A te navigante...

A te navigante che hai deciso di fermarti in quest'isola, do il benvenuto.
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Qui, dove la vita viene pennellata, puoi tornare quando vuoi e se ti va, lascia un commento.

martedì 27 ottobre 2015

Il predicatore

Alexander Daniloff: il Predicatore


Scritto ad aprile 2013

Lo stadio era gremito ma non si trattava di una partita di derby. Decine di migliaia di persone riempivano gli spalti in religioso silenzio. Un silenzio sconosciuto in un luogo come quello.
In alto gli elicotteri sorvegliavano la zona, volando in circolo. Il rumore delle pale era assordante ma non disturbava Lui. 
Su un palco allestito per l’occasione, parlava con una voce calma, pacata, una voce che infondeva pace e serenità.  Gli altoparlanti la amplificavano e rimbombando tra gli spalti, giungeva alle orecchie dei presenti.
Qualcuno piangeva, travolto dall’emozione. Altri pregavano a testa bassa, le mani giunte. 

La chiesa odorava d’incenso e cera fusa. Una melodia registrata spandeva nell’aere note lontane di musica sacra. La donna era inginocchiata davanti all’altare, profondamente concentrata, sembrava avere un intenso dialogo con il Padre Celeste.
Un ragazzo, appena adolescente, l’osservava da lontano. Il suo volto esprimeva una sofferenza celata. Un volto antico, indefinibile dai tratti mediorientali.
Lei non s’accorse della sua presenza e continuò nelle sue orazioni. Lente giaculatorie le uscivano di bocca, mormorii di labbra. 
Una tonaca nera come la notte entrò,  le si sedette accanto. Lui li osservava ma nessuno dei due sembrava accorgersene.
I due rimasero a parlare per un tempo indefinito, il tempo che le candele, davanti all’immagine della Vergine Immacolata, si consumassero per metà in una solida pozza di cera fusa.
Lui, seduto in fondo, aspettava. La donna s’alzò, segnandosi col segno della croce, fece un breve distratto inchino davanti al Tabernacolo e gli passò davanti, come se lui fosse invisibile. Egli fissò i suoi occhi intensi in quelli di lei che, presa da un forte senso di disagio, affrettò il passo.
Il ragazzo s’alzò. Camminava lentamente verso l’altare. La luce del sole, proveniente dalle vetrate, in alto alla cupola, lo colpì. La sua figura, sembrava sfiorare il pavimento, tanto camminava silenziosamente e la luce dorata, ne metteva in risalto il volto affilato e gli occhi scuri. Occhi che, guardandoti, davano la sensazione di penetrarti nell’anima.
Fermo, fissava intensamente l’immagine di Dio. Un dio dipinto svariati secoli prima. 
C’era stato un tempo in cui l’uomo aveva temuto il Padre Celeste. Un tempo lontano, passato come un vortice di vento ciclonico e distruttivo che aveva smantellato il timor di Dio.
La tonaca gli si avvicinò, abbassò lo sguardo quando incontrò i suoi occhi. Gli chiese cosa stesse facendo. Lui lo guardò intensamente, come meditasse ogni parola che avrebbe detto. 
Sono qui per mio Padre. Chi è tuo padre figliolo? Chiese la tonaca, è forse uno degli operai che sta lavorando nel cantiere della nostra chiesa? No! Esclamò Lui. Parla dunque, chi è? Lo andrò a cercare, disse il prete. Il silenzio fu l’unica risposta che ottenne.
Da dove vieni? Da molto lontano e non aggiunse altro.
Dopo qualche istante in cui i due si fissarono, gli occhi dell’uno in quelli dell’altro, quasi a voler leggere ogni recondito pensiero, Lui chiese: tu sei padre? No, non nel senso stretto del termine. Sono padre di tutti, spiritualmente. Qual è il tuo nome, padre? Puoi chiamarmi Giacomo. Per tutti, sono il parroco.
Cosa fa tuo padre, ragazzo? Crea! Uno scienziato dunque? Molto di più. Il ragazzo poi, si chiuse in uno strano mutismo. Padre Giacomo, lo lasciò ai suoi pensieri o meglio, alle presunte preghiere, visto che era tornato a fissare intensamente l’affresco dietro l’altare maggiore.
