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lunedì 10 febbraio 2020

Riccardo e la locomotiva

Riccardo sulla locomotiva a vapore



I treni mi hanno sempre affascinato, mi piace pensare alle persone che viaggiano, alle valigie da preparare, al rumore ritmico delle ruote, allo stridio dei freni. Se faccio uno sforzo vedo anche i vecchi treni a vapore, la ciminiera che butta fumo acre, uno sbuffo che ne segna il percorso, verso mete e destinazioni da raggiungere.
Il treno  è stato un legame che ha unito le persone della mia famiglia, una su tutte mio nonno Riccardo. 
Era nato nel 1894, che solo a  leggerlo, sembra così lontano nel tempo. Tempi di foto color seppia, di sorrisi imbalsamati, di pose statuarie, come quelle che conservo nel cassetto.
Mio nonno partecipò alla grande guerra, si prese anche la spagnola, ma uscì indenne da entrambe.
Fu macchinista alle FS, ferrovie dello Stato, guidava le locomotive sbuffanti verso paesini o città, da nord a sud dello Stivale.
Per una manciata d'anni ebbe la residenza a Reggio Calabria, dove conobbe un napoletano, di S. Giorgio a Cremano, con cui strinse una grande amicizia. Le famiglie, in seguito si conobbero, e divennero compari, in tempi in cui essere padrino e madrina al battesimo e alla cresima di un figlio era un patto d'onore.
Ricordo le sue telefonate, con la comare di Napoli, il marito era morto, ma lui non si dimenticò mai della famiglia. Ogni tanto, ormai in pensione, prendeva il treno e andava a trovare la vedova e Lina, la figlia. Tornava con la valigia piena di sfogliatelle, di pane del posto e di cose buonissime.
Mio nonno viveva con noi. Era vedovo, non ho mai conosciuto mia nonna paterna, i miei una volta sposati decisero di andare a vivere con lui, aveva  una casa abbastanza grande, per non lasciarlo solo. Altri tempi e altra educazione. 
Era molto attaccato a noi nipoti, io sono stata la prima, aveva soltanto mio padre, figlio unico, riversò tutto il suo affetto di nonno su di noi.
Amava raccontarci spezzoni della sua vita. Di lui ricordo la risata fragorosa, il carattere forte, il pugno sbattuto sul tavolo, quando discuteva con mio padre.
Si era innamorato di mia nonna a prima vista, fu un colpo di fulmine. Lei era sua cugina di primo grado, le mie bisnonne era sorelle, nulla però lo fece desistere dal chiederla in moglie. Ebbe anche la dispensa papale. Di lei so soltanto le cose di cui mi raccontavano lui e mio padre. Dalle foto che ho, appare una bella donna, dagli occhi dal taglio lungo, quasi a mandorla, la chiamavano per questo Giappone.
Negli anni quaranta fu licenziato dalle ferrovie, perché non volle iscriversi al partito Fascista. D'idee socialiste, non riuscì  mai a digerire il fascismo. Un giorno si rifiutò di alzare il braccio in risposta al saluto di uno in camicia nera. Ricette un fortissimo ceffone, tutto sommato gli andò bene. Durante gli anni in cui non lavorò, per la famiglia divenne veramente difficile andare avanti. Lo fu per tutti ma non lavorando il capofamiglia, per loro fu ancora più dura Si arrangiava mia nonna, sarta, a cucire divise per i soldati, a fare riparazioni, con una Singer dei primi del novecento che tutt'ora è in nostro possesso. Un cimelio storico, ormai. In quel periodo, mio padre, allora undicenne, percorreva a piedi la via Ostiense fino a Circo Massimo, dove, non ricordo bene se un'associazione benefica statale o della chiesa, distribuiva una porzione di minestra a testa. Lui la riportava a casa rifacendo, digiuno tutto il percorso.
Dopo la guerra, mio nonno fu riassunto alla Roma Lido, e gli furono riconosciuti gli anni non lavorati ai fini pensionistici.
Era un grande burlone, gli piaceva fare scherzi.
Ne aveva fatti parecchi in gioventù, mentre li raccontava, scoppiava in una delle sue rumorose risate, così contagiose che alla fine ridevamo tutti. Mia sorella per le sue risate, lo chiamava nonno Bomba, ma pare che il soprannome glielo avessero anche affibbiato nel passato.
