A te navigante...

A te navigante che hai deciso di fermarti in quest'isola, do il benvenuto.
Fermati un poco, sosta sulla risacca e fai tuoi, i colori delle parole.
Qui, dove la vita viene pennellata, puoi tornare quando vuoi e se ti va, lascia un commento.

lunedì 20 aprile 2020

Hashtag







In un periodo difficile come questo, la scrittura dovrebbe essere d'aiuto, un'evasione dalla realtà buia in cui ci troviamo, da cui non si sa, se mai riusciremo a scorgere un barlume di luce.
Guardo il foglio, bianco, e i pensieri non sono ordinati, ronzano come api operose, ma non si organizzano per uscire. Quel bianco acceca in un deserto di parole mozzate. Troppe parole udite e troppe lette, in un vortice che tocca tutta la rosa dei venti, da ogni direzione e finisce per asciugarne il significato, lasciando al loro passaggio soltanto un vuoto.
Giornata grigia di pioggia d'aprile, lieve acquerugiola primaverile che non fa che acuire l'ineluttabilità delle nostre effimere esistenze. La natura ci rigetta e si cura da sola, siamo noi il virus da combattere e col virus incoronato ci annienta. 
Guardo il tricolare intriso d'acqua, non sventola più ma penzola floscio dai balconi, insieme agli arcobaleni e gli auguri di un futuro migliore, scoloriti dal tempo. Lontano il ricordo dei canti dai balconi, il guardarci negli occhi da un palazzo all'altro, per infonderci quel coraggio che nessuno aveva davvero. Abbiamo tirato fuori la spavalderia dei pavidi, un patriottismo di necessità, ma era la paura ancestrale della morte a farlo riesumare.
Stiamo a casa, ce lo ripetono incessantemente, ci mettono davanti un hashtag, quel cancelletto informatico, ha uno scopo specifico, ma se ne abusa, così la frase: “Restate a casa” col cancelletto davanti, ormai è parte integrante del concetto. Lo si legge sui tabelloni del Raccordo Anulare, dove erano evidenziati  i tempi di attesa per le code chilometriche e gli incidenti stradali. 
I cancelletti si moltiplicano: restiamo uniti, ce la faremo, andrà tutto bene.
L'umore però scende e gli slogan non reggono più. Boccheggiamo, dentro le mascherine, sui balconi a bere sorsate d'aria, come se rientrando dentro le nostre dimore, dovessimo stare in apnea e battere il record d'immersione.
Mi è capitato di uscire dalla città, me lo consentiva un'ordinanza fresca di proclama. La macchina strisciava su un nastro d'asfalto, tra curve e rettilinei, sola, sembrava la scena di un film apocalittico. La realtà ci ha colpiti come una pallottola in corsa. Un mattino tutto il meccanismo oliato, noi, burattini in un mondo prestabilito, ci rincorrevamo impazziti, poi, è apparso, lui, lo sterminatore.
Non ci abbiamo voluto credere. Non a noi, ma soprattutto perché a noi? Lui, silenzioso, di soppiatto si è comportato da invasore, un invasore di corpi. Il meccanismo si è inceppato fino a fermarsi.
Nella classica fantascienza anni cinquanta, i corpi venivano invasi dagli alieni, ne “L'invasione degli ultracorpi” di Jack Finney. Qui, si tratta di una specie autoctona che disturbata nel suo habitat, ha deciso di lasciarci parte di sé, o, se vogliamo vederla da un punto di vista letterario, di annientarci, per liberarsi di noi: una dichiarazione di guerra.
Avevo pensato di traslare questa orrenda realtà in un racconto, simile, con gli alieni invasori, gli eroi e tutto il cliché classico, ma poi niente, pagina bianca, di un bianco abacinante come era solita dire la mia insegnante di storia dell'arte che per descrivere il colore, aveva un aggettivo soltanto.
 Ci sono in mezzo, ci siamo tutti in mezzo, il mondo intero, senza nessun distinguo, la realtà è indigesta.
Non si può plasmare il nostro pensiero, le nostre abitudini su un nemico invisibile, agguerrito e mutevole. La vita non sarà più quella di una volta, senza cancelletto davanti, ma altra frase ripetuta ad libitum, scelta tra un campionario limitato di slogan. Come sarà allora? Ci occorre una certezza a cui aggrapparsi, siamo in balia di onde alte e perigliose. Le risposte viaggiano nel vento, da tutte le direzioni, diventano non risposte, perché alla fin fine, nessuno ha il coraggio di dire che non lo si sa. Il mondo nuovo, il cambiamento che può essere positivo, che dal letame può nascere un fiore, per me sono tutti hashtag senza frase. Da che mondo è mondo, e l'umanità ne ha davvero attraversati tanti di eventi nefasti, non si è mai visto l'uomo cambiare positivamente dopo eventi di tali portata. Ad epidemie è seguita carestia, dopo, guerre. 
Fuori continua a piovere e il mio umore si è liquefatto in una pozzanghera limacciosa. Butto tutti gli  hashtag nel cestino. Andrà come deve andare. Le mie priorità si sono ridimensionate, ora sogno di rimanere in salute e di poter uscire. Di una cosa sono sicura, quando tutto questo sarà alle spalle, per un po', solo per un po', tutto quello che è sempre stato dato per scontato, come la libertà, avrà un sapore tutto nuovo.

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