Il parroco, prese con sé il ragazzo. Lo immaginò orfano, gli offrì un tetto e cibo in cambio di qualche lavoretto, a patto che frequentasse la scuola.
Gli anziani che la mattina si recavano ad ascoltare la messa, lo vedevano uscire con lo zaino sulle spalle, pieno di libri e quaderni. Aveva per tutti un sorriso e una parola di consolazione ma dal suo volto non si cancellava mai quell’espressione triste e quell’aria trasognata che lo fecero bollare dalle comari di parrocchia come strano e forse un poco ritardato.
Una mattina, due di loro erano intente ufficialmente a prestare servizio in sacrestia, in realtà prese da fitta conversazione, che non risparmiava nessuno, neanche Don Giacomo, ignaro di tutto.
Da dove verrà quello strano ragazzo? Chiese l’una all’altra. Non lo sa nessuno, dice di venire da una terra lontana. Io dico che è un po’ ritardato. Per me è un clandestino e non lo vuole dire per non essere rimpatriato. L’altra, dopo aver annuito, aggiunse, può darsi che provenga da un campo profughi palestinese, con uno di quei barconi carichi di gente. Hai sentito come parla? Ha una pronuncia straniera e  usa termini da persona istruita, poi ci mescola quel suo strano linguaggio. Penso che neanche capisca ciò che dice. Parole imparate ascoltando in giro. E’ possibile, e visto che frequenta ambienti di gente istruita, come il nostro Don Giacomo, a volte sembra un filosofo a volte un cretino. I bisbiglii vennero captati da una terza pia e devota donna, che passando nelle vicinanze in quel preciso istante, volle aggiungere la sua opinione. Non vi do torto, è uno strano ragazzo, però quello che dice a me piace. A volte mi sembra di ascoltare la voce di Dio. Le due si voltarono verso di lei e guardandosi tra loro in modo eloquente, fecero spallucce non considerando quell’ultima opinione espressa tanto candidamente.

Il ragazzo, considerato molto intelligente e volenteroso dagli insegnanti, viveva però isolato dai suoi coetanei. Ragazzi che conoscevano soltanto il linguaggio del consumismo, con pochi valori, fortemente smarriti in sé stessi, non trovavano nessun timone a cui aggrapparsi. Lo appellavano col nomignolo dispregiativo di “negro” o di “scemo”.  Lui, con quell’espressione apparentemente assente e malinconica, sembrava non farci caso.
Che ti guardi, Scemo! Era quella la parola che spesso chiudeva il discorso. Il suo sguardo, li metteva a disagio e incontrando i suoi occhi, profondi e innocenti si aveva sempre la sensazione che potessero indagare nei meandri nascosti della mente o dell’anima a seconda di come la gente percepiva il concetto e sempre più spesso la prima prevaleva sulla seconda.
Prete, perché la gente dice di credere? Figliolo, la gente che viene qui crede o almeno io voglio pensare che sia così. Lui, allora, fissava negli occhi il prete, e questi alla fine, non riuscendo a reggere il suo sguardo, abbassava gli occhi.
Tu credi, prete? Che domande fai? Io porto l’Abito e con questo il parroco chiudeva la discussione.
Soltanto quando il prete gli chiedeva del suo passato, il ragazzo si chiudeva in un ermetico mutismo. Nessuno sapeva realmente da dove venisse anche se ormai lo consideravano uno della parrocchia, a volte uno da compatire.
Studiava  come aveva voluto il parroco. Padre Giacomo avrebbe voluto anche che lui prendesse i voti, intuiva la grande fede che il ragazzo tentava di comunicare a modo suo. Lui, non aveva mai risposto a queste richieste, almeno non nel modo che avrebbe voluto il prete.
C’è grande carenza di vocazioni, ragazzo, gli diceva, tu saresti un bravo sacerdote. Non è l’abito che fa il monaco, gli rispondeva lui in modo sibillino. Non è questa la mia strada. Il prete a malincuore annuiva ma non voleva rassegnarsi. 
A volte, il prete l’osservava dalla finestra, mentre Lui era intento a correre dietro il pallone coi ragazzini della parrocchia, rideva e gridava felice, la bocca imbrattata di pane e cioccolato. Dimentico per pochi brevi attimi di chissà quale vita di stenti.
