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mercoledì 25 novembre 2020

L'uomo con il violino

 



Il cielo era rosso all'orizzonte, riempiva ogni spazio di blu, come un pennello impazzito, sfuggito dalle mani di un pittore maldestro. 

Erano i fuochi che ardevano e distruggevano tutto, dopo l'ennesimo bombardamento. Tutti i sensi ne erano occupati. L'udito aveva dapprima percepito l'arrivo degli aerei, poi le deflagrazioni, il tonfo dei detriti che schizzavano impazziti, come meteore cadute casualmente al suolo, dal cielo, le grida disperate, le sirene d'allarme.

La terra aveva tremato, come se un mostro sotterraneo fosse stato svegliato troppo presto dal suo letargo. Le narici percepivano l'odore di bruciato, di polvere  sottile, che pian, piano ricopriva ogni cosa di bianco. La pelle scottava. La vista era piena di distruzione.

La gente, impazzita dal terrore, correva in ogni direzione, alcuni stringevano tra le braccia bambini inerti, altri, col volto ricoperto di sangue e polvere, avevano il colore della morte. Molti ricercavano i loro cari sotto le macerie, urlavano i loro nomi, piangendo.

Al centro del quartiere bombardato, c'era un'ampia piazza, in gran parte ricoperta dai detriti, che andavano ad ostruire le vie attorno.

Un bambino  piangeva disperato, il volto impastato di lacrime, moccio e polvere, sedeva su quello che rimaneva di una casa. Forse, sua madre, era sotto le macerie, forse,  dispersa e lo stava cercando. Era paralizzato dal terrore. 

Un uomo, al centro della piazza, sembrava uscito da un'altra dimensione. Osservava la scena con una calma apparente, come se lui fosse fuori da quel palcoscenico d'orrori. Sembrava che i suoi occhi stessero soppesando ogni singolo elemento, come un fotografo che vuole rimanere imparziale e registra soltanto l'attimo.

L'uomo però non aveva nessuna macchina fotografica a tracolla. Ben ritto sulle gambe si girava intorno lentamente, le braccia allargate, come un compasso nel disegnare un immaginario cerchio.

Le sue mani, si muovevano a cadenza, dirigeva un'orchestra di morte.

Fece due passi verso il bambino, incerto sul da farsi, poi si avvicinò e lo prese in braccio, cullandolo per calmarlo. Poco più in là, una donna camminava smarrita, tremando. L'uomo le si avvicinò lentamente, e gli tese il bambino, che si era un poco quietato. La donna per istinto lo prese,  ma non era suo figlio. L'uomo proseguì verso quella che era stata la sua casa. Camminava piano, scavalcando a fatica i detriti, pensando a ciò che avrebbe trovato, a chi non avrebbe più ritrovato.

Il dolore suo, di tutti, lo colpì, come un colpo di fucile al cuore e cominciò a singhiozzare. Il suo petto si sollevava e poi cadeva giù, come fosse il suo ultimo respiro. 

Arrivavano con difficoltà i soccorsi, chiedevano silenzio per individuare i sepolti vivi. La gente, però, non smetteva di gridare. 

L'uomo si asciugò le lacrime al vento rovente, raddrizzò le spalle piegate da tanto peso e pensò a cosa potesse fare lui, per far cessare tutto quell'orrore. Era un violinista, avrebbe combattutto nell'unico modo che conosceva: con la musica.

La sua casa era distrutta, rimanevano solo gli stipiti della porta d'entrata, ancora in piedi. Con cautela entrò, e a terra, intatto, come se Dio avesse voluto preservarlo, trovò il suo violino, accanto il corpo inerte di sua moglie. La prese tra le braccia dolcemente, senza più lacrime per piangere.

Prese il violino, uscì a precipizio e tornò sui suoi passi, in mezzo a quella piazza che era il centro del caos. Lì, in piedi, posizionò lo strumento tra il mento e l'orecchio, mentre con l'altra mano teneva l'archetto. Nel battito d'ali dell'angelo della morte, prese a suonare.

Le note, celestiali, correvano nell'aria, lo circondavano,  danzavano lievi, andando a lenire, come  balsamo, i corpi straziati dei morti e il dolore lancinante dei vivi. 

La guerra, la morte che le cammina accanto, alitando sugli uomini il suo orribile fiato, per una volta, furono battuti da uomo che non aveva voluto arrendersi.

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