John William Waterhouse - Tristano e Isotta |
L'amor cortese.
I rumori nella foresta erano amplificati dal silenzio e gli zoccoli dei due cavalli, rimbombavano nella valle. Il rumore sordo copriva i pensieri sinistri che annebbiavano la mente del Cavaliere.
Pioveva dalla mattina presto. L'acqua scivolava sui mantelli inzaccherati rendendoli pensanti e appiccicati al corpo. Gli zoccoli affondavano nel fango producendo spruzzi d'acqua.
Ser Crisanto non aveva emesso neanche una sillaba, così come il suo scudiero che lo seguiva silenzioso e accorto.
Scrutava il terreno e teneva d'occhio la pista. Le armi tintinnavano al trotto dei cavalli.
Ser Cristanto aveva conosciuto Alderico a palazzo, alla corte del suo signore, al quale aveva giurato fedeltà. Nobile di nascita, Alderico aspirava a diventare cavaliere e seguì Crisanto per imparare l'arte della cavalleria, da tempo brandivano la spada e la picca come un sol uomo.
Il viaggio sarebbe stato lungo e periglioso ma non era questo che preoccupava i due uomini.
Dovevano fare presto, non potevano fermarsi, se non il necessario, perché di tempo ne era rimasto poco.
Ser Crisanto fece un cenno e Alberico tirò le redini.
- Ci accamperemo qui questa notte, è ormai l'imbrunire.
Alberico l'aiuto a smontare da cavallo, preparò un riparo di fortuna, accese un fuoco per asciugare le loro ossa ormai zuppe fino al midollo.
- Cosa vuole il Monaco? - Chiese Alberico che ancora non conosceva il motivo del loro viaggiare.
Ser Crisanto fissò il fuoco e senza rispondere gettò un paio di sterpi nelle fiamme.
Il profilo duro del Cavaliere era illuminato dalla luce rossastra. I bagliori del fuoco, facevano risaltare una lunga cicatrice che dall'occhio sinistro scendeva giù, verso l'angolo della bocca imbronciata, traversando tutta la metà del volto. Come preso alla sprovvista e sentendosi osservato da Alberico, tentò di coprirla con una ciocca dei capelli che gli scendavano sulle spalle. Un gesto involontario e inutile.
- Cerca di dormire un po' – Aggiunse il Cavaliere – Domani sarà un viaggio lungo.
Alberico si avvolse nel mantello e obbedì. Ser Crisanto non lo seguì. Inseguiva i fantasmi che gli saturavano la mente, chiuse gli occhi un'ora prima dell'alba.
Il Monaco l'aveva mandato a chiamare, Madonna Marozia era in pericolo e il monastero non era più sicuro.
Il viaggiò durò dieci giorni, il Cavaliere sperava di arrivare in tempo.
- Ser, ho il timore che qualcuno stia seguendo le nostre tracce – Disse Alberico.
- Aiutami con l'armatura, dobbiamo essere pronti – Rispose sospirando rassegnato Ser Crisanto.
Alberico lo aiutò ad indossarla e a risalire in sella. L'elmo lucidissimo mandava bagliori.
Ser Crisanto aveva giurato al suo signore, al tempo della sua investitura. Il vero giuramento lo aveva fatto a lei, Madonna Marozia, signora e moglie del castellano.
La prima volta che l'aveva vista era stato alle loro nozze. La giovane fanciulla aveva l'aria smarrita mentre avanzava nella navata della chiesa, agghindata con ricche e sfarzose vesti. Il volto nascosto da un velo pesante. Sembrava sfiorare il pavimento, quasi volasse sorretta dalle ampie vesti.
Ser Crisanto aveva sentito un tuffo al cuore al solo guardarla e l'aveva amata, così, all'istante.
Non aveva mai dimenticato gli occhi di lei quando si posarono su di lui al torneo. Un misto di meraviglia e innocenza. Gli aveva fatto un cenno del capo, in segno di saluto e porto la mano da baciare, in segno di riverenza verso la sua Signora. Aveva combattuto con tutto il suo ardore, per lei e la rosa bianca, che le aveva donato, rispecchiava il candore dei suoi sentimenti.
L'aveva adorata e avrebbe dato la vita per lei.
Madonna Morazia ricambiava quello che lui provava ma non glielo aveva mai fatto capire. Soffriva in silenzio, chiusa tra le spesse mura del castello e solo lei aveva conosciuto la brutalità e la rozzezza del consorte, da tutti ammirato e riverito.
Era in preghiera in cappella quando il Cavaliere entrò. Il cuore le fece una capriola, il fiato si fermò ma non girò lo sguardo, sapeva che lui era lì, il tintinnare del metallo della spada, contro i calzari, le aveva annunciato la presenza.
Le si sedette al fianco, guardando l'altare e aspirando il profumo di lei.
Lentamente girò lo sguardo verso la donna e lei non seppe più resistere e si perse nei suoi occhi.
Il tempo si fermò in quello sguardo, le labbra non si aprirono ma furono dette parole segrete intrappolate negli occhi sgranati e trepidanti di lei.
Ser Crisanto uscì precipitosamente dalla cappella, non poteva restare un istante di più, con lei, nello stesso luogo, avrebbe voluto stringerla a se.
Lui la sognava da lontano, lei si struggeva sopportando la violenza e la rozzezza del suo signore e marito.
Un giorno nefasto, il Cavaliere venne a sapere che Madonna Marozza era stata rinchiusa, prigioniera di quell'uomo violento. Si mormorava che lei spasimasse per un altro e si fosse negata ai suoi desideri. Era stata punita con violenza.
Il cavaliere aveva giurato a lui fedeltà, ruppe quel giuramento.
Lo affrontò in un duello cruento, le spade scintillavano cozzando con rumore di ferraglia, mentre il sangue iniziò a cadere a terra, goccia a goccia.
Il Signore accecato dall'odio lo colpì al volto, in un fendente trasversale, sfigurando con sadismo e per vendetta, quella bellezza maschia che aveva fatto perdere la testa a Marozza.
Ser Crisanto vacillò, indietreggiando, accecato dal sangue, conscio che fosse giunta la sua ora.
Lei lo guardava da dietro pesanti tende, lassù, dalla torre dove era rinchiusa, ferita nel corpo e nell'anima ma ancora col cuore intatto per il suo Cavaliere.
Lui percepì la sua presenza e in un ultimo sforzo abbatté la pesante spada sul collo del rivale, staccandogli la testa di netto. Il sangue sprizzò al ritmo degli ultimi battiti di quel cuore malvagio e si rapprese in una pozza scura.
Non era destino che il loro amore potesse vivere. La potente famiglia del Signore giurò vendetta e mise una taglia sulla testa del Cavaliere. Madonna Marozza doveva morire, uccisa sulla pubblica piazza, per decapitazione a causa del suo enorme peccato.
Fu il Monaco, impietosito dalla storia che il Cavaliere gli narrò, nella notte in cui scomparve assieme ad Alberico, a salvare lei, nascondendola in un monastero lontano, lontano, dove si sperava non potessero più trovarla.
Erano passati anni da allora ma la vendetta è gelida e paziente, l'avevano trovata.
Ser Crisanto sapeva che quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe rivista. Non era più forte e agile come allora e i sicari da battere, troppi.
Alzò gli occhi verso il campanile che si ergeva dalla nebbia nella valle. Contava le ore con un rintocco acquoso. Era di nuovo l'alba.
Il Cavaliere guardò il cielo, si fece il segno della croce e disse:
- Andiamo Alberico è giunta l'ora.
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