Un giorno, Lui, se ne stava fermo, guardando imbambolato il via vai concitato dalla sacrestia, per via della visita di un tale cardinale, pomposamente appellato con tutti i titoli, un principe della Chiesa. 
Ragazzo, che fai lì impalato? L’Apostrofò il parroco, nervoso per il grande evento. 
Il ragazzo silenzioso, lo fissava ma taceva. Il prete, spazientito: togliti di lì o renditi utile, gli gridò con stizza.
Il ragazzo per nulla turbato, chiese in un tono perentorio, che mai aveva usato con don Giacomo: Perché Cristo non aveva la tiara e non vestiva di porpora?
Ragazzo, che vai blaterando? Non vedi che non ho tempo! Gli rispose il prete. 
Lui, senza neanche ascoltarlo riprese, Cristo vestiva con gli abiti del suo tempo! Esclamò con un risentimento che meravigliò il prete. Perché allora il cardinale, non indossa jeans e maglietta?  Ragazzo non essere irriverente, il cardinale è principe della Chiesa! Rispose don Giacomo a questo punto, con la rabbia che gli montava dentro per l’irriverenza del ragazzo. 
Io non comprendo. Lo disse, provocando il prete. Cosa non comprendi? Cristo non ha predicato la povertà? L’uguaglianza? Certamente, ma non vedo cosa c’entri col cardinale. Il ragazzo fissò intensamente il prete negli occhi. Sprizzava scintille da quelle pupille nere come l’abisso. Il prete, non reggendo il suo sguardo, li abbassò e non parlò più. 
Il giovane uscì lasciandosi alle spalle un parroco perplesso e amareggiato ma distratto dal Cardinale. Fu il primo di una serie di episodi controversi. 
Passarono gli anni e il ragazzo, divenne un giovane uomo. Era una sera calda d’estate, poco prima della messa vespertina. Sedute ai banchi, davanti all’altare, le pie e devote donne della parrocchia, erano intente a recitare il rosario. L’Ave Maria, piena di grazia… Risuonava rimbalzando tra le navate vuote della chiesa. Faceva molto caldo e le donne, tentando di smuovere un po’ d’aria, agitavano all’unisono i variopinti ventagli.
Ad ogni cigolio della porticina laterale, le teste si voltavano tutte insieme, mentre le bocche continuavano con l’Ave Maria, un coro composto, che non perdeva mai neanche una parola nella continua distrazione. Come facessero a continuare a scandire le parole, come i grani del rosario, è un mistero, perché vi mescolavano, mormorii di commento ad ogni persona che entrava, dandosi di gomito.
Il giovane uomo, Lui, salì sull’altare per sistemare prima della messa, l’umile compito del sacrestano, che lui svolgeva con felicità. Don Giacomo, era in sacrestia per prepararsi alla messa. Indossava i paramenti verdi, il colore del tempo ordinario, era infatti un giorno come tutti gli altri. I gesti del prete, meccanicamente, si ripetevano ogni sera alla stessa ora. C’erano volte in cui, venivano fatti in tutta fretta: sembrava allora, al prete, che il tempo si fermasse a riflettere, e lo rendeva impaziente di finire. Lui, accese il microfono, per provarlo. Aprì il Vangelo al brano scelto per quel giorno. La porticina s’aprì per l’ennesima volta. Le teste girarono, nel breve intervallo tra l’Ave Maria e il Padre Nostro. Entrò un uomo, scuro di pelle, uno dei tanti disperati che giravano attorno alla chiesa in cerca di spiccioli e conforto. Lui, spesso si soffermava a parlare con loro, aveva per tutti parole dolci, se aveva qualche spicciolo, se ne privava con una gioia così grande che rendeva luminoso il suo volto. La gente devota del luogo, però non gradiva. Le opinioni al riguardo, come al solito erano molteplici e variegate. C’era chi lo scusava con disprezzo, perché lo considerava un emarginato. C’era chi inviperito, andava a protestare dal parroco, perché non se ne poteva più di tutti quegli straccioni, che magari non avevano neanche bisogno d’elemosina ma cercavano i polli da spennare. Se ne tornassero al paese da dove provenivano. Don Giacomo non sapeva più come contenere certe incontinenze. Anche lui, nel suo profondo, a volte, aveva nascosti pensieri molesti riguardo certi personaggi, ma per la tonaca, guai se li avesse palesati.
