Edward Hopper |
Veniva da lontano, un paesino sperduto tra le montagne. Il mare lui non l'aveva mai visto, finché non lo portarono sull'isola.
Il rumore della risacca, il profumo del mare furono le prime cose che colpirono i suoi sensi quando scese dal cellulare, nel cortile del carcere. Aspirò a pieni polmoni perché quell'aria gli sarebbe dovuta bastare per tutta la vita.
Al processo l'ultima parola del giudice fu: ergastolo.
Sapeva di essere colpevole e di meritare la pena. C'era chi aveva perso la vita per mano sua e nel momento cruciale, quando aveva visto spegnersi la luce in quegli occhi innocenti, fu come se fosse pervaso da un furore e da un fuoco che gli ardeva nel petto. E l'aveva rifatto ancora, per rivivere quella emozione. Ogni volta doveva essere l'ultima ma non lo sarebbe mai stata.
Lo presero di notte, mentre era nel suo letto. Bussarono a lungo alla porta gli agenti. Lui capì che dovevano fermalo e non si oppose. Uscì con le mani alzate sopra la testa, guardava in basso per un inutile senso di vergogna.
La cella è angusta, un letto dalle molle cigolanti e un materasso macchiato, schiacciato dal peso e dai sensi di colpa di chi l'ha preceduto. Un lavandino e un gabinetto, tutto quello che gli è concesso.
Tra le sbarre della cella però, il cielo è di un blu cobalto, libero da nubi e la brezza gli porta l'odore del mare e il grido dei gabbiani.
Se si allunga, lontano, ai piedi della risacca, vede una casetta bianca, costruita sugli scogli. É in riva al mare e il sole la bagna di luce.
C'è una donna che appare mentre apre la finestra. Ne intravede appena la figura, i capelli corvini che si agitano alla brezza del mare, egli ne sente quasi il profumo.
In carcere la vita è scandita dalle regole, dai fischi dei secondini, dal guardarsi le spalle di giorno e a contare le ore di notte, al buio, fissando il soffitto al chiarore della luna. Gli manca tanto la libertà, quella di poter stare sveglio a leggere di notte, di una passeggiata in riva al mare, nuotare tra le onde, di assaggiare la salsedine sulle labbra di una donna.
Tutto gli manca ma non la facoltà di sognare. Quella gliel'hanno lasciata intatta.
Ogni mattina si allunga e guarda la casina bianca e guarda la donna dai capelli corvini aprire la finestra. La immagina mentre si pettina, davanti allo specchio, passare e ripassare la spazzola fino a lucidare i capelli. La immagina mentre vive in casa, mentre danza nella musica, Maria.
La casa di Maria è anche casa sua, la va a trovare in sogno, le parla e le racconta, le dice che presto sarà libero, che potranno stare sempre insieme. Le parla dei rimorsi, dei sensi di colpa che lo strangolano di notte. Le dice che spesso li vede i morti, col dito alzato verso di lui che avanzano pallidi nel buio. Hanno occhi che brillano, occhi che accusano.
Lei ascolta, non lo giudica, prova pietà per l'uomo e forse un poco lo ama. Gli dice che lo aspetterà per sempre.
E lui s'innamora, si perde in quegli occhi, scuri e brillanti, la vede già con l'anello che luccica nell'anulare sinistro, la mano di Maria, la sua donna. Una speranza la sua e una follia.
E gli anni passano ma non le parole dolci che lui scambia con lei, sempre giovane e bella. Gli si è imbiancata la testa, è diventato vecchio ma non lo sa, perso nel suo sogno di andare via, via con la sua donna a cui promette una città incantata dove vivere per sempre insieme.
I suoi occhi non vedono più. Non riesce più a scorgerla Maria nella casetta bianca in riva al mare, non la vede ma riesce ancora a sentirla nel profumo salmastro, col cuore.
Ha chiuso gli occhi l'uomo, perso nel sogno. Non li ha più riaperti ed è solo.
Solo in mezzo al blu.
* Omaggio alla "Casa in riva al mare" di Lucio Dalla
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