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mercoledì 10 giugno 2020

I gatti del Verano




Solennità e silenzio, è questo che affiora nel primo istante che se ne varca la soglia. I cipressi centenari si ergono ritti come colonne, sorreggendo la volta del cielo. Lungo i viali, erba poco tagliata, in alto nel cielo si sente lo stridìo delle rondini che si rincorrono, ignoranti e vagabonde le si vorrebbe zittire, per non distirturbarli, i  morti.

È una giornata estiva, il caldo fa attaccare alla pelle la camicia bagnata di sudore e nuvole di zanzare impazzite, bramano succhiare la linfa dei pochi vivi che si aggirano tra le tombe.
Il Verano è un luogo che racchiude la Storia,  le storie di tanti romani, vicini di tomba, lontani nel tempo che ora sguazzano nell'eternità e magari sorridono dei  nostri affanni, ben sapendo che il tempo spazza e livella tutto.
Cammino, lo scricchiolio dei miei passi sul viale mi rammenta il motivo della mia presenza.
L'odore dei fiori marciti, crea un senso di nausea. Fiori disseccati stanno lì, immersi in acque pudride, da mesi. Presi dal vorticare della vita, ci dimentichiamo di loro, che un tempo ci hanno amato, che abbiamo amato. Il dolore si attenua, e piano scivola nella memoria nostalgica, ci sarà tempo per una visita, ma non ora. E loro sono lì, soli, che ci guardano in immagini ferme su ceramica. 
Mi soffermo e leggo nomi sconosciuti, date quasi cancellate, immagino cosa potessero fare in vita, chi fossero, i loro legami di affetto, li faccio rivivere pur non conoscendoli.
Quante gioie? Quanti dolori? Perché sono morti, anche in tenera età? Domande senza risposta. Vicino alla tomba di mio padre, ce n'è una dimenticata da tempo. Un uomo ucciso e torturato dagli abissini, in un passato la cui storia, neanche affiora più, presi dal fagocitare notizie del presente che si bruciano in un attimo. La sua storia riassunta in poche parole scolpite sulla lapide, la sua vita ormai sconosciuta, come lui. Nessuno passa più ad onorarne la memoria, mani pietose mettono un fiore, per non lasciarlo solo, per carità cristiana, abbandonato all'oblio. 
In mezzo all'immobilità eterna, eccoli, li scorgi solitari, sdraiati al sole, a riscaldarsi sul marmo assolato.
I gatti del Verano, felini dai manti multicolore, pigri, indolenti, ti guardano passare sbadigliando. Chi si pulisce il pelo con perizia, fermandosi a zampa alzata al tuo passaggio, indeciso se scappare o continuare. Due occhi di giada che seguono i tuoi passi. Animali magici, silenziosi e felpati, regali nel loro incedere, ti ignorano sorvegliando. Guardiani di povere anime, di corpi ormai polverizzati, li rispettano, li onorano della loro presenza. 
Qualcuno, più socievole ti viene incontro a coda ritta, si struscia, chiede una carezza e del cibo. Non miagola, non  vuole violare quel silenzio sacro.
Altri schivi e timorosi si scansano, si alzano infastiditi, con grande dignità si spostano in altre tombe, dove l'uomo vivo, non passa quasi mai. 
Sono loro i padroni del luogo, compagni fedeli di uomini ormai eterni. Indipendenti, sdegnosi, a volte ruffiani nell'elemosinare una manciata di croccantini. 
Forse loro vedono i nostri morti, si dice abbiano un sesto senso. La vecchia signora, di due secoli fa, che si sposta avanti indietro sul dondolo mentre fa la calza, ormai da duecento anni, il gatto che le siede accanto, adorante. Li immagino così, io, dalla fervida fantasia, riportando in vita lei, donando poteri sovrannaturali al gatto, che si gode l'assolata giornata estiva, infischiandosene dei vivi, che passano e dei morti che restano.
Non c'è passato, non c'è futuro nel loro vivere, c'è solo il presente.

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