Il poveretto togliendosi il berretto, si sedette ad un banco, facendo un profondo inchino verso il Tabernacolo, per riverenza e rispetto verso Nostro Signore. Le donne, si zittirono. Un paio di secondi di silenzio profondo, nel quale Dio, dal suo affresco, fece capolino e bonariamente sembrò, con un cenno del capo, ricambiare il saluto dell’uomo.
I mormorii s’intrecciavano vorticosamente tra loro, rimbalzando tra l’aria dei ventagli e le bocche in movimento, da l’una all’altra. E l’Ave Maria riprese. Lui, impassibile nel volto, calmo e sereno, salì sul pulpito e lesse il brano del Vangelo. La messa non era iniziata, il prete ancora in sacrestia.
 Dal Vangelo secondo Marco 9,41-50. Lesse guardando i presenti:
”In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa...”.
Leggeva le parole con umiltà e raccoglimento. Iniziò a parlare. Arringava le quattro pie donne, come fossero una grande folla. Parole semplici, profonde,  scandite come pietre. Scuoteva le coscienze intorpidite e pietrificate da secoli e secoli di cerimonie, regole e orpelli. Era come se, le Parole, venissero pronunciate per la prima volta. Osservandolo in volto, Lui, dava l’impressione di non essere lì. Parlava ai fedeli, portavoce delle parole del Padre.
Dopo qualche minuto di silenzioso ascolto, qualcuno, fortemente indignato per l’accaduto, s’alzò per avvertire il prete. E’ uno scandalo, lo scemo che legge il Vangelo! Ha sentito quello che va dicendo? Don Giacomo, per far calmare gli animi, annunciò col trillo della campanella, l’inizio della messa. Entrò alterato in volto, disse due parole all’orecchio del ragazzo e come nulla fosse, iniziò: Nel nome del Padre…
Più tardi a messa finita e chiesa chiusa, Don Giacomo infuriato, si scagliò contro di Lui, che non poteva sostituirsi al sacerdote, saltando tutta la messa. Quasi un sacrilegio! Come t’è venuto in mente ragazzo! Urlava, camminando avanti e indietro nella sacrestia. Lui, lo guardava fisso negli occhi e provocandolo gli chiese, chi l’ha detto? La dottrina! Esclamò a quel punto il prete. Ci sono regole da rispettare. Regole? Chiese Lui quasi con disprezzo. Sono state stabilite nei secoli dal Papa! Esclamò il prete a questo punto, stufo delle provocazioni. Il papa? Chiese di nuovo Lui, per nulla turbato dal tono del prete. Certo, insieme ai prìncipi della Chiesa, nei concili. Rispose il prete, tentando di calmarsi. Cristo non ne accenna, non l’ha mai stabilito. Non essere blasfemo, ragazzo! Il Papa, dimentichi forse che è il Vicario di Cristo?
Per tutta risposta, Lui, gli rivolse una domanda. Lo ascolti tu il Padre? Ragazzo, tu oggi, vuoi saggiare la mia pazienza! Esclamò alla fine il prete, uscendo come una furia ma eludendo la risposta che avrebbe richiesto un sì o un no. Monosillabi che il prete non sapeva pronunciare. 

Il ragazzo aveva dato scandalo e la cosa non passò in silenzio. Per giorni e giorni, le pie donne, ne parlarono nei loro incomprensibili bisbiglii di corridoio, in sacrestia, mentre preparavano i paramenti, lucidando i pavimenti delle navate, sistemando i fiori sotto il grande affresco. Il silenzio si stendeva su tutto, soltanto quando passava la tonaca nera. Il prete, aveva meditato su quello strano ragazzo, si stava forse pentendo di averlo preso sotto la sua protezione? Non lo sapeva neanche lui, ma la domanda più volte gli si era affacciata nella testa, subito scacciata dal senso di colpa.
