. Non fu semplice e ne scoppiarono risse e liti furibonde perché se la lana era sintetica, il maglione valeva meno e chi avrebbe stabilito con quante mutande scambiarlo? I negozianti furbi, mentivano sulla qualità, come sempre, ma anche gli acquirenti si facevano gabbare poco. Così scesero tutti di nuovo in piazza ma la milizia armata, sparò a caso sui manifestanti, qualcuno ci rimase secco e tutti tacquero per sempre.
Nessuno osò più fiatare, né sul valore dei maglioni, né su altra cosa. Non si disturba il Grande Dittatore con quisquilie di poca importanza, spiegarono alcuni fedeli al regime, doveva essere un esempio per tutti i detrattori. La forza ci vuole con certa gente! Gridava la folla a gran voce.
Le tavola pitagorica veniva spacciata dai pusher nei vicoli bui e puzzolenti. I ragazzetti, poco inclini alla disciplina, quelli che prima del proclama si lamentavano dei compiti a casa, delle operazioni da eseguire, dei lunghi conteggi da preparare per il giorno dopo, ora che la materia era fuori legge, cominciarono ad apprezzarla, qualcuno iniziò ad amarla e la notte, con le torce accese sotto le coperte, studiavano i logaritmi come mai avevano fatto, stando attenti a non farsi beccare dai genitori. Le tavole logaritmiche costavano un quantitativo considerevole di verbi irregolari da mandare a memoria, vocaboli stranieri e frasi idiomatiche ma non si potevano conteggiare e qualche volta a causa di questo, molti ci rimisero vocabolari interi. Il valore di tali merci di contrabbando proibite salì alle stelle e le mutande non bastarono più.
I libri contabili, gli astrusi conti di fisica e tante altre cose attinenti furono bruciati in piazza, in un grande rogo significativo. Poi la piazza fu intitolata alla “notte dei numeri in fumo” e lì fu posta una targa dorata commemorativa.
Sparirono tutti coloro che coi numeri avevano avuto a che fare, anche soltanto per un giorno e coloro che si sbagliavano ancora a nominare i numeri e che non avevano imparato le nuove terminologie, i vecchi per intenderci. Ne scomparvero molti ma nessuno poté conteggiarli ma tanto erano vecchi e ormai non servivano più a molto, nessuno ci fece caso.
Intanto i vicoli bui erano sempre più ricoperti di rifiuti, i lampioni arrugginirono fin quasi a cadere a terra ormai spenti e i muri delle case cadevano a pezzi. Soltanto le dimore degli ex Senatori brillavano d'oro e d'argento per non parlare dell'immenso palazzo del Grande Dittatore che era l'uomo più ricco del paese, protetto dalla sua milizia armata, mentre la gente moriva di fame ma non osava protestare. Dopo la matematica furono abolite molte altre cose ma tutti dovevano dar a vedere di esserne felici e contenti. Alcuni coraggiosi cominciarono a riunirsi di notte clandestinamente, rischiando l'arresto. I vecchi insegnanti di matematica, sfuggiti alle retate, insegnavano di nascosto la materia proibita ai bambini che neanche sapevano cosa fosse, nati prima della grande proibizione. Essi rischiavano la morte, perché quella era la pena per il reato d'insegnamento della matematica, la scienza dei numeri doveva essere dimenticata nei secoli e neanche accennata nei libri di storia.
Il malcontento celato ma non domato, saliva dalle masse e si propagava come olio sul mare. Una macchia piccola che ondeggiando diveniva una distesa.
Rivoluzione!
Alla fine si rivoltarono tutti contro il Grande Dittatore di Nassenza ma non fu un'azione di due giorni, ci vollero tempo e molto sangue. In primavera la folla lo imprigionò e lo spedì nel paese dei Dittatori perduti, una piccola isola in mezzo all'oceano, da dove non poteva più scappare.
Bisognava formare un nuovo governo e che fare?
Indissero di nuovo le elezioni, ci andarono tutti in massa a votare, nessuno escluso perché per troppo tempo avevano perso il gusto della democrazia. L'azzuffarsi per delle idee, assecondare delle proposte e alla fine vinse quello che le aveva sparate più grosse di tutti.
La vita continuò come era sempre stata, la matematica fu riabilitata con tutti gli onori e così gli insegnanti della materia. A coloro che persero la vita in nome della scienza, furono dedicate strade e piazze. Per qualche tempo le cose migliorarono, la città assunse un aspetto più florido ma durò poco. Qualche anno dopo, i muri tornarono a sgretolarsi, i pali si arrugginirono di nuovo. La gente tornò a lamentarsi che tutti rubavano e qualcuno, forse nostalgico, iniziò a dire che forse ci voleva la mano forte.
Il cerchio si chiuse sul paese di Nassenza.
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