Ci raccontò un giorno che con l'aiuto macchinista, ne architettarono uno così grosso che ne dovettero, poi, pagare le conseguenze. Credo che la notizia, sia finita sui giornali dell'epoca.
Un giorno, forse stufo del solito percorso, gli venne l'idea che perfezionò col collega.
Partito il treno, dopo il fischio, da Lido di Ostia, fermandosi ad ogni stazione verso Roma, si abbassavano e nascondevano alla vista dei passeggeri. Il treno sembrava senza controllo. Qualcuno avvertì i dirigenti a Piramide; era in arrivo un treno senza macchinisti, probabilmente un malore, il convoglio si sarebbe schiantato al capolinea, con conseguenze disastrose e feriti.
Vennero allertate le forze dell'ordine, una serie di ambulanze aspettavano fuori, pronte a caricare i feriti. 
Il treno arrivò in perfetto orario, frenò come da manuale. Tutti erano in trepidazione sulla banchina. Mio nonno e il collega scesero tranquillamente, non pensando a quello che avevano innescato, ridevano a crepapelle, dandosi pacche sulle spalle.
Ovviamente, il misfatto,  non passò indenne. Non fu licenziato, forse per il suo passato, ma fu trasferito alle officine meccaniche e non poté più condurre nessuna locomotiva. Ancora mi viene da ridere a rivedere la sua faccia mentre lo raccontava.
Ci fu poi l'episodio del giuramento per il matrimonio. Tutto era stato organizzato, la data e l'appuntamento all'Anagrafe era stato fissato. Quella mattina mia nonna lo aspettava lì davanti all'ufficio comunale, nell'attuale via Petroselli. Aspetta e aspetta, l'appuntamento saltò. Lui l'aveva completamente dimenticato. Mia nonna, pensò che alla fin, fine poco gli doveva importare di sposarsi, immaginò  un ripensamento di lui, chissà cosa rimurginò per la strada mentre tornava. 
Appena riuscì a sentire le sue scuse, lo lasciò e sciolse il fidanzamento. Per un periodo non lo volle più vedere, era furiosa. Poi, non so come, lui riuscì a convincerla a tornare sui suoi passi. Alla fine si sposarono nel 1926. Lei ebbe tre gravidanze ma non le portò a termine. Alla fine solo mio padre nacque vivo e restò figlio unico.
Scherzi e scherzetti lui ne faceva anche a noi  nipoti. Ricordo con tanta nostalgia le sue feste per i nostri compleanni. Amava prepararci con le sue mani la torta di compleanno, la zuppa inglese, che lui faceva un po' a modo suo. Io la ricordo buonissima, con la panna montata e le ciliege candite attorno, attorno, in mezzo la candelina da spegnere che variava a seconda degli anni compiuti, la torta no, era sempre la stessa.
Poi, c'erano i Natali, l'attesa della Vigilia, le tombolate, noi tutti attorno al tavolo a gridare: Ambo! Tombola! 
Era il nostro difesonsore. Nelle nostre lotte e liti di bambini nel cortile del lotto, lui ci sosteneva, a volte litigava con genitori o nonni di ragazzini che a suo dire ci avevano offeso.
-Vuoi mettere la lana con la seta? - Diceva sempre, riferendosi al fatto che la seta, noi nipoti, è molto più preziosa della lana. 
Tutta la mia infanzia è stata piena della sua presenza. Leggeva il quotidiano Paese Sera, io gli rubavo sempre la pagina dei fumetti e lui si arrabbiava che glielo sgualcivo. Mi accompagnò a scuola per tutte le elementari. Fu con lui che scoprii la prima nevicata della mia vita, nel 1965. Non ci eravamo accorti della neve, pronta per andare a scuola la trovai nel cortile del lotto, dove abitavamo. Impazii a calpestarla, a toccarla con le mani, era freddissima. Poi mi riportò a casa. 
L'ho perso in un lontano 1970, nel giorno di Natale. La sua mancanza mi faceva male, per tanto tempo lo sognai. Quello che mi è rimasto nella memoria, che mi ha colpita all'epoca, sono le sue impronte sul vetro di un portaritratti d'argento. Era l'ultima cosa che mi era rimasta della sua persona. 
Voglio però ricordarlo per la sua grande ironia e la sua fragorosa risata.

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