Scontrandosi con Lui, nel lungo corridoio tra la sacrestia e la sala riunioni, Don Giacomo, gli domandò di nuovo del suo passato. C’è poco da dire, rispose Lui, sono giunto qui, su una barca, come tanti, da piccolo, con mia madre, che non ce l’ha fatta. Rispose, con tanta tristezza nella voce. Il prete, preso dal rimorso di averlo trattato male, lo guardò a lungo. Poi con una pacca fraterna sulle spalle, Mi spiace molto, deve essere stata dura. Avevo sempre mio Padre. Quel padre che non si sa dove sia! Esclamò allora il prete. Il ragazzo sorrise con dolcezza, come si fa con i bambini cocciuti che non vogliono capire ma tacque.
Nella parrocchia c’erano due persone, che durante quella sua predica, erano state profondamente colpite e turbate. Guardavano ora, con occhi diversi. Una era la pia donna, che un giorno, in sacrestia, aveva detto che parlare con Lui, le faceva sentire la presenza di Dio. Da quel giorno, lo cercavano, ponendogli infinite domande, alle quali Lui, con semplicità dava risposte molto profonde sulla vita, sulla morte e sul Padre. Gli chiesero allora di leggere il Vangelo, magari a casa loro, se il prete non fosse stato d’accordo.
Il prete non lo seppe. 
Leggeva trasformato in volto e le  Parole antiche e universali erano sue, come le avesse sempre pronunciate. Si riunivano in gran segreto a casa ora dell’una ora dell’altra. Vi partecipavano poche persone, quelle che iniziavano a capire il vero e profondo significato del Verbo, predicato da secoli ma dimenticato dai cuori col trascorrere del tempo. Le parole del ragazzo, semplici, umili, erano scagliate con forza nelle coscienze.
Il tempo passava e Lui, veniva continuamente invitato a leggere e commentare  la Parola di Dio nelle case della gente. L’appellativo di scemo era ormai un retaggio del passato. Sempre più persone seguivano le sue parole, era come se la fede di molti, sopita o nascosta, si fosse improvvisamente risvegliata. 
Sembra di sentire Gesù in persona, dicevano e continuavano ad aumentare. 
Il prete, ormai aveva saputo. Inizialmente aveva provato a parlare con il giovane uomo. Perché ti scandalizzi padre? Gli aveva chiesto un giorno Lui. Il prete, non rispose direttamente alla domanda. Dapprima cercò di farlo ragionare, gli disse che il suo comportamento anche se animato da buone intenzione portava scandalo nella comunità parrocchiale. Erano troppi coloro che si lamentavano della sua ribellione. Il prete però tacque sulle forti pressioni che aveva ricevuto dall’alto della gerarchia ecclesiastica. Lui con voce pacata gli rispose che sono le Parole quelle che contano e non chi se ne fa portavoce. Il prete allora, fu costretto a mandarlo via, gli intimò d’andarsene, vigliaccamente, come un Don Abbondio di manzoniana memoria, timoroso delle conseguenze. Lui, con umiltà, prese le sue poche cose, i suoi libri e senza neanche una parola, uscì per sempre dalla vita di Don Giacomo.
Viveva semplicemente, spesso invitato e ospite di qualcuno dei suoi seguaci. 
La sua fama s’era sparsa nel Paese. A goccia a goccia, lentamente come una perdita d’acqua da un rubinetto rotto. Inizialmente,  alla goccia, non ci si fece caso, poi, divenne il brontolio di un tamburo, ritmica, sempre più forte, un rombo assordante.
Il primo trafiletto su di lui, uscì sulla cronaca locale, riportato in poche righe, come un fatto di  folclore. Dopo,  gli articoli si susseguirono, rimbalzando dall’una all’altra delle grandi testate. La notizia s’accese sullo schermo. Lui, il predicatore, come veniva chiamato, fu invitato innumerevoli volte a parlare in televisione, in quelli che vengono chiamati talk show, nella mania tutta nostrana di usare termini stranieri, come se il pronunciare parole a cui le nostre bocche non sono abituate, potesse rendere meglio il concetto.
Nessuno lo vide mai apparire sullo schermo. I suoi rifiuti furono netti. Preferiva il contatto con le persone, piuttosto che le fredde telecamere. Questo suo negarsi, faceva impennare gli ascolti e il parlarsi addosso degli ospiti di turno che insistevano su uno scisma all’interno della Chiesa.
Su internet i siti e i blog in suo nome proliferavano. Milioni di persone, di “fan”, avevano conosciuto la sua fama, udito le sue parole, attraverso i video su youtube che i seguaci accanitamente registravano e divulgavano.
Ormai non bastava più parlare come ospite in casa dell’uno o dell’altro. A stento, la gente riusciva a contenersi negli stadi.
Il Vaticano, che sapeva tutto dall’inizio, aveva finto di non sapere, sperando che il fenomeno si spegnesse così come era iniziato.
Non fu così.
Il primo attacco venne dall’Osservatore Romano. Un articolo netto e duro, scagliato contro chi voleva dividere e distruggere l’unità della Chiesa. Si parlava di Lui, come di un novello Martin Lutero. La condanna degli ambienti vaticani fu inesorabile.
Poi vennero gli alti prelati, i vescovi,  i cardinali, che per la giusta causa, si sacrificano, sottomettendosi al trucco di scena, prima di andare in onda nei talk show, per riportare le parole della Chiesa e del Santo Padre. La Chiesa mai aveva temuto per le sue fondamenta.
Lui ignorava tutti, ripetendo, le parole di duemila anni prima.
Era conosciuto nei cinque continenti e parlava una lingua universale che nessuna Torre di Babele avrebbe potuto mescolare.

Le sale erano enormi e il rumore dei passi, rimbombava tra le pareti, interamente ricoperte d’affreschi e dipinti di fama mondiale, di un valore immenso.  Esperti d’arte, nel tempo, ne avevano riempito volumi. Lui, camminava a testa alta, con fierezza, lo sguardo fisso in avanti. Due tonache nere, alte e slanciate gli erano ai lati.  Era lui a condurli e non viceversa. 
Il Santo Padre aspettava nel suo appartamento privato. Si era cercato di tenere segreto l’incontro ma la notizia già cominciava a trapelare.  Frotte di giornalisti accorrevano nella sala stampa Vaticana aspettando un comunicato.
Due guardie svizzere,  appoggiate alle lucenti alabarde, aprirono la porta degli appartamenti privati del Papa.
Il Papa avanzò lentamente verso di Lui che fece altrettanto.
S’incontrarono a metà strada, Lui e il Santo Padre. 
Il Vicario di Cristo gli mostrò l’anello da baciare, Lui, fece un breve cenno di saluto col capo ma ignorò il gesto. Da pari a pari. Il Papa finse di non aver notato la sfida e iniziò a parlare. Lui stava in silenzio, a capo chino ad ascoltare le parole del Vicario.  Parole paterne, che tentavano di ricondurlo alla ragione e a tornare, come un  Figliol Prodigo, sulla retta via. 
Per tutta risposta, Lui, in tono fermo che non ammetteva repliche, Perché ricopri la carica che fu di Pietro? 
Il Papa sgranò gli occhi per tanta insolenza ma cercò di non perdere le staffe. Chi sei tu, per fare a me tale domanda? Gli chiese risoluto e profondamente indignato. 
La risposta che seguì fu un vero colpo per tutti coloro che erano presenti nella sala, tra cui il segretario personale del Papa. Un mormorio d’indignazione corse dall’uno all’altro, mentre fissavano il Santo Padre. Mai nessuno aveva osato tanto.
Io, rispose il giovane uomo, sono il Figlio di Dio, il Cristo, colui al quale fu imposto il nome di Gesù, l’Emanuele. Dio non dimora più in questa Casa, in ogni Casa di Dio. 
E’ giunto il tempo del mio ritorno. Queste parole furono dette con forza, sottolineate ad una ad una, in modo che potessero essere ben udite da tutti i presenti. Lui, il volto indignato tacque. Era la seconda volta che s’indignava in un tempio di Dio. 
Il Papa, incredulo, il volto dipinto e immobile in un’espressione che ben metteva in mostra questo suo stato d’animo. La rabbia montò dentro di lui che, non riuscendo più a contenerla,  gridò: Eretico! Puntandogli contro il dito. 
I due si fronteggiarono, viso a viso, guardandosi negli occhi dai quali sprizzavano scintille.
I presenti tacevano timorosi e a capo basso, cercando di farsi invisibili.
Il Papa dopo alcuni istanti di un silenzio carico di significati, con voce adirata e solenne disse:
La tua non è insolenza è una grande eresia, una bestemmia, sarà Dio a giudicare. Parli per bocca del demonio! Hai  profanato il nome del Figlio di Dio.
Il Papa, furioso si girò su stesso, per impedire che l’ira che gli stava montando dentro, venisse notata dai suoi collaboratori. Poi, fissando il crocifisso, con una calma ritrovata: Gesù, tu che siedi alla destra del Padre, perdonalo, è un povero pazzo!
Lui, i cui occhi, profondi e magnetici, dei quali nessuno riusciva a sostenere lo sguardo, era in preda ad un’ira che non trapelava dalla sua profonda immobilità. Erano gli occhi a tradirlo, lasciando trasparire, quanto di più profondo affiorava in lui. 
Pentiti papa, davanti a quel Padre di cui non sei più degno di pronunciare il nome! 
Hai forse dimenticato quello che è stato riportato? Le parole pronunciate duemila anni fa?
“Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare. Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà”. 
Tu, Vicario, dovresti conoscerle, non è ad esse che avresti dedicato tutta la tua vita?
Tu e i tuoi predecessori le avete tradite! Un tuono che uscì dalla sua bocca.
 Ho predicato la povertà e voi vi siete fatti immensamente ricchi. Guardati intorno, prete! Una sola di queste ricchezze basterebbe per sfamare migliaia di affamati. Guarda le vesti che indossi!
Ho predicato l’umiltà e voi, ipocriti,  avete cavalcato il potere. 
Ho predicato il perdono la fratellanza e voi avete ucciso in mio nome. 
Non una delle mie parole è stata da voi condivisa.
Ricordi queste parole?
“Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare”.
Il Papa, rimase esterrefatto, oscillando tra due sentimenti contrastanti. La pietà per quell’uomo affetto da follia e la rabbia per la sua enorme e blasfema eresia.
Fece un solo gesto del capo. Le due guardie svizzere entrarono, facendo tintinnare le alabarde.
Il nostro colloquio finisce qui. Disse il Santo Padre. 
Lui a testa alta, non aggiunse altro e docilmente seguì le guardie e le due tonache nere.
Fu messo sotto sorveglianza in Vaticano, in attesa di prendere una decisione che lo riguardasse, concordata con le autorità italiane. L’individuo era pericoloso per la stabilità della Chiesa e per quella dello Stato.
Intanto in sala stampa i giornalisti fremevano. Fu fatto un breve comunicato in cui si disse che il colloquio avuto dal Santo Padre e il Predicatore, si poteva ritenere concluso ma i contenuti sarebbero rimasti segreti.
La stampa sembrava impazzita, le domande e flash dei fotografi si susseguivano ininterrottamente. Il portavoce però, lasciò la sala conferenze senza aggiungere altro.
Per giorni su tutti i mass media, fu argomento di commenti e non si parlò d’altro. 
Con il tempo, qualcosa trapelò su quel colloquio segreto. Alcuni in un primo momento credettero ad un ritorno di Cristo, ma furono pochi. Tutti gli altri abbracciarono la tesi del folle. Nessuno però, seppe mai dove fosse il Predicatore e di lui non si parlò più. Gli stadi tornarono ad essere riempiti da folle di scalmanati urlanti. Tutto tornò alla normalità e la gente, come sempre, fu presa dai propri problemi e dimenticò del tutto il Personaggio.
Del Cristo del passato si tornò a parlare come da Scrittura. Del “povero cristo” presente, nessuno parlò più.
Fu rinchiuso in località segreta, sotto un nome falso, in una clinica psichiatrica, dalla quale probabilmente, mai sarebbe più uscito. Come un criminale.

Seduto di fronte allo psichiatra che tentava di parlargli, restava muto, fissando un punto al di là del medico, una visione che solo Lui, poteva vedere.
Il medico, scriveva nella cartella, sempre la stessa frase: nessun miglioramento.
Soltanto quando era solo, nella sua cella, dove nessuno poteva udire, si prostrava a pregare.
Padre, perdonali, non sanno quello che fanno. 
Nessuna medicina riuscì a piegare la sua volontà.
Amen

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